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Abbiamo visto Olympo su Netflix, ma com’è? Una storia in cui non si sogna più, si resiste. Ma è davvero la nuova Élite? No, ecco perché

  • di Ilaria Ferretti Ilaria Ferretti

  • Foto di: Netflix

25 luglio 2025

Abbiamo visto Olympo su Netflix, ma com’è? Una storia in cui non si sogna più, si resiste. Ma è davvero la nuova Élite? No, ecco perché
Olympo su Netflix racconta l’ossessione sportiva tra giovani atleti d’élite. Ci sono doping, controllo asfissiante, competizione tossica. Una serie estetica e disturbante certo ma che non scuote mai davvero

Foto di: Netflix

di Ilaria Ferretti Ilaria Ferretti

Olympo ci mostra - in modo esagerato, grottesco - i compiti, le angosce e la pressione che vive una squadra di giovani atleti ambiziosi. Funziona, piace, anche se ricorda da vicino altri successi nella già solida casella della serialità televisiva spagnola. Una nazione che, va detto, le serie le sa fare. E bene. Élite, per esempio. Anche qui sono tutti giovani, tutti belli, tutti spinti in avanti. Tutti determinati. Ma forse, quello che in Élite era sfida - anche sfrontata ed esagerata - qui in Olympo diventa qualcosa di più piatto, contenuto, trattenuto. Rimane, però, un tema interessante e spesso trascurato: quello dell’ambizione sportiva spinta all’estremo, trattato qui fino ai confini del paranormale. L’abbiamo già visto, certo, questo uso spinto, a tratti folle, del corpo come veicolo di trasformazione, come teatro di dolore e ambizione. È un tema ricorrente, specialmente nel cinema del grande “trasformatore del corpo” Darren Aronofsky. Black Swan, The Whale: da una ballerina ossessionata dalla magrezza, a un uomo obeso alla ricerca di leggerezza – prima mentale, poi magari fisica. Corpi che implodono per cercare uno scopo. E anche Netflix, su questo, non è nuova.

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Olympo (2025) Netflix

Tra i titoli recenti del genere, va ricordato Spinning Out (2020): più drama che thriller, ma con lo stesso fascino claustrofobico che ritroviamo anche in Olympo. Qui, la protagonista è una pattinatrice con disturbo bipolare che lotta per non collassare mentalmente, mentre tenta di rientrare nella competizione ad altissimi livelli. In un’epoca di performatività avanzata, dove lo sport è costantemente monitorato tra gli schermi, i tweet, i media, dove un atleta può cadere nell’abisso per due chili in più, mentre la gente lo guarda e lo giudica, è evidente che Olympo parli di qualcosa di necessario. Sacrificio, controllo, ambizione, stress e pure doping: temi urgenti, solo che avremmo voluto vederli messi più a fuoco. Più diretti. Meno sfiorati, più affondati. Ma cosa si nasconde davvero dietro il sogno sportivo? Campioni o reietti, vincenti o esclusi: il confine è sottile, anzi sottilissimo. Il centro di tutto in Olympo è Car Pirineos, un luogo di alta prestazione sportiva incastonato tra le montagne dei Pirenei spagnoli in cui davvero tutto si muove e si distrugge. Qui vengono selezionati i migliori giovani atleti del Paese, con l’obiettivo di formarli come futura élite dello sport nazionale. Un luogo apparentemente perfetto, dove l’eccellenza è la regola e ogni debolezza va eliminata. Un ambiente iper-controllato, dove l’allenamento è religione e l’identità personale un ostacolo da domare. Protagonista è Amaia Olaberria (interpretata da Clara Galle), capitana della nazionale giovanile di nuoto sincronizzato. È l’incarnazione del sogno olimpico. Lei è forte, disciplinata, tenace. Ma il suo equilibrio comincia a sgretolarsi giorno dopo giorno quando la sua migliore amica e compagna di squadra, Núria Bórgues (María Romanillos), inizia improvvisamente a superarla in ogni prova. Le prende spazio, luce, attenzione. E qualcosa, dentro Amaia, e nella storia, comincia a cedere.

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