Facile fare una biografia romanzata, a patto che il protagonista non sia uno dei filosofi più difficili nella storia del pensiero occidentale. Ludwig Wittgenstein è il protagonista dichiarato, anche se sotto il falso nome di Roithamer, di Correzione, scritto da Thomas Bernhard nel 1975 e riedito da Adelphi per il cinquantenario che cade quest'anno. Difficile il pensiero del protagonista, difficile il libro. Lasciate da parte ogni pretesa di semplicità o di semplificazione che oggi, ai tempi dei social e del populismo, sembra quasi un obbligo. La punteggiatura, innanzitutto, riflette il bordello che risuona all'interno di un cervello pensante, forse troppo. Pochi punti, pochissimi: si arriva mai davvero a una conclusione o il pensiero è fatto per continuare a correggersi, appunto? Periodi lunghi intervallati da virgole, una valanga di virgole, di frasi smozzicate, congiunte, riunite, parole ripetute, come i concetti, concetti ripetuti a loro volta, come i nomi. Qualcosa del genere. Rincorrere il pensiero. Non è facile, no. Soprattutto per chi scrive, o vuole scrivere. Soprattutto se lo si lascia correre, senza fermarlo prima. Soprattutto se ci si sente in dovere di risultare comprensibili a tutti i costi, come se il lettore non dovesse fare altro che tacere, come se leggere non fosse un atto di partecipazione.
Chissà se un editore, oggi, pubblicherebbe Correzione? “Con quale ordine di grandezza ho a che fare, quando mi occupo di Roithamer?, di un cervello che è deciso e costretto a spingere tutto all’estremo, e in questa interazione intesa come rapporto mentale con tutto è capace delle prestazioni più alte, che elabora la sua evoluzione, l’evoluzione del suo carattere e delle capacità mentali che gli sono date fino al punto estremo e fino al limite estremo e al massimo grado e che poi elabora anche il suo sapere fino al limite estremo e fino al punto estremo e al massimo grado, e inoltre anche l’idea di costruire il cono per sua sorella ugualmente fino al punto estremo e in sommo grado e fino al limite estremo”. Pagine intere senza uno stop. Spingere tutto all'estremo. La filosofia di Wittgenstein era in qualche modo così, estrema, tanto che è uno dei pochi pensatori a vedere la propria opera divisa in due parti, in cui la seconda contestava e smentiva la prima. Correzione: ecco la chiave. Il secondo Wittgenstein correggeva il primo Wittgenstein, senza che il primo frangente, costituito dal Trattato Logico-Filosofico, fosse necessariamente sbagliato, anzi. Correggere, reggere insieme: una parte tiene in piedi l'altra. L'errore è complementare al giusto. Chi pretende di non ripensare mai le proprie convinzioni ha già sbagliato.
Diffidare, sempre e comunque, di tutti ciò che è troppo facile. Anche se si parla di intrattenimento. O di romanzi. Intendiamoci: non si tratta di voler fare i difficili soltanto per il gusto di farlo, di supercazzolare il prossimo con paroloni e aulicismi, che non c'è nulla di difficile nell'usare un vocabolario, o Google. Il punto di svolta lo si trova dove la semplicità contiene in sé ciò che è complesso. Facile sì, ma non ovvio, né banale, né vuoto. La differenza la fa il contenuto, prima della forma. Che il senso di una frase, come diceva il primo Wittgenstein, sia dovuto a una corrispondenza con un fatto del mondo reale, o che sia l'uso che se ne fa, come nel secondo Wittgenstein, può essere oggetto di discussione. Ma ciò che importa, in prima battuta come in conclusione, è che ci si perda tempo a rifletterci sopra. Questo è l'elemento che traccia il limite, tra l'opera e la presa per il culo. E ripensare a come sia oggi l'intrattenimento, compreso anche quello che vorrebbe essere culturale, fa capire che ci troviamo più nella seconda ipotesi che nella prima. Tutto è facile, oltre il limite del banale, ma sapete cosa vuol dire questo? È un circolo vizioso: l'offerta diventa scadente, e la domanda non può essere che altrettanto penosa. Tutto dev'essere semplice, ovvio, di una leggerezza che porta in sé il peso insopportabile del vuoto. I social sono ben questo, il trash è questo, la musica commerciale è questo. Allora siano benedette la pesantezza, le frasi lunghe, i ragionamenti complicati. Tutto il resto è autoannientamento, davanti al quale la fine di Roithamer è soltanto una metafora.