A tre anni di distanza dal suo ultimo lavoro, esce Il mio lato peggiore, il sesto album in studio di Luchè, che ha coinvolto per l’occasione i massimi esponenti della nuova scena urban. Dai rapper più affermati come Guè, Marracash, Tony Effe, Geolier e Sfera Ebbasta ai talenti più freschi come Tony Boy, Nerissima Serpe, Simba la Rue e Shiva, senza dimenticare i conterranei Ntò e Coco e le voci gentili di Rose Villain e Giorgia. Un disco di 18 tracce che scorre veloce con i suoi 58 minuti di barre, dalle più crude e volgari a quelle più romantiche e profonde, in cui Luchè svuota la sua vita degli ultimi anni. Ci racconta il suo lato peggiore, quello che si tende a nascondere al pubblico dei social, agli amici e talvolta anche a sé stessi, ingannandosi così che non esista. Luca Imprudente, questo il suo vero nome ha scelto di mostrarci i suoi difetti spogliandosi dei propri gioielli, come canta in “La mia vittoria” (“Splendere da solo, nudo, senza i miei gioielli”). Eppure, parlare dei propri problemi, se da una parte avvicina ancora di più i fan che ci si riconoscono dentro, dall’altro scopre il fianco a chi Luchè non l’ha mai capito e lo accusa di atteggiarsi (“Se parlo dei miei problemi, sembra che mi stia atteggiando” dice in “Ilary”). Lui ne è consapevole e trasforma questa incomprensione che puzza di trend in una fonte di vanto, paragonando la sua posizione a quella di uno dei rapper più influenti dell’ultimo decennio (“Ho lo spessore di Kendrick e sono odiato come Drake”). La prerogativa di non mettere tutti d’accordo è un segno di veridicità e la forza con cui Luca la rivendica è quella che chiama violenza: “Ho scelto la violenza, uccidi e lascia uccidere Non voglio unione, voglio divisione, combatto con chi ha la mia stessa missione”.

L’ha definito il suo album più violento perché la narrazione della verità non prevede censure né sicurezze e alla sua età, con la carriera che ha alle spalle, non avrebbe potuto scrivere di altro. Ci sono ragionamenti a cui solo un uomo che ha finito gli obiettivi da rincorrere può arrivare. Nello skit “Lettera alla pistola alla mia tempia” sviscera l’idea del suicidio nella sua genesi. Come nasce nella testa e come se ne va, restando un pensiero di riserva nei momenti più bui. La morte è un tema che ricorre nelle liriche di tutto il disco, a volte in modo velato, altre in modo esplicito, come l’immagine della pistola puntata alla tempia appunto, ma dopotutto come dice lui, “Parl-are sempre di morte, è il difetto di chi sta avanti” (da “Il mio lato peggiore”). A quella della fine del corpo segue inevitabilmente la preoccupazione per l’aldilà, che per Luchè diventa fede, ma non religione (“Un uomo di fede, non di religione, motivazione […] Io dico a tutti di avere una voce, dico a tutti di abbracciarsi a una croce”, in “Se non ci fosse rabbia”). Tra rabbia e pensieri trascendentali non mancano le canzoni strafottenti e nemmeno quelle sentimentali, in cui da bravo napoletano Luca è un fuoriclasse. Sarà per questo che tanti rapper non lo sopportano, nel suo pubblico infatti ci sono anche molte donne, tendenzialmente meno presenti nell’audience degli altri. Un motivo in più per vantarsi mentre continuano ad accusarlo di fare musica per ragazzine. Intanto, si avvicina la data leggendaria allo Stadio Maradona di Napoli (5 giugno), un traguardo importante per un artista napoletano, che darà inizio al Tour estivo di Luchè, dove per la prima volta potrà mostrare oltre a quello peggiore, anche il suo lato migliore.
