Arriva prima la vista che l’udito. Lo capiamo sin da piccoli, quando i lampi che tagliano il cielo, specie di notte, aprono le porte alla paura del rombo del tuono, fragoroso, qualche istante dopo. Lo impariamo a scuola, quando ci spiegano che la velocità della luce è in effetti tale da giustificare quel tirarla sempre in mezzo quando si parla di supereroi. Ne abbiamo conferma oggi, nel mondo dei social, dove l’immagine, statica, prima, in movimento, oggi, ha decisamente occupato una posizione centrale, lasciando che il suono occupasse poi tutti gli spazi lasciati liberi, intorno. Per questo non ci sorprende più che un qualsiasi artista decida di tirare fuori prima la copertina del proprio prossimo singolo che un piccolo estratto audio, uno spolier, qualcosa che ci dica dove con quel singolo andrà a parare. Se poi l’artista in questione è Elodie, attenzione attenzione, artista che con l’immagine, la propria immagine, la propria estetica, quindi, ma anche l’immaginario che quella estetica va a occupare, ha un rapporto decisamente risolto, coerente, beh, da meravigliarsi, sulla carta, dovrebbe rimanere ben poco. Ricorderete infatti tutti il clamore, se ne parlava giusto ieri a proposito del mutismo di Gino Paoli sull’esibizione reiterata della tartaruga degli addominali di Fedez e company, lui che aveva criticato l’esibizione del culo della medesima Elodie, senza neanche dover star lì a nominarla, parli di un culo esibito e subito tutti hanno pensato al suo, lei compresa, che infatti l’ha metaforicamente mandato a cagare, ricorderete, dicevo, il clamore per il video di A fari spenti e la cover di Red Light Mixtape, il disegno di una Elodie desnuda fatto da Milo Manara.
Solo che Elodie ama davvero spiazzare lo spettatore, ma soprattutto infastidire i bigotti a senso unico, nonché i giornalisti musicali, che ieri hanno tutti gridato alla “Elodie nuda” sulla cover del singolo, scordandosi appunto di Fedez e Benji e Fede, sempre ieri, o di Blanco, Mahmood e chiunque, l’altroieri, quelli che diventano sessisti solo verso le donne, che giudicano le monache dall’abito ma non i monaci, quelli che, più che altro, faticano a aggiornarsi sulla contemporaneità, fatta anche di immagine, statica o in movimento, Dio santo i Buggles cantavano dei video che avrebbero fantomaticamente ammazzato le radio star ormai oltre quarantacinque anni fa. Così ecco che per lanciare il suo nuovo singolo, apripista del nuovo progetto discografico che dovrebbe, immagino, accompagnarci verso le due date negli stadi, San Siro e Olimpico, previste nel 2015, Elodie ha ben pensato di lanciare una immagine, quella della cover, che la ritrae a tinte rosse, come in un tramonto infuocato nel deserto, come mamma l’ha fatta e natura l’ha modellata. E stavolta, a differenza che nel video di A fari spenti e nella cover di Red Light, non c’è neanche quel gioco di capelli e mani che fa tanto Botticelli, stavolta il topless è totale, un ciuffo davvero lieve di capelli a provare a farsi scoglio che prova a arginare il mare, direbbe il poeta/paroliere. Black Nirvana, questo il titolo del singolo. Il Nirvana nero, che con tutto quel rosso, forse, potrebbe anche stonare, se noi fossimo quelli che di fronte a quella foto ci mettiamo a pignoleggiare sui colori. Ah, per la cronaca qualcosa l’Elodie della foto indossa, una gonna, si potrebbe ipotizzare bianca, che col rosso del tramonto desertico si tinge a sua volta di rosso. La canzone, dunque, perché ovviamente dopo il lampo arriva sempre il tuono, è scritto nei libri di scienze.
Anche le parole arrivano prima della musica, a volte, infatti quello che al momento del primo ascolto sappiamo è che a scriverlo, insieme alla stessa Elodie, è stato Jacopo Ettorre, già titolare di un fottio di hit, ultimamente, da Furore di Paola e Chiara a Discoteca italiana di Rovazzi, passando per Tuta Gold di Mahmood, Femme Fatale di Emma, Discoteche abbandonate di Max Pezzali, Malavidda dei Coma_Cose, Paprika di Ghali e buona parte del repertorio della stessa Elodie, da Due a Tribale, davvero impossibile dirle tutte, e Federica Abbate, autrice per la quale vale il medesimo discorso, giusto per fare qualche titolo, ma qui è anche più tosta, da Supereroe di Mr Rain a una qualsiasi hit estiva di Takagi e Ketra o i Boomdabash, passando per Fino qui di Alessandra Amoroso o Mariposa all’ultimo Festival, e la recente Melodrama di Angelina Mango, ma l’elenco dovrebbe essere infinito, a chiudere la lista autori Itaca, al secolo, si fa per dire, Merk & Kremont, Leonardo Grillotti e Eugenio Maimone, team di produttori del brano a loro volta dietro una bella quantità di hit. Tutti nomi, questi, che hanno già affiancato Elodie in passato, anche in quello recente. Nuovo corso, quindi, ma con le certezze date dallo storico.
