È inutile fare gli integralisti, accusare Valentina Mira di aver fatto “marketing” per aver scritto un romanzo su una vicenda di ieri, capace però di fare il controcanto alla situazione politica odierna, è un esercizio che lascia il tempo che trova, proprio di chi “la lettura non la frequenta poi molto” per citare le immortali parole del Direttore Petrocchi. Gli scrittori hanno sempre cercato di trovare storie in grado di interessare il pubblico, di creare “il caso”, per un motivo semplice: anche loro, come tutti, devono campare, e la stessa cosa devono fare gli editori. I libri li si vende molto meglio se li si pubblicizza e per pubblicizzarli è meglio, molto meglio, se il libro possiede, a vario titolo e in vari modi, qualche collegamento con l’attualità.
E vai di rimorsoni bio-masochisti di Mira, che racconta la nascita del suo primo amore per un miltante fascista
Non è un procedimento nuovo. Dostoevskij faceva esattamente la stessa cosa: i suoi romanzi erano originariamente dei feuilleton pubblicati a puntate su riviste, e rappresentavano l’equivalente delle attuali serie TV. In altre parole, uno dei giganti della letteratura di tutti i tempi non aveva alcun problema a sporcarsi le mani con le ragioni del mercato, anzi concepiva e strutturava quei romanzi per meglio venire incontro ad esse, e dentro quel perimetro fu capace di scrivere capolavori immortali. Ora: sono anni che, a torto o a ragione, si favoleggia di un ipotetico “ritorno del fascismo” nel nostro Paese, ed è normale che si cerchi di capitalizzare, di fare cassa, producendo libri che, in maniera dozzinale o diagonale, si occupino di questo. Il problema non sta, dunque, nel legittimo tentativo di fare cassa approfittando di un trend interno allo zeitgeist contemporaneo: il problema è, piuttosto, quando oltre alla ragione commerciale si fa fatica a intravederne un’altra per giustificare la presenza del libro sugli scaffali di una libreria.
Che è esattamente il caso di Dalla stessa parte mi troverai (SEM, 2024) entrato nella dozzina del Premio Strega in quota, di fatto, Feltrinelli. Più che a un romanzo, l’impressione è di trovarsi davanti a una collezione di Instagram stories, buttate dentro alla rinfusa, una via l’altra, senza soluzione di continuità. Le prime quaranta pagine traducono la vena romanzesca dell’autrice, che racconta la nascita dell’amore tra Rossella e Mario sui gradini di una casa occupata di Roma negli anni Settanta. Sembrerebbe una versione trasteverina di Due di Due (o peggio, di Tre metri sopra il cielo), ma ecco che, d’un tratto, la narrazione perde lo slancio romance (si sorridono come due anime destinate a incontrarsi da sempre; per Rossella e Mario di amore è fatta la lotta, di lotta è fatto l’amore) per tuffarsi nel moderno flusso di coscienza, stilema caro alla letteratura contemporanea dominata dall’autofiction. E allora vai di rimorsoni bio-masochisti di Mira, che racconta la nascita del suo primo amore per un ragazzo, un militante fascista di origine ceca, conosciuto all'università, che la avrebbe ‘perdonata’ per lo stupro di cui lei è stessa era stata vittima anni prima.
Dalla stessa parte mi troverai ha come ragione sociale l’adesso e la sua partita è quella di massimizzare le uscite stampa
Catapultati nel presente, ci troviamo di colpo in un tentativo di metanarrazione, che incastra il libro in un cul de sac autoreferenziale: alla presentazione del suo precedente romanzo (X, uscito per Fandango), Mira rivela di aver incontrato tra il pubblico una donna, ovvero Rossella Scarponi e di aver immediatamente percepito una ‘sorellanza’ con lei (entrambe sposiamo una versione di femminismo intersezionale). Rossella è la moglie di Mario Scrocca, il militante di Lotta Continua, arrestato nel 1987 per i fatti di Acca Larentia del 1978 e ritrovato ‘suicidato’ in carcere a Regina Coeli qualche giorno dopo. Quello che sembra essere finalmente il cuore della narrazione - un racconto di inchiesta, piegato al gusto true crime, che tanto funziona oggi nei podcast - sulla battaglia di Rossella per stabilire la verità sulla morte di suo marito, si rivela l’ennesima falsa pista, perché le pagine che seguono continuano a ondeggiare indecise tra memorie private dell’autrice, tesine di Storia e rivendicazioni neofemministe sulla manipolazione psicologica e la dipendenza affettiva.
Il romanzo, insomma, manca di un baricentro chiaro, per allungarsi ora da una parte, ora dall’altra, nel tentativo di coprire tutte le moderne tendenze letterarie, di marcare tutte le caselle del buon prodotto commerciale.
Ed è questo, allora, il vero problema: un conto è usare l’attualità come un mezzo, un'altra è utilizzarla come fine. La letteratura, nel suo senso più profondo, elabora temi universali dentro storie particolari: lo fa attraversando le generazioni (Harry Potter non è solo un libro per ragazzi, ma una riflessione sui confini del bene e del male), il gender (Madame Bovary tradisce con realismo le insofferenze e i limiti della vita coniugale di una donna nell’Ottocento, ma la penna è di un uomo), le razze, gli orientamenti sessuali, le epoche. La letteratura, insomma, ha come ragione sociale l’eterno, quella dello scrittore è una partita con in palio l’immortalità. Dalla stessa parte mi troverai, al contrario, ha come ragione sociale l’adesso e la sua partita è quella di massimizzare le uscite stampa nelle pagine di cultura dei quotidiani. Che però tra 24 ore scompariranno, senza lasciare traccia, proprio come le Instagram stories.