“Non c’è esistenza più strana di quella che si vive voltando le spalle ai propri desideri”. Così Pedro Almodovar, durante il Festival di Cannes di quest’anno, aveva sintetizzato il nucleo del suo ultimo film, Strange Way of life, con protagonisti Ethan Hawke e Pedro Pascal nei panni dello sceriffo Jake e del cowboy Silva. La frase del regista prende spunto dai testi delle canzoni di Amália Rodrigues e dal suo fado, che ispira anche il titolo stesso della pellicola. Jake, lo sceriffo di Bitter Creek, sta indagando su un omicidio quando il suo vecchio amico Silva entra nel suo ufficio. I due non si vedevano da venticinque anni. Decidono di bere qualcosa insieme anche se lo sceriffo non beve più molto: l’alcol portava con sé troppa follia, chiarisce Jack. “Niente affatto”, replica l’altro. Inequivocabili gli sguardi, quel sorriso, che il volto duro di Jack non era riuscito a nascondere del tutto, era già un segno inconfondibile della natura della loro relazione. Poi i ricordi, il riaffiorare delle emozioni che i due pensavano di essersi lasciati alle spalle. Il passato ribolle nel loro presente. Strange Way of Life, però, non è solo una storia d’amore. I due uomini sono legati anche dall’omicidio su cui lo sceriffo è al lavoro. Silva, infatti, ha attraversato il deserto per distogliere l’attenzione di Jack da suo figlio, uno dei primi indiziati per essere l’assassino. Amore e morte, si intrecciano, così come il desiderio e il senso di giustizia. Due lati della stessa medaglia, un nodo che i due personaggi dovranno sciogliere nel corso della vicenda. “Non guardarmi così”, dice Jack al cowboy. “Come altro dovrei guardarti?”, risponde Silva. Uomini scissi, incapaci di scegliere quale ruolo interpretare. Essere padre, nel caso di Silva, o un uomo della legge, nel caso dello sceriffo. Costretti a ricoprire le loro posizioni senza dar seguito a quella che forse è la ragione del loro incontro: un desiderio a cui sono costretti a voltare le spalle. Il film di Almodóvar, pur mettendo al centro una tematica che solitamente non appartiene al genere, cerca di rispettare i canoni del western: “Ho cercato di fare un western classico, declinando il tema del desiderio al maschile, cosa mai fatta prima. È un western a modo mio, sì il primo decisamente queer”. Una cornice ben nota al pubblico per contornare una vicenda mai messa a fuoco. Il cowboy è quasi per antonomasia l’emblema del macho: basta vedere Clint Eastwood nei film di Sergio Leone o John Wayne nei western di John Ford. Almodóvar parla invece dell’amore di due uomini. Niente donzelle da salvare o da conquistare. Eppure, non forza i personaggi a rendere esplicito il loro amore. In molti, infatti, hanno sottolineato la differenza rispetto ad altri film del regista spagnolo, in cui la camera non si sottraeva nemmeno quando gli amanti andavano a letto.
C’è tanto anche de Il potere del cane di Jane Campion, con Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst e Jesse Plemons. In quel caso, la sessualità dei protagonisti non trovava valvola di sfogo se non nella durezza delle loro relazioni. Nel suo film, dice ancora Almódovar, la sessualità non esplode, “ma in nessun western si sono visti due uomini rifare il letto”. L’originalità sta non tanto nell’esposizione, quanto nel sotteso, nei gesti e negli sguardi: “Nei miei film in passato ho girato tante scene di sesso esplicito. Ora mi sono stancato di mostrarlo così, ho preferito mostrare la forza del desiderio in un altro modo”. Impossibile non pensare a I segreti di Brokeback Mountain, con Jake Gyllenhaal e Heath Ledger. In quel caso, sottolinea il regista spagnolo, erano pastori e non cowboy, il che rende il film Ang Lee non propriamente un western. Il cortometraggio, comunque, è una risposta alla domanda vacante posta dal film di Lee: “Cosa possono fare due uomini in un ranch?”. Il finale di Strange Way of Life dà una sua versione.
Perché scegliere un cortometraggio e non un film più lungo? Pedro Almodóvar a 73 si vuole prendere qualche libertà, senza dover rendere conto a nessuno delle sue scelte. Nel progetto, il regista spagnolo è stato accompagnato da Anthony Vaccarello, direttore creativo di Saint Laurent e produttore associato della pellicola. Anche gli abiti, in effetti, sono ispirati dai look dei protagonisti dei film di Anthony Mann e John Sturges. C’è molto, dunque, in Strange Way of Life: la visione di un regista, un amore insolito, un western alternativo e che, allo stesso tempo, riesce a tenere il filo dei suoi predecessori. Meno sesso rispetto al passato, ma con più desiderio. Perché quest’ultimo non è sempre la cosa che emerge, che diventa visibile. Il desiderio non porta in mano cartelli per farsi riconoscere. Al contrario, la sua essenza più vera è quella che rimane celata tra le righe.