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Altro che Måneskin... La miglior band rock italiana si chiama Ufomammut? “Siamo di culto in mezzo mondo”. E sul perché suonano così lenti…

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

23 luglio 2024

Altro che Måneskin... La miglior band rock italiana si chiama Ufomammut? “Siamo di culto in mezzo mondo”. E sul perché suonano così lenti…
Domenica 28 luglio gli Ufomammut saranno al Magnolia di Segrate (Milano) per suonare, tra gli altri, anche i brani del nuovo album “Hidden” (“Il mammut si sta muovendo lentamente alla ricerca di una nuova casa”). Doom? Stoner? “Facciamo psichedelia pesante”. E intanto, da anni, finiscono fra gli ascolti obbligatori per capire il genere. “Ma non amiamo gli Electric Wizard, troppo ripetitivi”. Il sogno: “Suonare in nord Africa e in Cina...”

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

È da un quarto di secolo che un Ufomammut (Poia, chitarra; Urlo, basso, voce, effetti e sintetizzatori; Levre, batteria) muove i suoi passi pesantissimi da Tortona, non troppo distante da Pavia, in giro per parti di mondo in cui rock e metal ancora comandano. Domenica 28 luglio, ad esempio, Urlo e soci saranno al circolo Magnolia di Segrate (Milano), per l’ultima edizione del Solo Macello Fest, festival in cui si esibiranno anche Bologna Violenta, Isaak e Valerian Swing. Nuovo ennesimo appuntamento live con una band che continua a spostare le montagne con pochi accordi. Paurosi, gli Ufomammut. E da scoprire, di nuovo, perché nonostante tutto sono ancora troppo “segreti”.

Qual è la vostra dimensione, oggi, dopo 25 anni di carriera? Vi definireste ancora underground?

Poia: “Forse sì, nonostante la lunga vita della band. Abbiamo ancora un pubblico underground, che però negli anni è cresciuto. Siamo di culto, diciamo; e felici di esserlo perché abbiamo sempre fatto ciò che volevamo. Abbiamo suonato in tutto il mondo, ci siamo confrontati con band provenienti da tutto il mondo. Fossimo di tendenza mi preoccuperei”.

Urlo: “Siamo cresciuti gradualmente. Diventare famosi non è mai stato un obiettivo”.

Siete spesso comparsi in pagine o video che presentano i migliori dischi doom o le migliori band doom a livello internazionale. Quando vi siete accorti di essere una tappa fissa e imprescindibile per chiunque voglia avventurarsi in determinati ascolti?

Poia: “Non c’è stato un momento particolare, ma ci siamo accorti di questa particolare attenzione. Il fatto di fare una sorta di doom/stoner poco derivativo che oggi si traduce in una psichedelia pesante ci ha resi unici e molto riconoscibili. Non siamo un gruppo tecnico, ma il nostro suono lo abbiamo solo noi. Non siamo originali a tutti i costi, ma abbiamo da sempre una nostra voce. Una voce che ci ha subito messo sotto i riflettori”.

Hidden
La copertina di "Hidden", album del 2024

Reazioni positive che avete colto in contesti più metal o rock?

Urlo: “Bisogna stare attenti con la parola metal. A me il metal porta sempre alla mente band come Iron Maiden, Slayer, Pantera… Agli inizi, soprattutto, direi che eravamo più rock, vicini a Kyuss, Sleep, Monster Magnet. Negli anni il pubblico metal è cambiato molto, però, quindi oggi rientriamo anche in quel contesto. I confini si sono sfumati…”

Poia: “Questo anche grazie al fatto che tante band hanno battuto i festival europei, penso a un evento come il francese Hellfest, che è un megacontenitore metal in cui prospera qualsiasi suono non sia “per educande”. Il pubblico ha quindi iniziato ad apprezzare sonorità che prima, in teoria, apparivano indigeribili e incomprensibili”.

Urlo: “Negli ultimi vent’anni il metal è cambiato davvero tanto. Penso agli Shining, che con “Black jazz” flirtano appunto con il jazz. O a Zeal & Ardor che mescolano gospel e metal”.

Quali sono le nazioni che vi hanno accolto meglio, storicamente?

Urlo: “Germania, Belgio. Il nord-Europa tutto, tranne Stoccolma, che è un po’ la Milano del nord. Olanda, Inghilterra…”.

