Ma quella a Tony Effe è censura o no? Il cantante e trapper suonerà comunque a Roma in un concerto che farà concorrenza al Capodanno di Gualtieri, che sta perdendo artisti da ogni lato, tutti rigorosamente in solidarietà all’amico “licenziato”. Le femministe si chiedono come sia possibile vedere, in modo così compatto, prendere le difese di uno dei tanti autori di testi a dir poco misogini. Altri, come il nostro direttore Moreno Pisto, si sono chiesti invece come sia possibile il clamore per un trapper da classifica, mentre la causa del ministro Valditara contro Nicola Lagioia non ha ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato. Sicuramente è più facile difendere quelli del proprio branco che non scrittori che, per altro, probabilmente non si è mai neanche letto. Sta di fatto che a difendere Tony Effe, in un certo senso, è arrivato anche uno scrittore d’eccezione. Altro che Mahmood, Marcello Veneziani, uno dei pochi intellettuali di destra di peso in questo Paese. Su La Verità, infatti attacca il sindaco di Roma e una tendenza, ovviamente woke, a censurare orwellianamente chiunque non si allinei all’intelligenza (o stupidità?) collettiva. Secondo Veneziani, Gualtieri sarebbe diventato alfiere di un “femminismo bigottista” che ha contagiato tutto, persino il moralismo algoritmico dei social che censurano Bruno Vespa per la promozione del suo libro su Hitler e Mussolini: “Algoritmi dementi ma ideologicamente ispirati” dice.
“Lasciamo perdere i singoli fatti, di cui si è già occupata la stampa, e risaliamo alla tendenza di fondo” continua Veneziani. “Viviamo in un’epoca che inneggia alla Libertà illimitata, elogia la trasgressione, denigra e denuncia ogni forma di autoritarismo, di costrizione, di pudore che proviene dal passato, dalla religione, dalla tradizione. Ma poi, stranamente, è piena di censure, di squadre della buonscostume: questo non si può dire, quello non si può fare, vietato qui, proibito là. È quello che solo qualche giorno fa chiamavano il nuovo bigottismo dell’ipocrisia. Nascondere la realtà, omettere la verità, usare un linguaggio falso e fariseo, adottare la finzione come galateo e catechismo, cioè come norma etica ed estetica”. Veneziani se la prende quindi con le contraddizioni e con una visione di insieme debole e instabile, che ci vorrebbe tutti progressisti e lassisti, ma censori e inquisitori in modo allarmante rispetto a ciò che non ci aggrada. “Sappiamo bene che tante canzoni, tanti film, tanti libri in circolazione fino a pochi anni fa, oggi non sarebbero possibili con le nuove cataratte della censura woke. Altro che la censura ai tempi della Rai di Bernabei, delle parrocchie al tempo di Pio XII o delle commissioni censura di Scalfaro e Andreotti; è molto peggio”. E ancora di più serve prendersela con il paternalismo woke: “Ma poi che demenza questa ossessione che dobbiamo tenere lontani i cittadini, come bambini permanenti, da ogni scena, da ogni canzone, da ogni testo o pagina di storia, reputate scabrose o violente, per non turbare la loro fragile mente e la loro fragilissima coscienza... Ma è così deficiente il popolo sovrano?”