Taylor Swift è uscita con un album che fa riferimento alla poesia, già a partire dal titolo. La cantante pop più influente del mondo vuole fare poesia, è convinta di fare poesia. Ci crede. Il problema è che vuole farlo credere anche a noi. Deve convincere anche noi, che siamo nati in un Paese in cui la poesia è nel genoma. Ti puoi anche chiamare Taylor Swift, ma se dici di cucinare poesie a un popolo abituato a mangiare ossi di seppia a colazione, sai già che il tuo piatto andrà di traverso a qualcuno. The tortured poets department - The Anthology. Il nome è programmatico, e punta su una dimensione letteraria, in senso stretto. Non sono canzonette scritte soltanto per smuovere il cu*o: qui dentro troverete altro, dice Taylor Swift. La storia è questa: inizialmente le canzoni erano sedici, che è già un numero spropositato per un disco di musica pop degli anni venti del 2000. Poi succede che, racconta la popstar, "Ho scritto così tante poesie tormentate negli ultimi due anni e volevo condividerle con voi, quindi ecco la seconda puntata di TTPD: The Anthology. 15 canzoni in più". 31 pezzi, qualcosa di impegnativo, di esagerato. Qualcosa che non è più un disco, ma un libro. È Taylor Swift a confermare direttamente questa tesi: "Un'antologia di opere inedite che riflettono eventi, opinioni e sentimenti di un momento fugace e fatalista, sensazionale e doloroso in egual misura. Questo periodo della vita dell'autore è ormai concluso, il capitolo è stato chiuso. Non c'è nulla da vendicare, non ci sono conti da regolare una volta che le ferite si sono rimarginate. E, riflettendoci meglio, un buon numero di esse si sono rivelate autoinflitte. Chi scrive è fermamente convinto che le nostre lacrime diventino sacre sotto forma di inchiostro su una pagina. Una volta che abbiamo raccontato la nostra storia più triste, possiamo liberarcene". Un'antologia di poesie, in buona sostanza. L'idea è questa. Ma la poesia è l'indefinito per definizione. Bellezza, emozione, libertà, estetica, anestetica, privazione. Lo zero e l'intero. Non è facile nemmeno a dirsi, la poesia. Eppure è un atto del tutto naturale. Difficile, come tutto ciò che è impulsivo. A dire che cos'è la poesia di potrebbe andare avanti per ore, se le ore non fossero che una minutaglia di pensieri. Accontentiamoci di dire qualcosa che sia vero, che la poesia è quanto di più alto possa mai produrre l'umanità. Ed è per questo motivo che risulta così difficile, stabilire che cosa sia poesia e cosa no, e se Taylor Swift ha affermato di aver scritto delle poesie, la cosa migliore che possiamo fare è chiederlo ai poeti, se sia la verità. Ovviamente lo abbiamo fatto, altrimenti tutto questo panegirico così pieno di pathos non avrebbe avuto senso. Abbiamo fatto leggere tre testi di Taylor Swift ai poeti. Tre hit, tra le più famose e ascoltate, per cercare di capire se la popstar del momento stia portando davvero la poesia al mondo oppure no. L'esperimento è questo: Spotify alla mano, abbiamo inviato i testi di Love Story, Anti-hero e Cruel Summer a diversi poeti come Aldo Nove, Alessandro Quasimodo, Davide Rondoni, Franco Arminio e Flaminia Colella, chiedendo loro un parere sincero sulla poetica dei versi. Al netto di chi conosceva Taylor Swift e di chi ne ignorava l'esistenza, ai poeti l'idea è piaciuta. Qualcuno ci ha risposto via mail, a qualcuno abbiamo telefonato, qualcuno ci ha mandato un vocale, qualcun altro ha preferito commentare per iscritto. Ognuno ha scelto una strada diversa, ma parlare con i poeti porta a riflettere anche su questo aspetto della comunicazione. Dobbiamo sconfessare l'antonomastico teorema di Marshall McLuhan: il mezzo non è affatto il messaggio. Almeno, non se dall'altro capo del mezzo hai una persona che fa poesia, nella vita. Ecco come ci hanno risposto sulla poetica di Taylor Swift.
