La Locomotiva d’Europa s’è fermata. Ne è riprova il fatto che Volkswagen sta valutando la chiusura di uno stabilimento in Germania per ridurre i costi, un evento senza precedenti nella recente storia tedesca. La decisione della casa automobilistica è legata alla necessità di risparmiare 10 miliardi di euro entro il 2026 e sostenere la transizione verso le auto elettriche, in un contesto di calo della competitività tedesca. Questa scelta riflette la crisi economica del Paese, che sta colpendo duramente le imprese e sembra alimentare il consenso dei partiti populisti di destra come Alternative für Deutschland, soprattutto nei Länder della Germania dell’Est. Ne abbiamo parlato con Mattia Eccheli, giornalista italo-tedesco che ha raccontato per anni la Germania ai lettori de Il Fatto Quotidiano. Per lo stesso quotidiano, ma anche per La Stampa e Il Messaggero scrive del comparto auto.
Volkswagen sta valutando la chiusura di uno stabilimento in Germania per ridurre i costi. È una decisione inaspettata o era nell’aria?
Non è la prima volta che il marchio Volkswagen annuncia ristrutturazione e piani di risparmio, ma è la prima volta che ragiona sulla possibile chiusura di uno stabilimento in Germania, dove ne ha dieci: quattro fabbricano componenti e gli altri sei veicoli per un totale di cento ventimila addetti sui duecentomila che conta nel mondo. Il marchio è uno dei simboli del paese e le sue difficoltà incarnano quelle della nazione. Volkswagen afferma che al marchio mancano volumi per 500 mila automobili, l’equivalente di due stabilimenti.
La transizione verso la produzione di veicoli elettrici ha avuto un impatto significativo sui costi operativi. In che misura questa transizione sta influenzando la necessità di riorganizzare le fabbriche e ridurre i costi per Volkswagen?
I costi operativi sono aumentati per molte ragioni, anche legate alla delicatissima congiuntura politica-economica mondiale. Il costo del lavoro è alto in Germania, ma veniva in parte compensato da quello più contenuto dell'energia, che con il giro di vite sul gas legato alle sanzioni imposte alla Russia dopo l'invasione in Ucraina è diventata molto cara. Poi ci sono le materie prime strategiche per la produzione delle auto elettriche, controllate in gran parte della Cina, e anche i parametri socio ambientali che gravano più sulle case automobilistiche del Vecchio Continente che su altre. Il problema del marchio e del gruppo è anche una conseguenza dello scandalo della manipolazione dei sistemi di abbattimento dei gas di scarico. Dopo aver sostanzialmente affossato la tecnologia diesel, il colosso tedesco doveva recuperare in termini di immagine e l'ex Ceo Herbert Diess ha fatto una sorta di “all in” sull'elettrico.
La chiusura di uno stabilimento in Germania potrebbe avere conseguenze sociali rilevanti, soprattutto in termini di posti di lavoro. Davvero Volkswagen può permettersi una decisione simile?
La situazione è delicatissima, perché forse due degli stabilimenti a rischio chiusura, si trovano nella ex DDR, quello di Chemnitz e di Dresda, e uno nell’Ovest, Onsabrück: nelle “nuove regioni” della Germania Unita la Alternative für Deutschland è fortissima ed è sempre più influente anche nei Consigli di Fabbrica, cosa con la quale ha dovuto fare i conti anche Mercedes-Benz. Quelli della Bassa Sassonia, dove si trova il quartier generale di Volkswagen, sembrano blindati, anche perché il Land è azionista con diritto di veto ed è guidato dai socialdemocratici, che non si possono permettere un'ulteriore emorragia di voti anche all'Ovest. Non escluderei che l'ipotesi della chiusura sia stata messa all'ordine del giorno in vista delle trattative sulla riduzione dei costi, fra i cinque e i 10 miliardi di euro, che comporterà misure a carico dei dipendenti. VW non è un'impresa qualsiasi: ha una responsabilità sociale diversa e non solo perché è il marchio più venduto, il solo con una quota in doppia cifra sul più grande mercato automobilistico europeo.
Con il mercato automobilistico globale in rapida evoluzione e la crescente concorrenza da parte di produttori cinesi e statunitensi, quali sono le strategie che Volkswagen sta implementando per mantenere la propria competitività sul mercato?
Se fossi sicuro di avere la risposta giusta, mi proporrei a Volkswagen. Non farà marcia indietro sull'elettrico, ma l'Unione Europea non deve cambiare gli obiettivi sulle emissioni perché metterebbe in difficoltà anche altre case automobilistiche. Offrirà più soluzioni ibride, che è quello che stanno facendo altri, che però hanno piattaforme flessibili, mentre VW si è concentrata su quelle esclusivamente elettriche. E di sicuro cercherà, e credo anche che lo troverà, un accordo con il sindacato per ridurre i costi del personale. All'inizio dell'anno aveva già dato un segnale, partendo dall'alto: ai dirigenti di livello elevato non è stato più consentito di disporre di modelli Porsche come auto aziendali.
Volkswagen ha recentemente investito molto nella produzione di auto elettriche. Come conciliare questa strategia di espansione nel settore elettrico con la necessità di ridurre i costi operativi, che ha portato alla valutazione della chiusura di uno stabilimento?
Il marchio e il gruppo, come ho detto, avevano qualcosa, come dire, da farsi perdonare dopo il dieselgate. L'opzione elettrica è stata anche una necessità. Se l'Europa dovesse cambiare strategia le difficoltà sarebbero enormi. Quelle che VW non è ancora riuscita a portare sul mercato sono le elettriche di volume cioè quelle più economiche: quando arriveranno, le vendite dovrebbero aumentare e la situazione migliorare, anche dal punto di vista dei bilanci. Il problema è che già nel 2025 scattano i nuovi e più restrittivi limiti sulle emissioni: assieme a Ford, secondo le stime Volkswagen, come gruppo, è quello più lontano dal raggiungimento degli obiettivi e rischia multe salate.
Si parla di Volkswagen, ma altre case automobilistiche hanno già tagliato posti di lavoro e costi, come Stellantis. Esiste un calo delle vendite generale?
Nonostante tutto, nei primi sette mesi dell'anno, nei paesi UE, EFTA (Norvegia, Islanda e Svizzera) e Regno Unito le immatricolazioni di auto elettriche sono aumentate dello 0,7%. Il problema è che la loro diffusione è aumentata molto più lentamente rispetto agli anni scorsi, anche per via della riduzione o eliminazione degli incentivi alla conversione. La crescita è dipesa dalle auto più costose, che solo aziende, che vogliono ridurre le emissioni medie della flotta, e famiglie benestanti si possono permettere.