Forse riconosci uno scrittore anche da questo, che quando gli chiedi l’intervista ti dice: “Preferisco la parola scritta”. Lo scrittore se le sceglie da solo, le parole. E iniziamo il nostro botta e risposta. Luca Ricci è davvero il Bukowski della letteratura italiana? Nel 2010 un’indagine sul Sole 24 Ore lo indica come uno dei tre migliori scrittori under 40 del nostro Paese. Ma vale la pena di guardare alla quarta di copertina di una vecchia edizione di Factotum, il primo romanzo di Buk pubblicato in Italia, ovviamente da SugarCo edizioni: “Più osceno di Miller, più violento di Hemingway, più imprevedibile di Ginsberg, nuovo Kerouac, Céline degli Stati Uniti e, addirittura, Majakovskij del Pacificato (Le Monde)”. Dire se siano paragoni sani, cioè da farsi, è troppo difficile. Certo Bukowski meritava questa e altre iperboli. Per Ricci vale lo stesso. La sua quadrilogia delle stagioni, iniziata nel 2018 con Gli autunnali e conclusasi nel 2023 con I primaverili (interamente pubblicata da La Nave di Teseo), e i suoi racconti sono un unicum in Italia, non solo perché, del genere racconto, Ricci è l’unico vero esponente della Penisola, ma perché la sua scrittura non si limita a beccare in giro i rimasugli di una storia letteraria setacciata dalle mode: in Ricci ci trovi Silvio D’Arzo e Guy de Maupassant, in mezzo tutto il resto. Se vi sembra si stia dicendo troppo, leggetelo. Altra cosa: Ricci non è l’unico autore ad aver completato un ciclo sulle stagioni. L’altro è il norvegese Karl Ove Knausgärd, uno dei papabili al Nobel. Per dire che forse ogni Paese, per capire lo stato di salute della propria letteratura, dovrebbe avere il suo ciclo delle stagioni. L’ultimo libro di Ricci è una serie di racconti lunghi, Gotico rosa (La Nave di Teseo, 2024). Ognuno ci trova quello che vuole: Gogol, Cortàzar e… Andiamo avanti.
Fammi essere subito cattivo. Tu scrivi soprattutto racconti, un genere fuori moda. Quanto vendi?
Il racconto non è mai stato di moda, per fortuna. Non esiste un’epoca d’oro del racconto, né in Italia né all’estero. La brevità sul piano meramente commerciale è sempre stata sconfitta dalle forme lunghe, dal romanzo. Ma oggi non basta neanche più scrivere un romanzo per vendere. Devi scrivere un romanzo premiato. Ed è triste, perché più si parla dei premi meno si parla di letteratura.
Ti sono piaciuti i libri in finale al Premio Strega quest'anno? Secondo te sono prodotti pensati proprio per andare incontro a ciò che dici tu, un mercato in cui si vendono solo "libri premiati”?
Il punto è la nevrotizzazione del premio. Se l’intera filiera campa su un premio il sistema editoriale italiano è malato. Se l’unica legittimazione e visibilità e possibilità commerciale te la offre un premio - che diventa la grande lotteria di Capodanno degli scrittori - vuol dire che la vita vera è sprovvista di cultura. Ci metto anche i saloni e i festival perennemente sold out, mentre le librerie sono vuote. La letteratura - la lettura - non dovrebbe essere uno spettacolo.
È vero, le librerie sono vuote. Il 60% degli italiani non legge neanche un libro all’anno. Credi sia un problema dell’italiano medio, sempre più refrattario alla cultura, o che sia un problema della cultura che non sa rinnovarsi? Philip Roth ha scritto che il romanzo è un genere letterario finito.
La perdita di centralità della letteratura è purtroppo un dato di fatto, oltre che una preoccupazione costante (ci ho scritto sopra un ciclo di quattro romanzi, la quadrilogia delle stagioni). C’è un gran fermento nel mondo delle lettere a giudicare dai social network, ma avviene tutto senza i libri. Se un tempo la comunicazione serviva ai libri, oggi i libri servono alla comunicazione. Più che giudizi senza analisi facciamo proprio dei pettegolezzi. La cultura l’abbiamo ridotta a un meme, per cui una frase di Coelho è uguale a una di Cioran. Non so se siamo alla fine - ogni epoca è affascinata dall’interpretare questo ruolo tragico - però il cambio di paradigma è oggettivo e avrà conseguenze pesanti.
Credi che il governo possa (e debba) fare qualcosa per la cultura, magari per “strapparla” alle logiche del mercato? Mancano fondi e investimenti seri?
Il governo si dovrebbe occupare della scuola di Stato, di farla sopravvivere e anzi di rafforzarla. Insieme alla sanità, la scuola dovrebbe essere la pietra angolare di qualsiasi Paese civile. Stanno svendendo e privatizzando tutto, e non da oggi. La cultura in senso ampio è un calderone di cose in perenne fermento, non ha bisogno di legislatori. Il punto è che fine farà la letteratura, se farà ancora parte degli ingredienti del calderone oppure no. Sarà una forma d’arte museificata come in parte lo è già. Agli scrittori viventi si chiede di scrivere come i venerati maestri. Ma se io scrivessi come Verga avrei rinunciato a intendere la letteratura come una cosa viva.
