Tutto quello che so della Formula 1. Nulla. Zero. Che dovrebbe essere la velocità delle auto quando sono ferme (credo). Ecco, forse so solo questo. Ma può capitare di non essere interessati a uno sport, che poi è un gioco di vite, e finire per scoprire quelle vite che giocano. Ci sono cose che le biografie non dicono, come la legge fisica dietro l'ingegneria, la scienza della velocità. Ma altre cose vanno lente, sono la cantilena di un desiderio, un motivetto che suona in testa. Allora ti capita di aprire una biografia, Ayrton Senna. Occhi feroci, occhi bambini (Dfg Lab, 2024), e finisci per capire qualcosa di più di quella lentezza, di quel modo di stare al mondo che sembrerebbe paradossale per chi corre in auto. Ma ci sono molti modi di andare lenti. La dedizione, la volontà, il viaggio dal Brasile verso l'Italia, hanno una lunga durata. Il dolore di una madre, pure. Un dolore che deve covare in silenzio quando il figlio parte “per andare là, in Europa, dove si svolgevano le competizioni vere, dov'era nata e dove continuava a vivere la Formula 1 dei sogni di quel ragazzo”. Lei lo sapeva meglio di tutti, evidentemente, lei che magari di motori ne capiva più o meno quanto me. Zero. A riprova che le corse, la Formula 1, forse, non sono solo macchine. Il libro lo ha scritto Giulia Toninelli, che già dà da pensare. Ma il motorsport non è uno sport da uomini? Non lo è.
Non perché le donne abbiano delle caratteristiche intrinseche, oggettive, che vedi nella Formula 1 e ti fanno dire: no, non è uno sport per soli uomini. Ma perché ci sono molti modi di affrontare la vita. Uno di questi è raccontare storie. E le storie non sono mai per soli uomini o per sole donne. Allora so qualcosa in più della Formula 1. La velocità delle auto quando sono ferme e una storia. La storia di Beco, del suo primo maestro meccanico che, sì, credeva in lui, ma senza l'inutile fanatismo di chi punta a monetizzare la tua scintilla. Questo mi ha colpito. Immaginiamo sempre l'investimento su un giovane ragazzo, “traballante”, come lo descrive l’autrice, come un modo per mangiare soldi. Un progetto per avere la pancia piena. Invece vedi questo inizio, l'inizio di un campione come pochi, dove a comandare è, certo, una fame, ma di quelle che a nessuno interessa saziare. È la fame fine a se stessa, il correre fine a se stesso, il vivere fine a se stesso. Il vivere per vivere è quello dei campioni, anche fuori da una pista. È come lo scrivere per scrivere, l'amare per amare, il pregare per pregare. È tutto lì, in una risposta che non risolve niente: perché lo fai? Perché sì. Non lo sapevo e non lo immaginavo. Lo sport si esprime in modo sostanzialmente diverso dalla letteratura.
Condividono la fatica dei tentativi e lo sforzo per avere sotto il cu*o il sedile giusto, il contratto giusto, l'auto giusta. Ma poi in letteratura si corre quasi sempre da soli. L'ho capito grazie a quegli occhi feroci e da bambino raccontati in duecento pagine appena, quelli di The Magic, cioè del Senna grandicello, la cui potenza resiste dove non c'è più nulla, oltre Imola, oltre l'Ospedale Maggiore di Bologna. Non lo sapevo, non ne avevo idea. Ma questo libro ha fatto la differenza. Occhi feroci, occhi bambini, e tutto quello che si portavano dietro. Questo la dice lunga anche sul sedile giusto, sull'auto giusta, di Toninelli. La scrittura e lo sport, insieme. E non è facile. Perché sarà costretta a scrivere di gente che non chiude mai quegli occhi, neanche quando arriva la parola fine: “Le telecamere inquadrarono il pilota muovere debolmente la testa: era vivo. Ayrton Senna era vivo. Come avrebbe potuto essere altrimenti?”