Il critico Aldo Grasso, nella sua rubrica A fil di rete sul Corriere della Sera, stavolta punta i riflettori su Mauro Corona. Alpinista, scrittore e volto televisivo, Corona è ormai una presenza familiare nel panorama mediatico italiano, soprattutto per il suo ruolo di ospite fisso a È sempre Cartabianca con Bianca Berlinguer. Ma cosa spinge Grasso a parlarne proprio ora? Secondo il critico, dietro la scorza da uomo dei boschi, Corona nasconderebbe ben altro: “non è un orso delle montagne come vuol far credere: frequenta i grandi editori, ha un agente, gestisce un sito internet, insomma da sempre coltiva la sua (ruvida) immagine. Ma quella televisiva è governabile?”. Grasso si interroga quindi sulla costruzione e il controllo del personaggio pubblico, mettendo in luce le contraddizioni tra autenticità e rappresentazione. Tra le numerose apparizioni mediatiche di Corona, Grasso si ferma su un momento precisissimo: l’intervista rilasciata a Silvia Toffanin, in cui l’alpinista “cede alla confessione”. Curiosamente – o forse no – questo scarto emotivo pare coincidere con l’uscita di un documentario dedicato alla sua vita. Mauro Corona: la mia vita finché capita.

Un ritratto che ripercorre il rapporto difficile con i genitori, la gioventù turbolenta, i vizi, “l’arte paziente della scrittura, la passione incontenibile per la roccia e per le cime, lo spleen di Erto, un piccolo borgo tra i monti friulani, a poca distanza dal Vajont e dalla sua tragedia.” Temi e immagini che probabilmente lo stesso Corona ha scelto per raccontarsi e scavare dentro se stesso e le sue origini. Nel paragrafo finale, Grasso introduce un concetto, anzi una sindrome. Quella del protagonista. Usa parole forti sul Corriere: “Si manifesta quando desideriamo apparire diversi da ciò che siamo. Più uno si racconta, più veste i panni di un altro da sé, come se la tv (Corona cita spesso Pessoa) lo avesse spersonalizzato, dissociato, moltiplicato nelle sue controfigure. Sintomi di un’ebbrezza televisiva?”.
