I Maneskin sono tornati. Sono tornati a suonare dal vivo, nel mondo. Facendo sold out. I Maneskin sono tornati. E del resto non se n’erano mai andati. Mi è capitato sott’occhio un video che ha per protagonista Enrico Brignano. Un video di un suo spettacolo, non so se teatrale o televisivo. Nel video Brignano, che per la cronaca mi fa ridere quanto il postino che mi citofona dicendomi che c’è una cartella dell’Agenzia delle entrate da firmare, forse un po’ meno, mette in evidenza dei vezzi a suo dire femminili di quelli per cui ti viene chiesto di rispondere una semplice quesito dalla tua compagna, cosa che tu di istinto tenderesti a fare dicendo esattamente quel che tale quesito prevede, una risposta semplice e sincera, salvo poi scoprire che in realtà era una classica domanda trabocchetto, cui dovevi rispondere in tutt’altra maniera, perché niente va mai dato per scontato, e se anche sei convinto di aver fatto e detto tutto secondo copione è molto facile tu ti stia sbagliando. Un classico, il passaggio repentino dal “non mi consideri” al “mi stai troppo addosso”, solo che Elio e le Storie Tese hanno scritto Cara ti amo oltre trent’anni fa. Ripeto, zero risate, ma mi sembra un ottimo incipit per questo pezzo, che come avrete letto dal titolo, visto dalla foto di copertina e spero già intuito da queste prime righe, parla davvero del ritorno sulle scene dei Maneskin, ritorno che fa seguito non a una separazione, né a un qualche vaffanculo tra i quattro membri infine rientrato, ma semplicemente a qualche settimana di vacanza, come quelle che in genere chiunque lavori tende, potendo, a prendersi. “Stava già parlando di questo?”, si chiederà forse qualcuno, rileggendo le righe subito dopo le due iniziali e cercando il nome di Damiano David o Victoria De Angelis nelle frasi che raccontavano il video di Brignano, deluso dallo scoprire che no, non c’erano? Sì, stavo già parlando di questo. Io scrivo, voi leggete, andate avanti e capirete. Brignano non mi fa ridere, ripeto, e quando a suo tempo Giorgio Montanini, mio conterraneo e parte della sua stessa scuderia, lo mandò sonoramente a cagare, perdendo di conseguenza il diritto di essere parte di detta scuderia, a sua volta capitanata da un mio compaesano, non potei che esultare, riconoscendo nelle parole anche violente di Giorgio Montanini qualcosa che sapeva incredibilmente di sincero, oltre che di marchigiano. Vado avanti. Stanotte ha piovuto sabbia. Tanta sabbia, almeno a vedere i vetri e i tetti delle auto parcheggiate in strada, ricoperte da uno strato giallo, neanche troppo sottile. Tra queste la mia. Ora, intendiamoci, non sono uno di quelli che è fissato con la pulizia della macchina, mai vissuto questa fase terzomondista, ma se il cielo è carico di nuvole e invece che pioggia cade sabbia, questo lo so per esperienza di vita, ho fatto cinquantacinque anni una settimana fa, l’aria si satura ulteriormente di umidità, e quindi il caldo reale diventa assai più fastidioso, il famoso caldo percepito. Anche questo c’entra con i Maneskin che sono tornati a suonare, prima a Città del Messico, poi in Germania, un fottio di altri Festival in giro per il mondo, anche piuttosto prestigiosi, ad attenderli? Sì, anche questo. Continuo. Sono andato a votare. Ho votato Ilaria Salis e Massimiliano Smeriglio, per il partito che mette insieme Sinistra e Libertà e Verdi e non ricordo chi altro. L’ho fatto perché mia figlia grande, Lucia, mi ha talmente fracassato le palle col fatto di andare a votare che ho deciso che tra lei che mi fracassava le palle e io che tenevo fede alla mia totale disistima non solo per l’istituzione del voto democratico, ma anche di quello per le europee, era assai molto meno doloroso rinunciare ai miei principi e alle mie idee. Però, c’è sempre un però a questo punto, a darmi la spinta finale l’editoriale del nostro direttore, nostro in quanto mio direttore che scrivo per MOW e vostro direttore in quanto gente che legge MOW, Moreno Pisto. Editoriale nel quale spiegava l’inutilità del voto alle europee, a causa