Il caso di Antonio Scurati, ormai assurto a vero e proprio delitto di stato, ha cristallizzato una situazione che ormai era evidente da tempo, ma che con un gioverno a trazione di destra ora stride in tutto il suo marinettiano fragore: mai come oggi il tema della Liberazione è divisivo, una vera e proprio Guerra tra Bande. Se infatti da una parte sorprende la tafazziana gestualità censoria di una Rai sempre più incline a genuflettersi al potere, con l’elevazione di un testo non memorabile a pietra miliare della libertà di espressione, quando un suo passaggio col 3% di share avrebbe giustamente lasciato il tempo che trova, quel che risulta chiaro quanto urticante è il dover ancora una volta constatare come la destra, anche quella che si finge evoluta, Dio mio, evviva gli ossimori, fatichi a dirsi antifascista, come un Fonzie incapace di chiedere scusa. Forse proprio perché antifascista non è, almeno in alcune sue parti. Sicuramente perché ostinatamente incaparbito a voler tenere posizioni ormai consolidate, io sono al potere e sta a me stabilire le priorità del paese, come le teorie gender, le adozioni per coppie omosessuali e altre faccende assolutamente primarie.
Quindi ecco che da una parte ci sono gli intellettuali che si alzano in piedi a intonare il sacro testo scuratiano, da Massimo Gramellini e Roberto Vecchioni a tutta quella pletora di scrittori che avrebbe dato un rene per essere al posto dell’autore milanese (d’adozione), dall’altra chi sminuisce, più propenso a guardare al 25 aprile come giorno per scampagnate con tovaglie a scacchi (vai a sapere se almeno gli scacchi delle tovaglie le intendono rossi), mai una frase a favore della Liberazione dal nazifascismo e da chi quella frase ha permesso. Di più, come a voler buttare sul panno verde del tavolo da gioco un tema ritenuto assai più attuale, e con quella anomalia per cui chi non si dice antifascista ora accusa di antisemitismo chi accusa di genocidio Israele, ecco che il tema più gettonato di certi discorsi diventano le brigate ebraiche, sicuramente sbertucciate anche quest’anno, ancor più quest’anno, durante le celebrazioni del 25 aprile, ovviamente con una spruzzata di “e allora le Foibe”. Una guerra da bande, ripeto, alla quale si aggiunge, un’altra guerra tra bande, dove stavolta per banda si intende la banda di paese. Perché se è vero come è vero che le bande comunali sono da sempre in prima fila durante il giorno della Liberazione, tra un Inno di Mameli e un Bella Ciao, sempre eseguiti doverosamente a cazzo di cane, quest’anno, con una mappatura della geografia politica che presenta una Italia sempre più nera, ultima in ordine di tempo la conferma della Basilicata, si pone il problema di che repertorio andranno a eseguire nelle piazze italiane, perché Bella ciao, lo ha ben detto Laura Pausini è divisiva, ma Faccetta nera lo sembra altrettanto, e l’Inno di Memeli fa già cagare cantato anche da voci cristalline come quelle di Arisa allo stadio, prima delle partite della nazionale, i calciatori immancabilmente muti, figuriamoci se a intonarla dovesse essere una banda composta da gente che nella vita, grazie a Dio, si occupa di ben altro.
Anche perché, un po’ come per il guanciale e il pecorino per la carbonara, il fatto che Bella ciao venga intonata come canto di Liberazione è storicamente un falso, e sicuramente a celebrare la liberazione ai tempi della liberazione saranno stati quei pochi giovani sopravvissuti alla guerra, non certo anziani musicanti vestiti con divise discutibili, buoni semmai per le sagre patronali. La vera musica della Liberazione, del resto, è storia, era il rock’n’roll degli americani, Renato Carosone o James Senese ne sono la riprova. Perché, quindi, invece che sentire quegli strumentisti sguaiati, per di più legati mani e piedi a amministrazioni comunali quasi sempre nel mentre divenute ostili al 25 aprile, non proviamo a ipotizzare che a suonare Bella Ciao siano giovani dediti alle musiche che girano oggi, esattamente come il rock’n’roll ai tempi, decisamente poco italiane, quasi sempre americane, quindi non imputabili di essere riferimento di una delle due fazioni in campo su questo tema? Pensate a una versione trap di Bella ciao, nella speranza che non diventi Bella zia, o magari a un Inno di Mameli alla Maneskin, non solo metterebbero d’accordo tutti, ma avvicinerebbero a questo tema i giovani, solitamente non troppo vicini alla recente storia del nostro paese, oltre che alla politica. Resta altrimenti l’ipotesi che a cantare, come in una filodiffusione di portata nazionale, sia lo stesso Scurati, visto mai che gli venga fuori qualcosa di un po’ meno didascalico, il coro dei colleghi è già lì pronto, come il featurign di Vecchioni.