La curiosità è tanta, perché l’ultimo tormentone estivo che Elodie ci ha regalato, lei che in passato ha dominato le estati, è quel Pazza Musica di e con Marco Mengoni che nel 2023 è stato giustamente letto come un tentativo, riuscito, di fare altro. Esserci certo, e in effetti i due ci sono stati, ma a modo loro. Cioè di fottersene di quel che passava il convento in termini di mode, andando a aprire un varco, fatto che per altro Elodie ha spesso fatto con le sue canzoni, non sempre a fuoco, l’ho scritto e lo confermo, ma quantomeno dotate di una propria personalità, ma le scorciatoie delle soluzioni più ruffiane e men che meno quelle più facili, si pensi al Due presentato a Sanremo l’anno scorso, certo sorretta da quel potente “per me le cose sono due, lacrime mie o lacrime tue”, presentava una soluzione armonica e strutturale affatto scontata, un po’ come del resto capita di ascoltare con le canzoni di Mahmood. Arriva mezzanotte e a mezzanotte il brano è ascoltabile. Ovviamente anche visibile, uscito direttamente in versione videoclip, con Elodie che alterna se stessa tigresca, come pose, nel deserto, a se stessa in versione donna in ammollo, oltre svariate altre simpatiche situazioni. Ok, respira.
Ma la canzone com’è? Ecco, la canzone è un electropop mosso, con una costruzione complessa, ma un ritornello che ti si pianta in testa, come un chiodo (senza evocare però le borracce con du’ chiodi di borotalchiana memoria, coerente in caso con la cover del brano), la reiterazione del titolo che diventa quasi ossessiva. Anzi, ossessiva e basta. Con anche un passaggio col basso distorto proprio alla Ok Respira, o alla Soldi sempre di Mahmood, quasi una autocitazione, a rendere il tutto ancora più potentemente alla Elodie.
Ora, riconosco a tutta questa operazione, l’annuncio del singolo a poche ore dall’uscita. La cover decisamente acchiappante, come il video, il brano che sicuramente farà faville in streaming come lì dove si balla, per dirla alla Dargen. Non sono sicurissimo, ma sono inezie, che sia esattamente l’inizio di un nuovo corso. Nel senso che mi sembra piuttosto in linea con quanto già ascoltato, forse la precisa congiunzione tra l’album e il mixtape, laddove magari ci si sarebbe potuti aspettare una qualche variazione sul tema. O forse no. Forse è giusto che una volta trovata una propria forma, una propria cifra caratterizzante Elodie vada di proclami musicali, melodie mai banali su ritmi spinti, un testo non sempre comprensibilissimo “Pioverò sopra le tue labbra desertiche/ ti ritroverai in un attimo in un enigma De Chirico/ ubriachi in un attimo o per strada/ luce verde di giada”, il vero enigma, fronte videoclip, come sia riuscita a salire su un scoglio con un tacco dodici.
Elodie è tornata, e forse non se n’era mai andata. Esce nel giorno in cui sul mercato arrivano un fottio di canzoni, ormai succede così a ogni giovedì, e per l’estate 2024 se la dovrà vedere con un mucchio di altri pretendenti al trono dei tormentoni. L’impressione, ma potremmo sbagliarci, è che Black Nirvana punti a altro campionato, quello della consolidazione. Anche solo il fatto di mettersi a fare ipoteticamente i conti con Pokè melodrama di Angelina Mango che proprio nelle stesse ore ha visto la luce, album di una bellezza devastante, ce lo indica. Sapere che nel pop di oggi, nel mainstream, ci siano così tante voci, a loro modo autorevoli, rasserena, specie se si pensa al passato prossimo in mano solo e esclusivamente ai trapper. In alto i capezzoli, quindi, e speriamo solo che almeno stavolta Gino Paoli se ne resti muto, distratto dal mare di Genova o dagli addominali di Fedez.