In fondo è sempre tutta questione di identità o di assenza di identità. Mi ripeto, mentre sto percorrendo a piedi i circa quattro chilometri che dividono la sede della Warner Italia da casa mia. È ora di pranzo, ma tanto sono a dieta, e la dieta come il fare a piedi questi quattro chilometri, complice una rara giornata di sole, sono dovuti a un mi vano tentativo di rimettermi in forma in vista di Sanremo, del Festival di Sanremo. Intendo, non sto praticamente più usando la macchina, e quando posso evito anche di usare i mezzi pubblici. Davanti a me, sono ormai quasi arrivato, c’è un tizio, di spalle, potrebbe essere tanto sudamericano quanto nordafricano, distinguo la carnagione olivastra, ma non l’incarnato del viso, tiene entrambi le mani in tasta, camminando. Ma non ha la mano sinistra. Sì, al suo posto ha quei moncherini che presentano piccolissime protuberanze lì dove nelle mani ci sono le dita. Anche il palo è decisamente più piccolo del normale, al punto che volesse infilarla davvero in tasca non ci entrerebbe, così si limita a tenere quel moncherino a filo della tasca, e immagino che i più non si accorgano della cosa. Io sono alle sue spalle, impossibile non notarlo. Questa cosa del moncherino e del modo per dissimulare l’assenza di una mano mi colpisce. E mi distrae. Stavo facendo un mio ragionamento mentale sull’avere o non avere una propria identità, e di colpo mi sono ritrovato a pensare a come, guardandosi in giro, storie da raccontare se ne trovino sempre, anche di parecchio interessanti.
Entrambi questi argomenti, l’identità e l’avere cose da raccontare in prima persona, sono state oggetto della chiacchierata che ho appena fatto coi Modà al gran completo, appena si fa per dire, perché per coprire i quattro chilometri a piedi ci ho impiegato circa tre quarti d’ora. Il motivo del nostro incontro è duplice, uno che posso raccontare sin d’ora, l’altro sarà una sorpresa. Quello raccontabile è la partecipazione dei Modà al Festival della Canzone Italiana di Sanremo edizione settantacinque, in partenza tra una settimana e mezzo, il primo di questo secondo ciclo contiano. Loro, i Modà, sono già stati a Sanremo più volte, un paio di anni fa anche con l’ipermodaiolo Amadeus, che li ha voluti e ha anche imposto loro di presentare un brano che raccontasse della depressione di Kekko. Il brano in questione, "Lasciami", raccontava come una storia d’amore e anche odio, il rapporto tra Kekko e la malattia in questione, annullando di fatto qualsiasi possibilità di parlare d’altro. Quest’anno c’è un’altra canzone che parla di depressione come si stesse parlando di una donna, "Battito" di Fedez, ma sembra che nessuno, a parte chi scrive, si sia ricordato di menzionale la scarsa originalità del brano in questione.
Tornando però a loro, i Modà, stavolta tornano al Festival in grande spolvero, con un San Siro lanciato e coi biglietti andati a ruba, con un nuovo contratto con la Warner e con Vivo Concerti, e anche con una ritrovata pace con Lorenzo Suraci di Rtl 102.5, che a lungo è stato il loro manager e discografico, pace la cui assenza è stata in parte causa della depressione raccontata in "Lasciami", dopo la sbornia del grande successo avuto, con tanto di due date a San Siro, appunto, un momento di buio, anche mediatico, si è trasformato in una sorta di ghigliottina, difficile da superare. Oggi, invece, la pace è stata fatta, San Siro è lì in attesa di essere onorato, Sanremo pure, e "Non ti dimentico" è la canzone che Kekko e soci hanno scelto tra le otto che poi andranno a comporre la tracklist del loro nuovo album, disco che vedrà anche la stessa "Lasciami". Ascoltando il brano, prima con Kekko, spoiler, poi in Rai, il giorno dei preascolti, ho pensato e quindi scritto che si trattava di una classica canzone alla Modà. Come me lo hanno scritto in molti. La cosa buffa che io l’ho scritto per sottolineare come, in questa fase anomala, nella quale in molti si affannano a sembrare contemporanei rincorrendo quella roba che gira adesso, vai poi a capire di cosa stiamo parlando, loro, e pochi altri tra gli artisti in gara, si presentano con una canzone che ne sottolinea in maniera precisa e coerente l’identità, senza tradire un marchio di fabbrica riconoscibile e amato da una bella fetta di pubblico, questo intendevo, mentre altri hanno sottolineato la cosa come se essere se stessi, riconoscibili in quanto riconosciuti fosse una sorta di colpa, di difetto. E dire che mai come oggi il branding, quindi il lavoro sulla propria identità, sia un passaggio fondamentale, e essere riconoscibili in mezzo a una massa omogeneizzata e omologata, è qualcosa di sempre più difficile, e quindi raro da trovare. Loro, i Modà e Kekko che dei Modà è autore unico, hanno una identità precisa, melodica, indubbiamente, ma anche energica.
