“Guadagni sociali”, “scopi sociali”, “obiettivi sociali” sono diventati le banalità quotidiane del nostro linguaggio. La necessità di una giustificazione sociale per ogni attività e per ogni cosa esistente è adesso data per scontata. Non c’è proposta abbastanza oltraggiosa per la quale il suo autore non possa ottenere ascolto e approvazione rispettosi se dichiara che in qualche modo indefinito essa è per “il bene comune”.
Sono parole del 1946, per la seconda edizione di Antifona, il romanzo breve di Ayn Rand appena ripubblicato da Liberilibri, una casa editrice che non ha eguali in Italia. Sono ottant’anni che possiamo fare libero uso di parole come queste e della nostra intelligenza, e invece continuiamo a non capire. Peggio, continuiamo ad avallare le pretese retoriche, irrazionali, spesso basate sull’invidia sociale, di chi attraverso il potere politico cerca di annientare l’uomo. Una premessa. Ayn Rand non è solo una delle fonti di ispirazione per molti libertari e una sopravvissuta (perché così vanno definiti gli intellettuali di origine russa scampati al destino matematico di qualsiasi testa pensante nell’Unione sovietica); ma una scrittrice assoluta, altissima, colta e magniloquente. Grande quanto George Orwell. Antifona diventa così il modo migliore per avvicinarsi all’opera di un’autrice la cui lingua nasce dalle letture dei classici settecenteschi e ottocenteschi, Dumas, Hugo, Scott. Oggi, abituati ad altri stili di scrittura, Ayn Rand costituisce a tutti gli effetti una sana alternativa. E in fondo è ciò che è sempre stata, politicamente e filosoficamente: un’alternativa al socialismo delle menti, all’omologazione, all’uguaglianza forzata, ai campi di concentramento del collettivismo. Immagina avere in testa, in modo chiarissimo, il grande inganno della modernità a venire, quello di distinguere il nazismo dal socialismo, condannando il primo ma salvando il secondo. Immagina doversi attrezzare per difendere non nettezza i valori umani, la libertà, l’intelligenza, l’iniziativa. Se non vi resta difficile credere nell’impresa siete sulla buona strana per capire che oggi, come cento anni fa, si deve lottare per questo, contro l’annientamento.
La storia è semplice. Una società distopica in cui è vietato stare da soli: “È buio qui. La fiamma della candela si leva immobile nel- l’aria. Niente si muove in questa galleria tranne la nostra mano sulla carta. Siamo soli qui sottoterra. È una parola spa- ventosa, soli. Le leggi dicono che a nessuno tra gli uomini è consentito stare da solo, mai e in nessun momento, poiché questa è la grande trasgressione e la radice di ogni male. Ma noi abbiamo infranto molte leggi. E ora non c’è nulla qui tranne il nostro unico corpo, ed è strano vedere solo due gambe allungate al suolo, e sulla parete davanti a noi soltanto l’ombra della nostra unica testa”. È interessante l’inversione, probabilmente involontaria, del mito della caverna di Platone, per altro un filosofo considerato, sulla scorta dell’interpretazione di Karl Popper, il padre dei totalitarismi. Qui, nascosto, il singolo individuo vede proiettata a mo’ di ombra della sua testa l’unica grande verità, che alla luce del sole diventa apparenza per volere del Gran Consiglio, deputato insieme ad altri organi centrali a mantenere l’uomo sotto il giogo del collettivismo dopo la “rivoluzione”, chiamata Grande Rinascita (nome che fa pensare ai new deal, le grandi riforme economiche). Questa verità è l’individuo stesso, la sua forza dirompente, il potere della creatività, della libertà di azione, del pensiero razionale. La sua scrittura, anch’essa proibita salvo indicazioni diverse arrivate dall’alto. Tutto ciò viene osteggiato pedissequamente dalle forze del male, vale la pena di definirle semplicemente così. Dal lato oscuro della forza, meglio. Lato oscuro le cui parole d’ordine sono, oggi, le stesse di quella cultura ormai egemone, chiamata woke, progressista, liberal, dem, socialdemocratica, politicamente corretta, che viene costantemente mascherata e fraintesa: la cultura socialista. Una cultura della distruzione e della dissoluzione, più pericolosa del nazismo stesso, perché di respiro internazionale, non razzistico, in grado di convincere chiunque, a qualsiasi latitudine, che sia meglio uccidere la libertà in nome di concetti e valori arbitrari, scelti sulla base del proprio odio verso il prossimo. Antifona è l’ennesimo tentativo dell’autrice de La fonte meravigliosa e La rivolta di Atlante, due capolavori inimmaginabili oggi, di metterci in guardia dal pensiero totalitario, i cui germi sono nei nostri discorsi quotidiani, mascherati da parole come “bene comune” e “collettività”. E se vi sembra assurdo che il Collettivo 0-0009 abbia, impaurito, punito gli inventori dell’elettricità (“Come avete osato pensare che la vostra mente possedesse una saggezza più grande di quella dei vostri fratelli?”), ricordatevi che oggi il Collettivo punisce chiunque provi a dire “grasso” o a difendere Biancaneve.