La cronaca è il racconto dei fatti nella loro successione cronologica. Una narrazione lineare, che procede verso un’unica possibile direzione. Dal passato al futuro, con il presente che scivola nel mezzo, rimanendo attuale un istante indefinito. Eppure, leggendo La trappola, diario d’Italia. Gli anni della contestazione e la bomba di Piazza Fontana (Rimmel) di Paolo Grugni sembra che frammenti di quella cronologia siano esplosi per arrivare a oggi, rimanendo presenti. Anzi, certe cose sembrano addirittura ripetersi. Un periodo mal digerito, quello della fine degli anni Sessanta, per la densità dei cambiamenti che si sono susseguiti. Informazioni, influenze e poteri che sono stati svelati. Il bollettino che il commissario Sergio Malfatti - che ci tiene a identificarsi con il suo basco rosso - ci restituisce comprende la situazione italiana all’interno del Patto Atlantico, il vincolo tra servizi italiani e americani, la presenza della Nato nella Penisola. Il nemico, anche allora, veniva da est. Le indagini rivelano una situazione a Milano che tutti conoscevano, ma di cui nessuno voleva parlare: anche al nord c’è la mafia. E questa si approfitta della già presente mala, dei “banditi” che spacciano, gestiscono i racket e la prostituzione. È il tempo delle bande e della lotta politica. La paura dei cittadini ingigantita dalla narrazione di chi vede il nemico alle porte: per questo serve sicurezza. Dunque armi, divise, presidi, infiltrazioni in gruppi eversivi, che spesso sono quelli di sinistra. In tempo di guerra, tutto è lecito, anche piazzare bombe fingendo che a farlo sia stato qualcun altro. Il ruolo dei giornali, suggerisce Grugni per bocca del commissario, è subordinato a quello del potere economico (su questo “l’inchiesta” del Corriere sulla Edilnord di Silvio Berlusconi – uno spot pubblicitario più che un lavoro giornalistico) e al “necessario” atlantismo. Insomma, una voglia di moderazione che fa da contraltare all’estremismo della politica extraparlamentare di destra e sinistra. Le forze armate, invece, sembrano aver scelto da che parte stare.
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Infine, la bomba esplosa alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, e l’indagine del commissario Calabresi, che dopo solo tre ore dallo scoppio “sa già, o meglio ha già deciso, che Valpreda è il colpevole”. Poi l’interrogatorio e “Pinelli va giù”. Di quegli anni rimangono i fatti irrisolti, ma anche la paura degli estremismi. E anche se oggi le posizioni sembrano decisamente meno radicali, certe posture non sono meno pericolose. Chi aveva la fiamma nel simbolo ora è al governo, mentre la falce e il martello sono dimenticate. La cronaca è diversa, senza dubbio: mancano le bombe. Ma lo scenario ricostruito da Paolo Grugni può essere letto anche per capire il presente: “Quest’anno è finito. Questo decennio pure. Se ne apre uno nuovo, arriveranno altre bombe e torneremo a essere felici, di nuovo tutti insieme, e la paura non farà più così paura”. Che democrazia può dirsi tale, se l’unione passa da un ordigno? Un augurio amaro che non smette di realizzarsi. Arrivano le bombe, passa la paura. Poi, si ricomincia.
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