dell’inutilità di chi poi dalle europee risulta eletto. MOW, mi sono sentito dire dal primo giorno che ci ho iniziato a scrivere, ormai parecchio tempo fa, ha come mission l’andare controcorrente, e cosa c’è di più controcorrente che andare contro i consigli del proprio direttore? Quindi grazie a mia figlia Lucia e al mio direttore Moreno Pisto ho votato Ilaria Salis e Massimiliano Smeriglio, lui l’ho conosciuto di persona in una delle aperture dell’anno scolastico dell’hub culturale e di spettacolo Officina Pasolini di Roma, un voto presumibilmente inutile e che è la prova provata che i miei solidi principi sono assai più flessibili di quanto io non ami far credere. E i Maneskin? C’entrano, c’entrano, tranquilli.
Per andare a votare, pensa te, mi sono dovuto pure fare quattro chilometri e mezzo a piedi, come neanche in certe storielle edificanti su cui Paola Cortellesi potrebbe costruire la trama di un prossimo film, quattro chilometri e mezzo con questa umidità e questo caldo sono come una maratona olimpica, credo, specie se siete vagamente sovrappeso come me. È successo che con la mia famiglia siamo andati a messa, perché sì, sono punk, sono anarchico, sono sboccato e politicamente scorretto e anche per questo vado a messa e, dirò di più, proprio oggi mi sono candidato alle prossime elezioni del Consiglio pastorale della mia parrocchia, ennesima défaillance del mio non credere alle elezioni, e una volta usciti dalla messa siamo andati verso la scuola che ospita il seggio. La scuola dista a un chilometro e cento metri da casa mia, la chiesa è circa a tre quarti del cammino. Oggi mio figlio Tommaso ha votato per la prima volta, ha fatto gli anni a fine giugno dell’anno scorso. Quando eravamo a pochi passi dall’ingresso della scuola ho tirato fuori le tre tessere elettorali, la sua, quella di mia moglie e la mia, non so perché sono io a tenerle in un cassetto di mia pertinenza, e ho scoperto di aver preso la mia tessera elettorale ormai piena, da qualche anno sostituita da una nuova. Quando ho visto l’errore ho sacramentato, con mia moglie che, invece di palesare solidarietà, solidarietà ancora più dovuta dal fatto che sa perfettamente che delle elezioni in sé non mi frega nulla, stiamo insieme da trentasei anni e mezzo e sa quante volte io abbia deciso di non esercitare quel diritto, anzi, di esercitare il diritto di non esercitare quel diritto di voto, perché chi è morto e ha lottato per il diritto al voto lo ha fatto anche per chi poi non vuole votare, sappiatelo, ecco, invece che palesare solidarietà mi ha detto qualcosa che suonava come “Ma non potevi buttarla via, la vecchia tessera?”. Domanda cui andrebbe risposto con un serafico “E grazie al cazzo”, risposta che è però stata sostituita da una più acida “E non potresti tenerti tu la tua tessera elettorale?”. Di fatto sono dovuto tornare a casa, prendere la nuova tessera e poi tornare al seggio. Non ho fatto la coda, perché era quasi ora di pranzo e a ora di pranzo la gente sta a casa a pranzare, non va a votare per elezioni di cui in fondo non frega nulla a nessuno, poi me ne sono tornato a piedi a casa. In totale quattro chilometri e mezzo, solo per poter dire al mio direttore che ho fatto esattamente il contrario di quel che suggeriva, facendo mio lo spirito di MOW. Yuuuu! I Maneskin, ricordi? La reunion o quel che è, il ritorno, i concerti in giro per il mondo, il fatto che non se ne parli più tutti i giorni. Quindi? Vado ancora un po’ avanti. Tornando a casa, sotto un cielo particolarmente plumbeo, sono passato sotto casa di Morgana, una delle chitarriste storiche delle Bambole di Pezza. Siamo vicini, l’ho scoperto durante il Covid. Anzi, l’ha scoperto lei, che ha visto una foto che ho postato e riconosciuto un certo terrazzo che avevo inquadrato, terrazzo visibile anche da casa sua. Me lo ha scritto in privato, su Instagram e da lì ci siamo messi a chiacchierare, non ci eravamo mai visti o sentiti prima. In quell’occasione le ho chiesto se non pensasse di riunire la band, e devo dire che era stata