Napoletana spesso in viaggio, Magdalena Lucca, in arte Magda, sta trovando la propria strada nel minaccioso mondo pop a suon di profili social parecchio frequentati (fate un giro su Instagram e verificate; qui un momento della sua recentissima esibizione ai Magazzini Generali di Milano) e collaborazioni anche cinematografiche (l’imminente “72 ore” di Luciano Luminelli, in cui è co-protagonista). Non solo “pop, pop, pop muzik”, quindi. E poi… “She’s got the look”, aggiungerebbero forse, ancora oggi e suonando oltremodo boomer, i Roxette. Che non sono un riferimento così strampalato, visto l’amore di Magda per il pop degli ultimi due decenni dello scorso secolo. No, non ha solo “il look”, Magda. E non è solo un altro “prodotto”, l’ennesimo, di una Napoli negli ultimi anni straordinariamente generosa. Il nostro viaggio alla sua scoperta, però, inizia proprio lì, dalla sua Napoli.
Il ruolo di Napoli nella tua formazione artistica. Se Napoli ha un ruolo…
Certo che la ha! È una città di contrasti, piena di vita. Un ambiente ricco di stimoli.
Cosa c’è in “Ride of love”, il tuo ultimo singolo?
È un pezzo nato in freestyle, nato in collaborazione – una magica collaborazione – con Vincenzo Bles, in cui emergono temi legati al viaggio, alla ricerca. La ricerca dell’amore autentico attraverso le esperienze di vita. C’è una ricerca costante di una connessione speciale, potente. Poi c’è anche un senso di completamento, di appartenenza, che l’amore offre. Che si contrappone alla voglia di raggiungerlo, che spesso è permeata da quella sensazione inspiegabile di non riuscirci mai completamente.
Osservazioni che suonano oltremodo esperte per una 27enne. Quanto c’è di te in questo viaggio alla ricerca del Graal relazionale?
Credo che la chiave in amore sia il completamento. Che deriva dal sacrificio di coppia. Ogni giorno evolviamo, siamo esposti a sfide. L’amore vero ti forza a dover stare al passo di questa costante evoluzione. Forse l’errore alla base di tante relazioni fallimentari è pensare che l’amore sia facile. E che con la sostituzione del partner di turno tutto vada meravigliosamente a posto. Quindi torno al sacrificio, come base per far funzionare l’amore. Il sacrificio è il motore nascosto dell’amore.
Musicalmente ho colto degli echi nostalgici di italo-dance anni ’80.
Sì, un suono retro-wave che sostiene una poesia dell’anima. La retro-wave mi ha aiutato a smorzare la malinconia offrendo un abbraccio di speranza. Anche nei momenti brutti l’amore non finisce mai, torna. La forza dell’anima che spinge avanti. Viaggiando, cercando la libertà. E l’amore nella libertà.
Concetti che sembrano un po’ estranei al circo pop odierno, non credi?
Con “Londra 66”, in passato, mi sono misurata con la scena pop contemporanea. Ma ogni mio singolo fa emergere una parte diversa della mia personalità, diverse sfaccettature. I temi (e i toni) dei miei brani sono vari. Ci sono semplicità, leggerezza, divertimento. Ma si parla anche di tendenze, di consumismo. Vorrei che gli ascoltatori riuscissero a collocarsi nelle mie canzoni perché io non so esattamente dove collocarmi. Vorrei arrivare a un pubblico che ha bisogno di diversità.
Quali artisti ti hanno ispirato una visione così cangiante della pop music?
Tanti. Penso a Michael Jackson, Sting, Beyoncé. In Italia a Biagio Antonacci, alla sua capacità di scrittura. Mi piace la dance anni ‘80/’90. Mi affeziono alle atmosfere, a una musicalità ricercata. E credo che l’industria musicale odierna si stia un po’ buttando via producendo continuamente singoli adatti alle piattaforme social. La qualità delle basi si è abbassata, per questo sto cercando un producer con cui collaborare per far emergere suoni molto precisi. Penso anche a un arrangiamento per orchestra, in futuro. Però autogestirsi in tutto, oggi, è difficile. Un team che ti sostenga è fondamentale se vuoi provare a produrre arte.
E da dove viene l’arte?
Di solito l’arte migliore proviene dai momenti peggiori. Cosa scrivi quando sei felice? L’amore ci fa scrivere e ci fa riuscire ad esprimere sul serio quando ci dà delle lezioni, delle batoste. Da questo punto di vista ringrazio anche chi mi ha fatto soffrire.
Finiamo da dove siamo partiti. Da Napoli, da Geolier.
Nella scena napoletana c’è tanto di buono e anche qualcosa di inutile, scadente. Ciò che ha fatto Geolier, però, è inestimabile. Penso che stia portando avanti meravigliosamente “la voce di Napoli”. Ha tutto: la capacità di composizione, i sample, la dimensione live, lo slang, il sentimento, la scrittura. Il suo successo è assolutamente meritato. Mi emoziona. Mancava a Napoli il successore di Clementino.