Aldo Nove ha scritto romanzi, racconti, svariate raccolte di poesie, ha vinto premi. Ma soprattutto, per quello che ci interessa oggi, ad Aldo Nove Taylor Swift piace. Gli piace al punto che sui social ha pubblicato un post, in seguito all'uscita del disco, in cui parlava della "più grande operazione commerciale di tutti i tempi nel campo della musica", lanciando una polemica contro "intellettuali e intellettualoidi nostrani, nel 90% dei casi fermi a De Gregori". Ha parlato di un album "che sbaraglia chiunque sappia qualcosa del rapporto tra poesia e musica". Se questo non basta, ecco la sua analisi delle tre canzoni che gli abbiamo proposto. Ce l'ha mandata via mail. "Tre quadri (tre narrazioni, tre “stati d’animo in musica”) della più grande cantastorie del Pop. Love story. Niente di più e niente di meno di quanto enunciato nel titolo. Il che non è poco, essendo un altro modo per esprimere il sogno della vita. Con ironia e precisione chirurgica Taylor ne esprime i luoghi comuni (nel senso anche di universali) in un bozzetto surrealmente preciso, con la distorsione di una favola al contempo disneyana e postdisneyana. “Difficile ma reale”, il sogno sempre uguale di una storia d’amore. Anti-Hero è la saga di una coscienza da cui fuoriescono personaggi, veri o reali che siano, a confronto con i propri sogni e le proprie paure. Spaventosa la capacità di Taylor Swift di mettere assieme le tessere di un puzzle in cui chiunque, volente o nolente, si può identificare. L’antieroe di cui parla è infine sé stessa e tutti noi, con attorno tutti i nostri fantasmi e le nostre debolezze: la bella ragazza (o oggi signora) che sculetta sui palchi strapieni del Pianeta porta avanti la tradizione che già fu di Dylan (suo fan), Mike Jagger (suo fan) e Patti Smith (esplicitamente citata, e che già l’ha ringraziata per l’onore che le ha reso): Dire le cose come stanno (o almeno come le sentiamo) proprio nel luogo che sarebbe quello della massima finzione, ossia del “divertimento” (e pure, aggiungerebbero scandalizzati i benpensanti per professione, del divertimento “mainstream”, assolutamente da sacrificare in nome di consorterie amene di poeti estinti et similia, detentori di sapienziali autoreferenzialità). Cruel Summer. Amore e follia. L’incendio che divampa e che rende il sogno incubo o, detta diversamente, realtà. Taylor Swift ci racconta al suo solito una storia. Sua e di chiunque abbia messo piede nell’esistenza. La perversione della magia dell’acqua che non disseta, ma corrode. La crudeltà del sole che non illumina, ma oscura, sotto la stregoneria del peggior sortilegio: “Ti amo”. Mentre, va da sé, “i diavoli lanciano i dadi e gli angeli alzano gli occhi al cielo".
Alessandro Quasimodo porta un cognome che è la storia della Poesia in Italia e nel mondo. È il figlio di Salvatore, premio Nobel per la letteratura nel 1959. Alessandro, come il padre, è poeta, oltre che a essere un attore, e regista teatrale. Alessandro anticipa via mail che non conosce appieno il personaggio: "Mi sto documentando sull’autrice di cui conoscevo soltanto il nome per il gossip sulla presunta relazione con il pilota Alonso. I suoi testi, soprattutto per quanto riguarda la costruzione sintattica, lasciano parecchio a desiderare, e non reggono senza il contesto musicale. Si salva secondo me il testo che rievoca Romeo e Giulietta (Love Story). Diversamente avviene invece per Bob Dylan, i cui testi reggono anche dal punto di vista letterario tanto da aver giustamente meritato il Nobel". Poi ci telefona, per approfondire il discorso. Anche a lui presentiamo la fatidica domanda: Taylor Swift ha presentato l'album come un'antologia di poesie. Quasimodo è sconcertato. "Ma è presuntuosa questa cosa perché in effetti i suoi testi io li ho letti, e li ho fatti leggere anche ad altre persone. Io sono abituato a un altro tipo di poesia, a partire dalla casa in cui sono vissuto, e sono presidente di parecchi premi letterari. Se mi recassero delle poesie come quelle della Swift non verrebbero classificate, verrebbero scartate immediatamente. Non sono poesie, ecco. Ho riletto quella su Romeo e Giulietta (Love Story) ma è un delirio, è un delirio. Ora non voglio fare illazioni, ma mi chiedo se assuma qualche sostanza. Me lo chiedo. Io, soprattutto negli ultimi due anni, mi sono messo a seguire anche il festival di Sanremo, e allora dico: un cantante come Ultimo vale cento volte Taylor Swift, sia a livello di testi che di canzoni. Brividi di Mahmood e Blanco vale centomila volte il testo di