possibilista, forse tradendo qualcosa che era già nell’aria. Autospoilerandosi, in sostanza. L’ho conosciuta di persona la settimana scorsa, intervistandola per una mia cosa che faccio altrove. E abbiamo ricordato quello scambio. Il giorno dopo, a teatro, per la prima data di Bestiario Pop, non il podcast che da questa settimana trovate qui su MOW, ma uno spettacolo teatrale che insegue lo stesso tema, il rapporto tra animali e musica, e che ha sempre me e Luccioola, mia figlia, per protagonisti, lì insieme alla cantautrice Valentina Parisse, ecco, per la prima data di Bestiario Pop, al Teatro Gerolamo, ho conosciuto anche Dani, che con Morgana è una delle due Bambole di pezza rimaste nella nuova formazione, insieme a Cleo, che della band è la frontwoman attuale. Parlando con tutte e tre, con Morgana nell’intervista, con Dani e Cleo nei camerini, prima dell’inizio dello spettacolo, si è detto come i Maneskin, col loro successo mondiale e quel loro essere così glamour e rockettari, abbiano in qualche modo riportato l’attenzione sul rock suonato, questo in un’epoca di trap e musiche fatte in casa con l’iPad. Una specie di ariete di sfondamento, di cui stanno beneficiando un po’ tutti quelli che il punk o il rock lo hanno sempre fatto, o, come nel caso delle Bambole di Pezza, hanno ripreso a farlo. Il recente ritorno, discografico, dei Finley, primi ospiti di Bestiario Pop, stavolta parlo del podcast qui su MOW, lo dimostra. Anche se loro non se ne erano mai andati o sciolti, semplicemente non pubblicavano dischi e si limitavano a suonare dal vivo, certo con meno attenzione di prima, ma non per questo erano spariti o si erano divisi. I Maneskin, questo lo hanno detto anche a Bestiario Pop i Finley, hanno decisamente dato una mano alla causa, questo piacciano o meno, aggiungo io. Assai più, aggiungo, di un Vasco Rossi che per sette sere sta riempiendo proprio in questi giorni San Siro, quattrocentomila biglietti venduti. Perché Vasco è storia a sé che nulla porta al rock, il suo pubblico è il suo pubblico e segue solo lui, al punto da apprezzare, per dire, Denise Faro, per cui Vasco ha scritto e prodotto Libera e se mi va, alla faccia dei Maneskin. Ecco, i Maneskin, ci siamo.
I Maneskin sono tornati. Stanno suonando in giro per il mondo, letteralmente, prima a Città del Messico, cinquantacinquemila spettatori per la tappa sold out al Tecate Emblema Festival, poi in Europa, concerti singoli o parte di Festival importanti, come quello di Madrid (il Mad Cool Festival) o in Giappone (il Summer Sonic Music). Oltre quindi tappe in altrettanti festival, quasi sempre già bagnati da un sold out. Questo a discapito di voci, soprattutto in Italia, di ipotetici scioglimenti, complici la vita mondana di Damiano in quel di Malibu, con la compagna Dove Cameron, o i dj set di Victoria De Angelis. Questo a discapito del fatto che queste date fossero già annunciate da mesi, bastava solo cercare. Questo a discapito del fatto che i Maneskin non si sono praticamente mai fermati da anni, una pausa di qualche settimana poteva pure essere prevedibile. Ma proviamo a sbrogliare il canovaccio che ho intessuto fin qui, tanto per non passare troppo per eccentrico, almeno non più di quanto già non capiti di suo. Enrico Brignano e il suo banalotto monologo sulle donne. Ecco, ai Maneskin è successa un po’ quella roba lì, si è seguiti in molti quella dinamica (e uno una terza persona impersonale per non dire, pirla, l’avete seguita voi che ne avete scritto): prima ci si è occupati tutti i giorni dei Maneskin, a prescindere che ci fosse qualcosa di rilevante da dire. Il look, gli amori, i successi, gli scazzi, le mode, le canzoni, no, quelle no, sia mai si parli di musica, chi li adora, chi li odia, il pisello extralarge di Damiano, le tettine sempre in vista di Victoria, le facce sceme di Thomas, i presunti problemi con le fan di Nathan. Poi si è cominciato a scrivere che se ne stava parlando troppo. Continuando a farlo. Infine si è smesso di farlo, anche perché nel mentre era subentrata la vacanza, e di