Estrapoliamo starlette su TikTok, similmente a neofiti ostinati di piccoli inutili universi, con una volontà inebetita, stralunata, schiusa a un secolo e finita in un altro (affetto, parrebbe, da dandismo idiota, monocentrico); dove a dirla tutta potremmo lasciare i suoi dimoranti al proprio destino, non cambiando perciò le sorti del mondo, il resto, lo scarto, cioè il mondo che ancora, da dinosauro della praticità, si incarognisce a militare nella cosiddetta vita vera. Disarmonie. Se c’è TikTok, se c’è una proiezione per ogni faccenda che un tempo lontanissimo definivamo quotidianità, esistenza, pedante passaggio da un’alba a un’aurora, perché perdere la pazienza con una platea di piccolo borghesi in cui scapicollare i nostri desideri, per cui temiamo tutti e agogniamo a tutto inanemente? Trasformiamoli in prototipi perfetti, dunque inesistenti. La platea diventa l’auditorium dinanzi a uno schermo, l’homepage di un media, un social. Le starlette, appunto. Ne peschiamo una. Rebecca Parziale. Balzata agli onori di qualcosa: perché di grazia? Ha partecipato a una puntata de Il Collegio. Ah. Devo riferirvi i suoi follower, seguaci, ammiratori? Ma non lo so, vedete un po’ da soli. Ha pubblicato dei libri. Lei. Lei? Sapete certe operazioni. Quali? Bella domanda. Libroidi da pompare, mefistofelicamente utilizzare ogni pretesto.
Oggi la cronaca insegna. Agenzie di comunicazioni che gestiscono la comunicazione, all’indomani di un delitto. Cosa sia più terribile: il delitto o il suo uso improprio. Bisogna dare un nome alle cose. Il nome è: non lo so. Un’alzatina di spalle, in aggiunta, per stigmatizzare lo sgomento. O la noia. Semplicemente la noia. In fondo, possiamo persino profondere ottimismo (uso verbi odiosi, tipo: profondere; da burocrate, da cavaliere del lavoro, scusatemi); dicevo l’ottimismo, quando ci siamo tolti dalle scatole le varie letterine, veline, ricordate? Si sono estinte da sole? Eravamo in una specie di loop da ottenebramento dell’intelligenza e della ragione; un pensiero che fosse a posto con i congiuntivi valeva una strizzatina di tetta. Lo sculettamento, o l’ancheggiamento, tutto sommato ha origini nobili, il must deteriore di taluni programmi televisivi, e se scendiamo ancora - perché non osiamo di più? - tacciamo finanche le commedie degli anni Settanta di un filino di becero sessismo, lo ha affermato il New York Times, di recente. Quindi, eccoci alle generazioni nate sul fiordo di rutti, risate sgangherate e nudità iconiche sotto la doccia. Cos’altro aggiungere sulle tiktoker più seguite? Poco più che adolescenti. Sanno dirci della vita? Come funziona? Macché. Chissenefrega. Indossano vestiti stretch. Paillettes, tacco dodici. Punto.
E si confezionano libri, perciò, case editrici dal nome altisonante, che io vedo spesso sugli scaffali di un supermercato, tra i detersivi e la salumeria. Libroidi. “Perfetta come sei”. Titolo. Giusto. Il saggio, è un saggio? Un flusso di coscienza (dai, ridiamo). Argomento: look perfetto per ogni occasione. Slogan che è più vecchio di matusalemme, tirato fuori a ogni pié sospinto. Abbiamo quel che ci meritiamo, direbbe il cugino di Osho. E invece no. Invece no, signori. Esercitiamo una qualche resistenza. Sta crollando tutto, per nostra fortuna, ci voleva un Pandoro perché accadesse. L’epoca del rimbambimento spinto, delle ciabattine con il pellicciotto, del trash elevato a leggerezza mondana, forse, dico forse a esser cauti, è ai suoi ultimi sussulti. E dopo? Oh mamma. È questo il vero problema? Dopo? Mode bioetiche come un promo, una moda, un make-up. Uomini partorienti, protagonisti di storie Instagram su cui sghignazzare, premiati da milioni di like o da altrettanto milioni di commenti da aerofagia. Non è terribile? No, sarà il futuro, bellezza.