Love Story. Ho un parere decisamente negativo. Non credo che possa aspirare a prendere un premio Nobel per la letteratura, come è successo a Bob Dylan" Non è nemmeno cantautorato? Domandiamo a Quasimodo. "No, perché sono senza senso. Passa da un tempo a un altro. Mio padre ha detto non vedrai più la tua Giulietta, A lei ha detto, parlando a se stessa, mio padre ha detto. Perché? Sarà il padre di Romeo a dire questa cosa. Poi, andremo lontani in posti sconosciuti. Tu sarai il mio principe, io la tua principessa. Poi l'ho rincontrato in una periferia di una città. Chiariamoci: la sintassi è importante, la grammatica pure. E anche la costruzione del testo. Uno che segue questa cosa alla fine non capisce più niente. Per quale ragione poi, il padre gli dice di andare a comprare il vestito bianco? Ma non lo so, io francamente sono allibito". E sui contenuti? Cosa ci dice dei contenuti? "Ognuno scrive quello che vuole, ma il mio giudizio rimane estremamente negativo. C'è sempre la questione per cui se una cosa arriva dall'America deve essere più importante di quello che viene fatto qui in Italia. Lo ripeto, basta ascoltare Ultimo per capire che questa non è una poetessa. Sono ipercritico, questo è vero, perché sono in vari premi, sono al San Domenichino, sono al premio Città di Castello, ne ho fondato uno io stesso che è il Lord Byron. Insomma, io non la salvo, questa Taylor Swift. Io di poesie ne ho lette parecchie, ma le sue sono sconclusionate. Deve esserci un plot narrativo. Le sue sono parole in libertà, ispirate a qualcosa che non ha mai letto approfonditamente, perché su Romeo e Giulietta non si può scrivere una cosa del genere. Non c'è neanche un'emozione, non c'è niente. Sembra una cosa scritta così tanto per fare, da quinta elementare, non lo so. Io sono molto, molto drastico, ma dopo aver letto migliaia di poesie posso averne un'idea. Noi abbiamo una grande poetessa che è Vivian Lamarque. Ha scritto dei libri straordinari ultimamente. Madri d'Inverno, e c'è anche quell'ultimo che ha scritto adesso, Poesie da vecchia. Lì c'è emozione, c'è tutto, c'è ironia, c'è anche questa scherzosità. Ragazzi, questo è essere poeti. La poesia deve essere un tutto. In due parole, devo avere un mondo. Altrimenti non è poesia. Vogliamo rileggere Neruda? Insomma, ragazzi, c'è un po' di differenza. Vogliamo rileggere Garcia Lorca? oppure anche i nostri: rileggiamo Pascoli, che viene trattato come uno sconosciuto in Italia, viene ridotto a nulla, al discorso del fanciullino. Si mettono tre righe sulle antologie, cinque righe, che gli studenti dicono: ma questo era scemo".
Flaminia Colella è giovane, ma ha già all'attivo diverse raccolte di poesie, alcune delle quali sono state tradotte e pubblicate anche su riviste spagnole e inglesi. Su Taylor Swift è un fiume in piena. Cosa ne pensi, le chiediamo, di questi tre testi di Taylor Swif e della sua poetica in generale? È sensato che abbia presentato l'album come un'antologia di poesie? "No, perché la canzone è un oggetto, è una forma artistica, una disciplina, è un'arte che ha dei contorni, una storia, una sua fisionomia ben precisa che può avere dei punti di contatto tangenziali con la poesia, ma rimane sempre qualcosa di separato. Pensiamo ai meravigliosi testi della canzone italiana, a Oro di Mango, alcuni testi di Mogol, posso farti molti esempi: è poesia, perché arriva quasi al vertice della tensione, raggiunge quasi il verso. Questo però non deve creare confusione su quella che è la netta distinzione tra due ambiti artistici, tra due tipi diversi di esperienza artistica, in termini di scrittura, in termini di gesti, strumenti, metrici, in termini di tutto. L'arte poetica è un'arte assolutamente sua, propria, individuale, un'arte che ha un suo ben preciso magistero, una sua tradizione e che non coincide assolutamente con la canzone, per quanto ovviamente siano, lo ripeto, contigue; per quanto siano arti sorelle. Lavorano entrambe con la parola, è vero, ma nel caso della canzone c'è l'inserto necessario della musica, il fatto che la parola debba cucirsi sulla musica, appoggiarsi alla musica: al netto di tutti gli esperimenti di poesia e musica, di accompagnamento con la musica, che anche io amo fare, la canzone è un'operazione, un prodotto, un oggetto, un contenuto artistico assolutamente distinto da ciò che invece è la poesia, l'esperienza poetica. Sia chiaro: questo mio ragionamento non vuole contenere in sé alcun giudizio di valore. C'è un'alta tradizione della canzone pop, che è quella che fa la