Del resto, anche di questo abbiamo parlato, sono tra i pochi rappresentanti in gara della musica suonata, il momento in cui Kekko mi ha raccontato di come durante le prove gli ottoni sono andati a occupare le frequenze in genere occupate dalle chitarre, con un suono più secco quindi preminente, è di quelli che ti riconcilia col fatto che in fondo se hai studiato musica, da giovane, non è detto che sia stato tempo perso, anche se oggi non suoni quasi più, il quasi non contempla ovviamente occasioni pubbliche. Kekko, andrebbe segnalato ogni volta che si parla delle ventinove canzoni in gara, è il solo in compagnia di Dario Brunori, aka Brunori Sas, a aver firmato da solo la canzone che canterà, il tutto a fianco di canzoni che portano fino a otto firme. E qui si arriva al raccontare storie. Come si fa, si chiedeva Kekko, e mi chiedeva Kekko, ricevendo per risposta un sonoro “boh”, come si fa a scrivere una canzone che racconti una storia, una storia personale, o descriva un punto di vista, quando a metterci su le mani sono state sei, sette, otto persone? Non si fa, perché non ci sono storie da raccontare. E dire, mi ha sempre raccontato Kekko, che quando ha scritto "Testa o croce", ormai sei anni fa, ha fatto un “viaggio” per Milano, a piedi, proprio con lo scopo di parlare con la gente e raccogliere storie. Chissà cosa avrebbe chiesto al tipo col moncherino che cammina davanti a me fingendo di tenere le mani in tasca, mi chiedo.
A me piace raccontare storie, forse si è notato. E mi piace sentire raccontare storie. E mi piace lavorare sulla brand identity applicata allo spettacolo, che poi sarebbe quella che un tempo si chiamava poetica. Ecco, i Modà hanno una propria precisa poetica, piaccia o meno. Ho spesso criticato i loro lavori, quando un paio di anni fa ho conosciuto di persona Kekko, proprio a Sanremo, mi ha stupito citandomi alcuni tra gli articoli che gli ho dedicato negli anni, articoli di cui non ricordavo nulla, ho poca memoria e provo a esercitarla su quel che mi succede più che su quello che scrivo, in particolare uno che parlava di un cavallo morto, ma ho sempre riconosciuto loro una identità, identità che oggi spicca particolarmente, vuoi per la voce di Kekko, indubbiamente il cantante più dotato tra quelli in gara, parlo dei maschi, e per quella capacità di scrivere canzoni che siano al servizio di quella voce e di quelle storie che quella voce ha deciso di raccontare. Quel tirare spesso in ballo i romantici, così si chiamano i fan dei Modà, è parte di quella poetica, e il fatto che non lo si riconosca, a volte, mentre legittimamente si riconosce l’identità di un Lucio Corsi, giustamente applaudito per il suo modo di essere e di mostrarsi per quel che è, la foto di lui col viso dipinto di bianco con in braccio Topo Gigio ha già vinto tutto, è solo frutto di un pregiudizio, o temo più di una strategia applicata sapientemente da parte della Sala Stampa, spesso a scegliere in branco chi colpire, in genere artisti che non sono parte di una qualche consorteria. A me, personalmente, sembra che i Modà che fanno i Modà, esattamente come Lucio Corsi che fa Lucio Corsi, esprimano esattamente il medesimo principio, poi ovviamente a qualcuno piacerà la musica degli uni, a qualcun altro la musica dell’altro, a qualcuno la musica di entrambi. Non ammetterlo sarebbe semplicemente essere disonesti intellettualmente.
Di fatto, rispetto ai Modà di un paio di anni fa, stavolta c’è un frontman e una band in decisa forma, a livello vocale, perché per prepararsi a questo evento sono settimane che Kekko si esercita, e anche a livello di cazzimma. Un Sanremo fatto pensando a Sanremo, ma anche a San Siro, e non è cosa da poco. Quello che non vi ho raccontato rimane, per ora, qui, nell’irraccontato e nell’irraccontabile. Ci sarà modo e tempo per farlo. Io, come il protagonista del brano presentato in gara, non mi dimentico mica.