Se Fabri Fibra qualche anno addietro aveva ipotizzato un rap “futurista”, il Neffa che è tornato a rappare, randagio e notturno, semina perle di rap “dadaista”. Ne era già capace all’epoca di “Chicopisco” (1999), quando asteriscava il proprio nome, scritto con sole lettere minuscole e chiuso fra parentesi quadre. Gli incastri spiazzanti, le vertiginose alliterazioni, il flow sempre cool ma spesso sfidante. Snef ci ha abituati a un rap incardinato nello spirito old school ma sempre libero di colpire, talvolta “enigmistico”, talvolta più classico. Randagio, spesso. L’anticipo di “Canerandagio parte 2”, fuori da venerdì 29 agosto per Numero Uno (Sony Music), è una sorta di doppio singolo (una sola canzone divisa in due parti, ben distinte ma unite) intitolato “Santosubito/Rubik”. Pubblicato ieri, è una doppia vignetta typical-Neffa che inietta ulteriore speranza in attesa del secondo volume di “Canerandagio”. In “Santosubito” Neffa saltella, funky e tortuoso, poi nella seconda parte (“Rubik”) rallenta e torna ad anelare le avventurose atmosfere dei primi tempi, tra sampling visionario, monitor e floppy disk. “Quante notti a non dormire per cercare una vibe”, rappa Neffa, ricordando anche Massimo Troisi, considerato “un vecchio messaggero, pioniere di flow, venuto dal futuro”. Qui c’è tutto Neffa, prima della seconda fase (o terza, se contiamo la prima esperienza con i Negazione) pop.
Altre pallottole in vista di “Universo Neffa”, il concerto del 5 novembre all’Unipol Forum di Milano, festa epocale in cui Neffa tornerà a dare lezioni di autentico swag. Perché il discorso, in fondo, è questo: il nuovo singolo è poco più che ordinaria amministrazione per Neffa, ma il nostro uomo, un concentrato di savoir faire vecchia scuola, ha l’abilità di entrare sulla traccia come forse in Italia nessuno mai. Neffa “legge” le basi come pochissimi, le illumina, le innalza. Capita anche qui. Come è già capitato, più volte, all’interno del primo volume di “Canerandagio”, ritorno oscuro e sornione che forse non ha suscitato il plateale entusiasmo sperato. Un bel disco, in cui Neffa è stato scaltro nel non imitare un passato inimitabile, calandosi invece nella parte del vecchio boss a cui basta alzare il telefono per vedere tutti accorrere. Voglio, comando e posso. E perché tutti accorrono? Perché ascoltare il suo approccio alla rima, il suo intuito, la sua capacità di fare proprio il beat, ci ricorda chi sono (e da dove vengono) i maestri. All’interno di una scena urban sempre più irriconoscente, in cui l’ultimo rapper minorenne che punta alla hit poppettara ci vuol far credere di non avere alcun padre putativo e non dover dire grazie a nessuno, le rime randage di Neffa costituiscono un provvidenziale promemoria: il nostro hip hop viene da qui.

