Mi sono cadute le braccia. Scopro guardando Arisa che cantava ad Amici Canta ancora, la canzone del film che esce il 7 novembre Il ragazzo dai pantaloni rosa, la storia di Andrea Spezzacatena, il ragazzino di 15 anni che si era impiccato 12 anni fa a Roma dopo essere stato vessato dai bulli per un’omosessualità che per altro non corrispondeva nella sua realtà, tutti piangono nello studio di Maria De Filippi, e io piango da casa. Dico: il tema è importante, da poche settimane s’è ucciso un ragazzino di 15 anni a Senigallia, si chiamava Leonardo, Leo, si è sparato per gli stessi motivi, perché vittima di bulli. Facciamo copertina, con Arisa, con Samuele Carrino, il protagonista nei panni di Andrea, e Claudia Pandolfi, che recita in quelli della madre. Intanto il film viene presentato alla Festa del Cinema di Roma, ma prima viene fatta una proiezione solo per le scuole. Penso: che bell’idea, una vera lezione di vita, un riaffermare la volontà di tutti di andare contro quei pochissimi che sempre e solo in gruppo fanno del bullismo, della cattiveria la cifra per nascondere le loro paure, le loro frustrazioni, il loro male di vivere. Ma durante la proiezione i ragazzi, alcuni ovviamente, urlano quando appare Samuele nei panni di Andrea e scusate, ma per cronaca metto la parola per intero: «Fro*io!». E poi ancora: «Ma quando muore?», e giù risate, applausi. Ma succede di peggio: nessuno degli altri studenti muove in dito, dice una parola, vincono i bulli. Proprio come è avvenuto nella storia di Andrea ucciso dal bullismo, ma anche da chi non ha mosso un dito, come poi è successo a Leonardo. Leggendo le cronache mi indigno e si indigna anche il ministro dell’Istruzione Valditara che ha chiesto di individuare «i responsabili di questi comportamenti vigliacchi e squallidi». Ma non c’è limite al peggio: scopro ancora in una scuola di Treviso dove era stata comunicata la partecipazione alla proiezione del film è arrivato il dietrofront con un comunicato che annunciava come l’iniziativa fosse stata “temporaneamente sospesa”. Il motivo, riporta La Tribuna di Treviso, sarebbero le lamentele di alcuni genitori preoccupati per la scelta del film che hanno chiesto alla docente di annullare la proiezione. Il sindaco s’è pure scusato: «Mi dispiace, persa un’occasione per approfondire. Omofobia, depressione e suicidi sono piaghe della società».
E da qui capisco che la copertina è stata una scelta più che giusta: il bullismo è accettato, anche da genitori sicuramente “perbene” (o solo perbenisti?) e un film contro dà fastidio, meglio non farlo vedere ai nostri figli, chissà forse perché essere contro l’omofobia viene vissuto coma una propaganda per l’omosessualità? Se fosse così non ci sarebbe nemmeno un omosessuale nel mondo visto che per secoli è stata negata, repressa perfino condannata a morte. Quando ho scoperto che a Senigallia un quindicenne, Leonardo Calcina, si era suicidato con la pistola del padre vigile urbano perché vittima del bullismo di alcuni compagni della classe mi è riesplosa la rabbia: come è possibile che oggi, in una scuola, nessuno abbia mosso un dito per proteggerlo dai bulli? Leo era un ragazzo troppo sensibile, troppo gentile, troppo disponibile verso il prossimo. Tra gente normale sarebbero state considerate virtù preziose, ma per altri erano debolezze, fianchi sui quali colpire senza pietà. Leo si era confidato non solo con la madre e con il padre (che avevano pensato anche a denunciare, ad andare dal preside), ma anche con un insegnante che gli aveva detto semplicemente di tenere duro per un anno che poi la scuola sarebbe finita, avrebbe compiuto 16 anni. Questo caso è avvenuto pochi giorni fa, nel 2024, ma facciamo un salto a 12 anni fa, quando Andrea Spezzacatena, un ragazzo di Roma, anche lui, come detto, di 15 anni, si è impiccato nella sua camera con una sciarpa dopo essere stato vittima a scuola di tre bulli, due ragazzi e una ragazza, alla scuola Cavour, a un passo dal Colosseo. Vittima anche lui della sua sensibilità, della sua intelligenza, della sua gentilezza, una preda facile per i bulli, che anche oggi hanno una caratteristica che li accomuna, ieri come oggi: un’incredibile vigliaccheria.
La sua storia è raccontata nel film Il ragazzo dei pantaloni rosa, perché Andrea che un giorno andò a scuola indossando un paio di pantaloni che erano diventati rosa per un errore di lavaggio della madre e tre bulli scrissero sui muri (tra cui una ragazza e la cosa mi colpisce molto) «Andrea Checcatena» giocando sul suo cognome Spezzacatena. Crearono anche un account su Facebook intitolato «Il ragazzo dai pantaloni rosa» su cui, ovviamente in forma strettamente anonima (come detto la vigliaccheria fa sempre da padrona tra i bulli) scrivevano ogni tipo di insulto omofobo e il colmo è che Andrea non era neanche gay, come hanno assicurato il padre e il nonno. Quei bulli, che non credo siano mai stati puniti, però ci hanno regalato un titolo bellissimo: Il ragazzo dei pantaloni rosa. Ed è questo il titolo che la regista Margherita Ferri ha voluto dare al suo film con Samuele Carrino nei panini di Andrea e Claudia Pandolfi nei panni della madre Teresa Manes. Spero che questo film, nonostante i casi di Roma e di Treviso, venga visto soprattutto dai bulli che così renderanno conto del dolore che danno, che il loro piacere è un nulla di fronte al tormento inflitto e vorrei che si rendessero conto della loro vigliaccheria. E vorrei che quel film fosse visto soprattutto da quegli insegnanti che si sono voltati dall’altra parte per non avere «rotture di palle». Vorrei che lo vedesse quel preside di Senigallia che si è avvicinato alla madre per farle le condoglianze al funerale di Leo e lei lo ha allontanato, giustamente. Vorrei che lo vedesse quell’insegnante di sostegno che pare non si sia interessato al caso e non abbia neanche chiamato i genitori di Leo. Leggo che il preside del “Panzini” ha scritto una lettera agli studenti dopo la tragedia del suicidio di Leonardo e questo passaggio ha sconcertato i familiari: «Spieghiamo ai ragazzi l’importanza di non parlare (o peggio sparlare) di fatti di cui non si ha effettiva conoscenza o non si siano prima e con certezza verificate le fonti». Un passaggio che sembra proporre il silenzio su un fatto che invece, a mio parere, va discusso, affrontato, metabolizzato. Altro che attesa.