colpo, toh, “non si parla più dei Maneskin, è crisi, era tutta una montatura dei media, una bolla che è scoppiata, la band è finita”. La follia delle donne, direbbe Elio e le Storie Tese, questo non solo perché, guardandomi vicino, sono state spesso donne a scriverne, ma per continuare su quella metafora lì. Ok, i Maneskin ci sono ancora, ci sono sempre stati, hanno ancora successo, e continueranno presumibilmente ad averne. Questo a prescindere o meno che sia meritato, nessuno parla mai di musica, non vedo perché farlo io qui e ora. Decidetevi, voi che ne siete assillati e ossessionati, e poi fate pace con voi stessi. E Brignano è andato. Il che mi porta al secondo passaggio, ha piovuto sabbia stanotte. Detto en passant, in maniera quasi impercettibile. Perché sì, sembrava dovesse venire giù l’inferno, invece di acqua non se n’è vista, una volta tanto. Solo che le macchine ora sono tutte sporche. Ecco, niente scioglimento, resta solo il residuo di tante cazzate scritte per mese, fastidiose quanto inutili. E arriviamo al punto successivo, centrale. L’andare controcorrente, anche a discapito dei propri credo. Dire che i Maneskin fanno cagare, credo, sia oggi un gioco anche troppo facile. Non sono i Red Hot Chili Peppers, che già ci sono stati e indubbiamente li hanno influenzati, e grazie al cazzo, e non sono i Rolling Stones. Sono i Maneskin, e chiunque abbia visto la luce nel Novecento ha già sentito la loro musica. Ma è indubbio, ci mancherebbe pure altro, che seppur aiutati da una congiuntura astrale favorevole, e da un lavoro di fino sul piano discografico e di marketing, i Maneskin hanno conquistato nel tempo risultati che nessuno in Italia ha mai raggiunto prima di loro, parlo del resto del mondo. Né i tanti declamati Laura Pausini o Eros Ramazzotti, noti più che altro in Sud America e in parte dell’Europa, ma indubbiamente più marginali di loro, né i vari Volo o Andrea Bocelli, molto amati da chi ama il bel canto, ci mancherebbe altro, ma spesso a beneficio di un pubblico di italo qualcosa. Credo, quindi, e lo credo profondamente, che star lì a spalarci sopra merda sia tutt’altro che voler fare i bastian contrari, semmai sia seguire in qualche modo una moda, neanche troppo passeggera, uniformarsi a un mood che vuole i profeti profeti altrove e mai in patria, figuriamoci se è una novità, e soprattutto vuole che creare polemichette sui social aiuti il traffico, Dio santo, il traffico credo sia il vero grande problema del giornalismo attuale, altro che censure e dittature culturali. Inventarsi non notizie pur di parlarne, quindi, è stare nel gregge, seguire il flusso, se si vuole provare a andare controcorrente, e si vuole andare controcorrente perché si ha la sensazione che la corrente vada verso una cascata mortale, forse sarebbe il caso di concentrarsi sui fatti reali e raccontare quelli, senza per altro fare i fenomeni. Non fosse altro perché, lo dicono anche le Bambole di Pezza e i Finley, tutta gente che c’era prima di loro e che quindi da una parte potrebbe star lì a rivendicare nei loro confronti qualcosa, come si trova a percorrere una strada ancora non battuta che poi viene battuta da un fuoristrada e tutti pensano che sia stato il fuoristrada a batterla per prima, e di conseguenza anche a rosicare un po’, per la medesima ragione, ai Maneskin va riconosciuto il merito di aver riportato la musica suonata, e rock, al centro della scena, in un periodo in cui sembrava che la musica suonata, e rock, fosse destinata all’estinzione, come per i Panda o i Dodo. Magari in futuro si scioglieranno, mandandosi a cagare. E a quel punto parlare di litigi, di carriere soliste, volendo anche di piselli e tettine avrà un senso. Oggi no. E non ce l’ha perché sono minchiate, scritte tanto per inseguire il traffico, ma senza alcuna realtà di fondo. Anzi, minchiate che non fanno che infoltire un coro omogeneo e omologato, esattamente il contrario di chi si dipinge come rock e contro le regole, o forse, anche solo intenzionato ad andare sempre in direzione ostinata e contraria.