Il liceo artistico è stato una grande palestra di vita. Ho appreso il peggio un po’ su tutto e ho incontrato una vasta gamma di esseri umani che oggi chiameremmo “casi umani” e “disagiati”, ma al tempo erano solo un po’ fattoni, un po’ scappati di casa. Il periodo del liceo è stato quello della formazione dei miei primi veri e propri gusti musicali, che crescendo sono (ovviamente) cambiati parecchio. È stato il periodo dell’elettronica, della dubstep e dell’hardcore. Il momento in cui ho scoperto i Crystal Castles, i Die Antwoord, Radium e tutta una serie di altri artisti che adesso ascolto quando voglio immergermi nei miei 16 anni, quando avevo la frangetta da gabberina e mi vestivo di mer*a (cosa che faccio ancora oggi, ma è un dettaglio irrilevante). Perché ve lo racconto? Perché ascoltare “.” (sì, non è un errore di battitura, si chiama proprio così), il nuovo album di Myss Keta, mi ha riportato proprio a quel periodo della mia adolescenza.
La Myss è tornata (con un album, perché nel mentre ha pubblicato diversi singoli), e noi “ragazze di Porta Venezia” siamo pronte ad riaccoglierla tra noi a braccia aperte. Lo fa con un disco che mette il punto, ma anche i puntini sulle i. Un album che, come lei stessa ha dichiarato, è “la fine e insieme l’inizio” ed è “l’affermazione totale, senza aperture, senza compromessi”. Myss Keta mette il punto riportandoci agli anni dieci del 2000, alle sonorità dei già citati Crystal Castles. Le influenze fidget house, synthpop, persino della tecktonik, si sentono tutte. Ed è un revival che non puzza di vecchio, ma anzi, ci riporta finalmente ad ascoltare produzioni elettroniche da club tutt’altro che pettinati. Produzioni curate da Riva, con un incursione di Greg Willen che, diciamocelo, è uno dei producer più interessanti degli ultimi anni (e noi vorremmo sentire molti più brani prodotti da lui).
In questo folle viaggio, che immagino notturno, insieme alla Myss, c’è veramente di tutto: la società, degradata e opportunista, le feste con la “speranza di una benedizione di Silvio” (con tanto di citazione ad Annalisa, ma non solo). E ancora: una campionatura di Franchino (in Myss Keta love Pegaso), la cassa dritta, le IT girl sotto acidi con i "chihuahua" nella Vuitton”. E ovviamente, a fare da sfondo, la città di Milano, che non può mai mancare nell’immaginario di Myss Keta. A dover scegliere, se proprio devo, tra le tredici tracce di “.”, a conquistare il mio cuore (e quello della me sedicenne) è sicuramente “Sinner”. Un elogio al numero uno del tennis mondiale? No, una Myss che si immedisima in una “Jannik Sinner campionessa d’arte”. Un brano perfettamente prodotto da Greg Willen che viaggia velocissimo, con citazioni sonore alla gabber culture della fine degli anni Novanta. “.” è un disco martellante, diretto, molto alla MOW. Un progetto che mi fa venire voglia di tirare fuori le vecchie foto del liceo, tra look mix tra Effy Stonem di Skins e Pete Doherty, e uscire alla ricerca di tutte quelle serate che oggi sembrano non esistere più.