Poia: “Ma anche i paesi dell’est. È come se dentro ogni nazione ci fosse un microcosmo che ci segue e sostiene. Quasi ovunque ti senti a casa tua, alla fine. Certo, si parla comunque di occidente, sarebbe bello misurarsi con la psichedelia nord-africana, che è un’altra cosa ancora. E poter suonare in Cina, un giorno”.

Vi sentite affini a un monumento doom assoluto come gli Electric Wizard?

Urlo: “Sincero: è un accostamento che sento fare di frequente, ma non amo gli Electric Wizard. Li ho sempre trovati troppo ripetitivi. Credo che gli Ufomammut siano più versatili. Su quel suono che effettivamente hanno trovato, gli Electric Wizard ci hanno marciato su parecchio…”.

Poia: “Anch’io non sono un grande fan dei Wizard, ma ammetto che “Dopethrone” ha avuto un suono che ha fatto scuola. La coerenza è stata il loro punto forte ma anche il loro punto debole, Dopodiché i nostri riferimenti iniziali erano altri”.

Tipo?

Poia: “Gli Sleep, i Kyuss, i Melvins e varie band meno conosciute, tipo God Machine, Sons Of Otis o i 35007”.

Urlo: “Gli Snail… Che poi il problema di band come Electric Wizard o Kyuss è che vengono continuamente clonate, quindi rischi di trovarti a un megafestival in cui si esibiscono dieci versioni leggermente diverse dei Wizard… Cinque dei Kyuss… La chitarra di Josh Homme nel terzo disco dei Kyuss ha rotto un po’ le palle. Basta, dai”.

Quando uno vi ascolta ha la sensazione che il suono si muova lentamente come un pesantissimo pachiderma (ecco il mammut). Sapete essere monolitici e devastanti. Questo vostro elogio della lentezza pesante è qualcosa di cui, internamente, avete anche dibattuto a parole o vi siete sempre intesi al volo, strumenti alla mano?

Urlo: “Forse ci riesce bene suonare pesanti perché siamo persone pesanti (ride, nda). Di sicuro il nostro suono non nasce a tavolino. Abbiamo sempre cercato “il suono”. Io, col basso, ho sempre inseguito suoni tellurici, “grassi”. Il nostro fonico, inoltre, è un grande alleato che ci ha sempre aiutato nella ricerca degli amplificatori giusti”.

Poia. “Abbiamo cercato di trasformare un nostro limite tecnico in vantaggio. Noi, più veloci di un tanto, non riusciamo ad andare. Così abbiamo pensato: muoviamoci lenti e cauti come il bradipo, per il quale ogni bracciata è quella decisiva”.

Urlo: “Siamo sempre stati l’anomalo risultato di ascolti diversissimi: Pantera, Black Sabbath, Nirvana, Beatles… Il metal classico, ad esempio, ci ha sempre coinvolto poco”.

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Måneskin
"Speriamo che un fan dei Måneskin grazie ai Måneskin possa scoprire tante altre pagine della storia del rock" (Poia)

Un vostro segreto?

Urlo: “Avere un fonico di fiducia (Ciccio, il “soundlord”; poi registriamo con Lorenzo Stecconi) che capisca bene cosa vuoi ottenere. Soprattutto nei festival, dove spesso non puoi contare sulla tua strumentazione”.

Vi siete mai chiesti come reagirebbe un fan medio dei Måneskin al cospetto del vostro suono?

Poia: “A dire il vero no (sorride, nda). Però speriamo che un fan medio dei Måneskin grazie ai Måneskin possa scoprire tante altre pagine della storia del rock. Loro sono una punta dell’iceberg che è stata in grado di riattivare quei giovani virgulti (non pochi eh!), percorsi dalla sacra fiamma del rock, che ci troviamo sotto il palco”.

Chiudiamo con il vostro ultimo album, “Hidden”.

Urlo: “È un nuovo inizio. Fino a “8” avevamo un batterista – Vita – che poi ha lasciato il gruppo. Con Levre, il nostro nuovo batterista, siamo cambiati. Stiamo assistendo a un nuovo movimento del mammut in cerca di casa. “Fenice” (2022) è stata una rinascita, “Hidden” è nato da alcuni brani scritti ancor prima di “Fenice”. E ora arriverà la terza tappa del nuovo mammut, nel segno di un’esplorazione che sappiamo solo parzialmente prevedere”.

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