Parliamo di Gotico rosa. Come si scrive una raccolta di racconti?
Un libro di racconti è una collana di perline. Più che le perline devi avere il filo. Il filo era indagare le ombre del sentimento amoroso, quanto l’amore dica di noi soprattutto nel deragliamento, nella degenerazione, nella follia - cioè quasi sempre. In una decina d’anni ho scelto sette perline. Le ho infilate dentro il filo.
Parli di temi che abbiamo imparato a trattare in modo indiretto. Tu invece ci sbatti la faccia, anche a costo di raccontare il marcio, le disfunzioni, quello che non vorremo sentirci dire. Ecco, tu lo dici e te ne freghi. Non è un po’ da “stronzi”? Non ti senti un po’ come Bukowski, geniale ma anche, tutto sommato, isolato?
Addirittura Bukowski! Io vengo dal minimalismo, sono un fighetto (ride, ndr). A parte gli scherzi, da un punto di vista formale i miei racconti sono cambiati molto. Il piede nel letto e L’amore e altre forme d’odio erano raccolte di short stories. I difetti fondamentali e Gotico rosa sono raccolte di novelle o racconti lunghi. Ho slabbrato la misura, prima in un senso e poi nel senso opposto. Dal cortissimo al lunghissimo, cercando sempre un tratto comune che appartiene alla letteratura: la mostruosità, non nel senso del brutto, nel senso dell’opera fuori dalla norma. Quella che esige dei veri lettori.
Qual è il tuo scrittore preferito?
Guy de Maupassant. Non è una battuta! Prendi i suoi racconti, sono stati scritti nella seconda metà dell’800, eppure sono velocissimi. Ogni incipit predispone un piano inclinato, e l’occhio del lettore non può fare altro che scorrere giù. Sono più avvincenti di un reel su Instagram. Maupassant, a leggerlo, è uno di quelli che fotte la rete. Il contrario della letteratura museificata di cui parlavamo prima.
Qual è lo scrittore più sopravvalutato in Italia?
La risposta secca sarebbe impropria, oltre che sensazionalistica. In realtà sono una legione. Sono i colletti bianchi delle nuove sensibilità, magari impeccabili nel dibattito pubblico ma scarsissimi con le metafore. Quelli che alla letteratura hanno preferito il tema. I premiabili, che è una parola ormai sovrapponibile a “presentabili”. Gli scrittori invece devono restare impresentabili (a destra come a sinistra).
In Italia sono più spesso i politici a essere impresentabili. Che libro consiglieresti a Giorgia Meloni? A Vannacci?
Consiglio ai nostri politici un libro ancora inedito in Italia, Souvenirs sur Guy de Maupassant” di François Tassart. Chi era Tassart? Il valletto di Maupassant, il suo cameriere personale. Vedo alla politica così, in senso utopistico: i politici dovrebbero essere i nostri camerieri. Rivendico poi la neutralità politica per gli intellettuali. Un intellettuale non deve fare, deve guardare gli altri fare. Solo così può criticare: se fai non guardi. Se proprio devi schierarti, se proprio vuoi prendere parte al gioco dell’oca, renditi almeno detestabile dalla tua stessa parte politica.
C’è stato un momento particolare della tua vita che ti ha avvicinato alla scrittura?
Me ne sono sempre sentito vicino. So che sembra una risposta arrogante, però è la pura verità. È la sensazione che ho sempre provato di fronte all’atto di scrivere. Una cosa con cui avevo familiarità. L’unica cosa che non fruivo passivamente ma che comprendevo dall’interno. Diciamo che per tanti anni ho solo dovuto aspettare di diventare uno scrittore. Ho abbandonato diverse scuole per scrivere, perché mi distoglievano dall’obiettivo, mi facevano perdere tempo. Però ho fatto il master degli scrittori: il portiere di notte presso un albergo.
La tua ultima sbronza? E quando ti sbronzi scrivi?
Forse ti deluderò ma io ho un unico vizio: la lucidità. La lucidità è una forma di delirio vertiginoso, una forma di demolizione assistita della realtà data. Questa prerogativa mi porta in dote la scrittura. Non provo piacere nell’ottundimento alcolico, anzi la trovo una forma di debolezza. La scuso nei miei simili ma non la tollero in me. Quando bevo - e mi capita - giro alla larga dalla mia scrivania. Questo non mi impedisce di stare scrivendo un romanzo su un alcolizzato. Quanto può essere meravigliosamente distante la letteratura dalla vita!
E il sesso?
Il sesso è bello e in passato è stata anche una forma di dipendenza. Oggi ti dico: non c’è niente di più osceno dell’amore. I sentimenti sono più estremi di qualsiasi pratica sadomasochistica.