Swift, è una grandissima tradizione, una grandissima possibilità artistica, una grandissima fucina di bellissime esperienze, bellissime operazioni, bellissimi esperimenti. Stiamo sul concetto di musica popolare, che è come il romanzo popolare. Prendiamo Alessandro Manzoni. Manzoni fa un'operazione enorme dal punto di vista narrativo, ma il suo è un romanzo popolare, un romanzo popolare fatto in maniera consapevole. La canzone popolare, cioè la musica leggera, cerca di regalare dei contenuti, dei sentimenti, che non sono semplici ma elementari. È un bene che ci sia, la canzone popolare, a patto che sia fatta bene. La Swift fa qualcosa che sia un bene che esista. È una grandissima pop star. Apprezzo i testi che scrive perché fondamentalmente trattano l'argomento dell'amore inarrivabile, l'amore ultimo. Parlano dell'amore come impossibilità, come irraggiungibilità, e questo è ciò che viene dall'esperienza della tragedia antica, dalla tradizione della letteratura che ha a che fare col sacro, col silenzio di Dio. L'amore che non riesce ad essere raggiunto, Cruel Summer è l'espressione di questo, dell'amore che io non riesco a toccare, l'amore che in qualche modo mi rimane strano, l'amore che io voglio ma non è corrisposto. Il fatto che comunque ci siano dei cantanti che a livello planetario, globale, riescano a raccontare ancora questo genere di cose è un bene che ci sia, perché si incontra qualcosa che fa parte della verità, dello spettro dei sentimenti umani. Pensiamo al testo di Anti-hero. Lì c'è un altro tipo di risparmio: si tratta di una canzone che parla della volontà di demitizzare, di sfatare la leggenda. C'è qualcuno che si è voluto guardare con un occhio demitizzante. Affondiamo nella questione del mito, per quanto si tratti di un contenuto espresso in termini elementari, non complesso. D'altronde si tratta di musica leggera, di musica pop. Parliamo sempre di qualcosa che deve arrivare alle folle, che deve riempire l'anima delle folle. Ma anche lì troviamo qualcosa che appartiene fortemente all'esoscheletro, al DNA del nostro destino, alla nostra appartenenza antica. La necessità di disfare il mito, di sfatare il mito. Love Story invece è semplicemente una dichiarazione d'amore di due adolescenti, una ragazza amante, o comunque fidanzata, che si dichiara, richiamando le promesse di amore. Concettualmente, una storia che viene dall'esperienza della tragedia. Qualcosa che appartiene alla storia dell'umanità. In fondo, parla di qualcosa che è centrale per tutti noi". Potremmo chiamarlo cantautorato? Chiedo a Flaminia Colella, o è troppo? Lei mi risponde che "insomma, la distinzione è netta. Come dicevo all'inizio, la canzone è un genere, la poesia è un'arte. Si toccano, possono unirsi, eventualmente possono dialogare altissimamente, lo sanno fare i grandissimi nostri artisti, cercano di farlo, lo hanno fatto, pensiamo a Branduardi, pensiamo a Battiato, Jannacci, Finardi. Tornando alla Swift, nel momento in cui lei scrive canzoni, c'è sicuramente un momento autoriale. Che poi non sia un cantautorato colto ma elementare, questo è evidente. Un conto è ascoltare i testi della Swift, che sono assolutamente godibili, apprezzabili. Un conto è ascoltare i Beatles, ascoltare Bob Dylan, Gary Coleman. È chiaro che si parla di livelli estetici e di esperienza artistica diversi dal punto di vista del gesto, della profondità, della ricerca. Questo è poco ma sicuro, tutto concorre, come dire, alla possibilità di scelta di chi si approccia all'arte. Poi la poesia può essere anche spettacolarizzata, pensiamo a Dylan Thomas. Dylan Thomas è stato un mito da cui hanno preso esempio in tanti. I Rolling Stones, Bob Dylan, eccetera. Era un folle di cui io ero molto innamorata. Dylan Thomas, per quanto fosse un poeta quasi incomprensibile nella lingua, è stato grandemente pop, è stato grandemente spettacolare. Però la spettacolarizzazione della poesia viene sempre in un secondo momento. La poesia ha una mescita lenta, una mescita che avviene nel silenzio. La poesia non viene fuori perché ci si immagina proiettati di fronte a un enorme scenario di pubblico. Quella è un'eventualità che ci può essere, nel senso che alla fine tutti noi cerchiamo di essere letti, di arrivare a quanta più gente possibile. È chiaro che io, se potessi, farei i bagni di folla come Dylan Thomas, ci metterei la firma e sicuramente non mi dispiacerebbe, però attenzione a fare confusione. Le arti hanno un loro proprio magistero, sono tutte quante meritevoli di una propria specifica dignità