Oggi dopo otto anni dall’ultimo, esce il quarto album da produttore di Shablo, dal titolo “Manifesto”. Anticipato direttamente sul palco dell’Ariston dal singolo “La mia parola” con Joshua, Tormento e Guè il disco come si intuiva è un concentrato di black culture, dal jazz e il soul al rap e l’r’n’b. Nato da tre sessioni di dieci giorni l’una in uno studio a San Gimignano in Toscana, vuole esse un tributo a un certo modo di fare musica. “Se avessi fatto cinque sessioni sarebbe diverso” dichiara in conferenza stampa, “mi piaceva proprio l'idea che fotografasse questo modo di fare musica, che un po' si è perso, perché oggi c'è molta strategia dietro, si lavora tanto per reference. È una cosa che un po' va bene, ma ultimamente le reference sono abbastanza dichiarate, quasi a confine con uno scopiazzamento totale. Nel mio caso non voglio dire che non ci siano state ispirazioni, perché comunque è un disco di citazioni, però c'è differenza”.
La visione che Shablo ha della musica non è solo quella del compositore che crea e offre agli ascoltatori dei prodotti, ma anche quella di chi quei prodotti li deve vendere e far arrivare al maggior numero di persone possibile, per massimizzare gli introiti degli artisti. Negli ultimi dieci anni la sua carriera principale, infatti, è stata dietro i riflettori nella veste di manager e direttore creativo di progetti non suoi, tra i più famosi citiamo Sfera Ebbasta, Gaia, Rkomi e Irama. Con Guè invece, che definisce fratello, ha fondato l’etichetta Oyster Music sotto cui è uscito questo album, in cui trova spazio anche il loro affiatamento artistico, in particolare nella traccia “Puoi toccarmi”, presente solo nella versione digitale, che è una rielaborazione di un pezzo presente in “Bravo ragazzo” di Guè uscito nel 2013.
Il titolo dell’album mette insieme il significato artistico e politico di manifesto, inteso come una dichiarazione di intenti e valori, a quello più spirituale del manifesting, cioè la pratica di vivere interiormente come se una cosa desiderata fosse già realtà, fino a vederla prendere forma nel mondo esterno. Così passato e futuro si fondono in suoni e voci che, se da un lato fanno rivivere una tradizione, dall’altro formano una generazione.
“Nel fare musica vorrei riproporre quelle che sono state un po' le varie influenze che mi hanno fatto innamorare di questa musica e di questo lavoro. Mi andava anche da una parte di far conoscere delle cose ai ragazzi giovani, che magari non hanno avuto la possibilità di scoprirle o di farsi una propria cultura. Non lo faccio con l’arroganza di volere educare, semplicemente in questo momento ho la visibilità adatta.”
Abituato a mettersi al servizio degli artisti, per questo progetto Shablo non ha accettato compromessi, “in questo momento erano loro che dovevano comprendere il mio viaggio, non ero io che dovevo piegarmi alla loro estetica musicale per farmi entrare nelle classifiche e vendere delle copie in più”. Avrebbe potuto scegliere ospiti e sonorità che gli garantivano certi risultati. Le tendenze le conosce bene, anche se per come dice, oggi il mercato è molto più imprevedibile, ma seguire delle strategie avrebbe compromesso l’identità del progetto, che è fondamentalmente di natura sperimentale.
“Come produttore trovo una grande omologazione di suono, sembra un po' tutto abbastanza uguale. Sono stato forse uno dei primi a portare la trap e un certo tipo di suono in Italia, adesso dove è tutto andato in quella direzione, secondo me c'era bisogno un po' di tornare indietro e di riequilibrare, di armonizzare un po' gli opposti. Quando ho iniziato ad ascoltare musica io negli anni 90, ma anche negli anni 70 succedeva, il mainstream era pura ricerca musicale, c'era tanta sperimentazione. Oggi questa voglia di osare si è persa, perché la gente ha il terrore che osando e provando non si raggiungono certi risultati. Bisogna un po' uscire da questa paura, la paura in generale blocca l'evoluzione sia umana, sia artistica. Quindi credo che siano importanti progetti come questi, non soltanto per la musica”.
Quello che ha fatto Pablo, questo il nome originale che unito alla parola sciabola è diventato poi Shablo, è un’operazione che discograficamente parlando va in controtendenza. È vero che lui può concedersi il lusso di fare musica per una élite, ma è anche l’espressione di una certa lungimiranza. “L'élite non va sottovalutato dal mio punto di vista, a me piace parlare anche a pochi che possano comprendere questo tipo di suono, piuttosto che per forza a tanti che magari non lo comprendono. Non voglio modificare il mio linguaggio per arrivare a più persone in questo caso. In passato l'ho fatto, non è che lo dico come se fosse una vergogna, però c'è progetto e progetto”.
L’attenzione per una nicchia di amatori più raffinati potrebbe rivelarsi comunque una scelta proficua nel tempo. “Ci sono piccoli segnali che ti fanno capire che ormai la gente è un po' stufa di questa omologazione di genere e che comunque prima o poi il mainstream sarà diverso. Questa ossessione dei numeri porterà a un certo punto a riconsiderare il mercato da un altro punto di vista, perché già i numeri parlano chiaro. I numeri di quest'estate dei primi in classifica su Spotify sono inferiori a quelli degli anni scorsi. Questo vuol dire che c'è tanta gente che sta comunque andando ad ascoltare altro. Oggi il mercato è fatto da ragazzi giovanissimi che ascoltano un certo tipo di genere, però c'è tutta una generazione, quella dai 35 ai 60 se vogliamo, che comunque non si sente rappresentato dalla trap o dall’urban”.

Il sapore dell’album è effettivamente molto analogico, le note sono suonate da strumenti veri e questo calore è più apprezzato dai nostalgici di epoche passate, che tendenzialmente sono adulti o musicisti, che da novelli appassionati o ascoltatori occasionali. Eppure, la natura multiculturale di Shablo si riflette perfettamente nelle sue produzioni che in questo senso acquisiscono un gusto più internazionale e potenzialmente più accattivante anche per i più giovani. C’è Roy Woods, artista e songwriter canadese parte della OVO Music di Drake e ci sono gli Yellowstraps, duo belga che è andato virale su TikTok e che ha fatto anche un remix con Nelly Furtado.
Il tour in cui verranno riproposti i nuovi brani è cominciato il 3 luglio proprio a Perugia, la prima città in cui Shablo ha vissuto dopo il trasferimento dall’Argentina all’età di otto anni. Proseguirà per tutta l’estate fino ad autunno inoltrato con una serata speciale al Teatro degli Arcimboldi di Milano. “L'idea è quella di coinvolgere più artisti possibili, quindi tutti gli ospiti del disco, in quell'evento probabilmente verrà data più attenzione al disco, magari faremo anche brani di altri dischi degli artisti invitati che verranno. In tutte le date ci saranno sempre Joshua, Tormento e Mimì, metà della parte live sarà occupata dal disco e l'altra metà sarà un tributo a questo genere di musica”. Alla registrazione dell’album ha preso parte, oltre al poli-strumentista Luca Faraone con cui c’è un sodalizio consolidato, anche il flautista e sassofonista Michele Lazzarini, venuto a mancare poco prima della pubblicazione e alla cui memoria è dedicato “Manifesto”.
