Ci sono amori che nascono per bruciare in fretta, altri che sopravvivono alla vita, e poi ci sono quelli che, nel tentativo di resistere, diventano una trappola. Il libro di Riccardo Meozzi, Addio, bella crudeltà, uscito per edizioni e/o. Un esordio che racconta proprio questo: una storia che non si accontenta del sentimento ma lo seziona, lo mette alla prova, lo costringe a guardarsi allo specchio mentre cambia e si evolve. Siamo negli anni Novanta: Giovanni e Lidia, i protagonisti, si conoscono da adolescenti, si amano con quella fame tipica dei primi amori, dove l’altro è ossessione, rifugio e orizzonte. Ma fin dall’inizio il loro equilibrio è precario. Lei cerca disperatamente uno spazio dentro lo sguardo di lui, lui lo occupa tutto senza nemmeno accorgersene. Giovanni è ingombrante, totalizzante; Lidia, al contrario, si muove come se dovesse sempre meritarsi l’attenzione. In sottofondo, un contesto che non aiuta: una madre che pesa troppo su di lei, due anni di scuola ripetuti e un’emicrania cronica che inseguono lui. Due ragazzi che si aggrappano l’uno all’altra per sentirsi meno fragili, ma che finiscono per costruire un legame più simile a una dipendenza che a un amore.
![La copertina di Addio, Bella Crudeltà](https://crm-img.stcrm.it/images/42425276/2000x/20250212-143224987-3060.jpg)
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Si sposano giovani, quasi per sfida, per dimostrare al mondo che loro ce la faranno. Ma la vita, come sempre, ha altri piani. Giovanni si ammala di un tumore al cervello e, all’improvviso, i ruoli si ribaltano. Lidia, da perenne insicura, diventa il punto fermo. Giovanni, che prima riempiva ogni spazio, ora ha bisogno di lei per non sentirsi perso. È qui che Meozzi affonda lo sguardo: in quella zona grigia dove i sentimenti si deformano, dove l’amore si mescola al dovere, alla paura, alla solitudine. Il tempo, in questa storia, non è un semplice contorno: è il vero protagonista. Il tempo che cambia le relazioni, le rovescia, ma non solo. Una particolarità di questo romanzo, infatti, è proprio la struttura temporale. A rovescio. Una sequela di flashback che si dipanano dall'evento principale, in ordine anticronologico. Un antefatto dopo l'altro, a spiegare l'evoluzione delle cose, come inseguendo la storia, scoprendo che Lidia deve imparare a lasciare andare Giovanni, non solo perché la malattia glielo porterà via, ma perché il loro amore è diventato qualcosa di diverso. Qualcosa che non si può più forse nemmeno chiamare amore, se non nel senso più crudo del termine: l’accettazione dell’inevitabile. Fin qui, la storia. Perché poi, se già i fatti narrati sono in qualche modo legati all'educazione affettiva, vale la pena di riflettere anche sulla struttura temporale del racconto. La storia parte da un presente, collocato nel passato, per poi andare a ritroso in altri presenti passati. Ed è come se in ogni presente, che senza accorgecene nemmeno tendiamo a considerare come eterno, ci si dimenticasse di ciò che è successo prima. Come se fosse questa la natura delle relazioni, e di ogni errore che c'è in esse. E forse sarebbe utile prenderlo come esercizio, quello che ha fatto Meozzi nel libro: tornare indietro, per ripensare il presente come anche come punto di arrivo, e non soltanto come una prospettiva. Perché anche questa è educazione sentimentale.
![Gli anni Novanta](https://crm-img.stcrm.it/images/42441357/2000x/20250213-075439526-6622.jpg)
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