alla quale bisogna sempre fare riferimento; poi ben venga l'ibridazione, la contaminazione, ma sempre a partire da questa premessa che per me rimane fondamentale". Il discorso sulla nascita della poesia è importante, fondamentale, ma allora chiediamo a Flaminia come sia possibile che la Swift, col seguito che ha, scriva ancora nel silenzio. Se la poesia nasce da una dimensione interiore, Taylor Swift mentre scrive non può ignorare che i suoi testi andranno a finire in tutto il mondo. "Più che interiore, la poesia lavora sull'intimità, sulla memoria, sull'impressione che il mondo fa sull'animo del poeta. Poi può diventare anche esteriore, nel momento in cui diviene un gesto collettivo, quando viene detta, quando viene cantata. Non dimentichiamoci che la poesia nasce come forma orale. Veniva cantata e accompagnata dalla cetra, quindi noi non facciamo niente di nuovo con questo accompagnamento musicale: facciamo quello che veniva fatto da Omero. Ma la differenza rimane. La struttura, la tensione, la metrica, la necessità di concatenare le parole in un determinato modo, di farle accadere, la loro energia evocativa: tutto questo nella poesia è una cosa specifica, è un fatto. La canzone ha un altro tipo di sguardo, di respiro, vive di altro. Per quanto siano assolutamente due ambiti tangenti. Quando io lavoro con i miei amici musicisti e cerchiamo di cucire le parole sui testi o di fare un accompagnamento musicale, non stiamo facendo la canzone, stiamo facendo una parola densa, pregna di una sua tensione specifica, e che poi viene seguita dalla musica. È una cosa diversa. Non nasce intrisa della melodia. Casomai, la cerca". La poesia ha una sua sostanza, oltre alla musica che l'accompagna. La canzone nasce necessariamente con la musica.
Davide Rondoni ha pubblicato diversi libri di poesia e saggistica, è autore di documentari e di programmi di poesia in televisione. Ha fondato il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna e la rivista «clanDestino». Quando scopre di dover commentare tre canzoni di Taylor Swift è incredulamente sarcastico: "Tre testi? Manco fosse Foscolo!". Poi, al telefono, ci spiega che la poesia è un bar. "Come diceva il mio maestro Mario Luzi: la qualifica di poeta non vale nulla, se la può dare chiunque. Io dico sempre che la poesia è come un bar, è aperto, poi si vede a che tavolo ti siedi, se stai con quelli che fanno sul serio, con quelli che cazzeggiano, se con quelli che usano la poesia per darsi un tono o per altre cose. Da tempo ormai la società dello spettacolo, che si impadronisce di tutto, della vita, della morte, della politica, tende a impadronirsi anche della poesia. Questo avviene grazie anche alla collaborazione di qualche presunto e stolto poeta, e con l'aiuto di qualche editore in cerca di soldi. Non conosco approfonditamente Taylor Swift, ho sentito qualche canzone ma non sono certo un esperto, però trovo simpatico il fatto che anche lei imponga al suo disco il tema della poesia, o comunque il suggerimento della poesia, la quale rimane una cosa lontanissima dei suoi testi che sono semplici, che hanno il valore di canzoni. La canzone è un'arte nobile quanto quella della poesia, non c'è bisogno di dire a un cantante che è un poeta per dire che è bravo, così come non c'è bisogno di dire a un poeta che è un ballerino per dire che è bravo. Sono arti diverse, perché il rapporto tra ritmo, musica, musicalità e linguaggio che c'è nella poesia, per come la intendiamo ormai da secoli, e nella canzone sono molto diversi. Sono arti diverse. Poi, certo, si possono musicare della poesie se si sanno fare, ci sono state mille esperienze nei millenni di poesie musicate, così come di musicisti che sono ispirati alla poesia, e questo farà sempre bene a entrambe le arti. Però questo non significa scambiare canzoni o canzonette per poesia: si tratta di lavorare artisticamente in modo serio, chiedere questo a una pop star mi sembra troppo. Non glielo si chiede, ma lei non dovrebbe avere la presunzione di farlo. Però, detto questo, liberi tutti. Il bar è aperto. Tanto poi si vede a che tavolo ti siedi".
Franco Arminio, il poeta e paesologo di Bisaccia famoso per i suoi versi semplici e terreni ma di grandissimo successo editoriale, ci ha risposto via mail. Arminio si è limitato a dirci che le canzoni le ha "Lette. Non sono un esperto di testi per canzoni. In questo caso si perde anche la sonorità per via della traduzione. Comunque non mi sembrano testi banali e con un buon gusto narrativo. Altro non saprei dire".