È uscito il nuovo album di Biagio Antonacci, L’inizio. È il sedicesimo album di studio della sua carriera. Sebbene in questi giorni siano usciti un sacco di lavori, anche importanti, penso al ritorno dei Club Dogo, al nuovo di Paolo Benvegnù come a quello dei Subsonica, decido di scriverne. Resta da capire come. È pur sempre un disco di Biagio Antonacci, penso. Poi mi dico che visto il titolo, L’inizio, forse è bene partire proprio da lì. L’inizio, appunto. Ecco. La storia, almeno per chi ha avuto modo negli anni di leggere qualche mio pezzo, è nota. Il 10 novembre 2017 esce Dediche e manie, di Biagio Antonacci. Da giovane l’ho seguito con molta curiosità, perché mi sembrava davvero talentuoso. Ho i suoi primi album in vinile, perché così si usava allora, e sono anche andato a vederlo al PalaRossini di Ancona, nel tour di Liberatemi, quando ancora aveva i capelli lunghi (avrete apprezzato che non mi sia fermato alla parola capelli, evitando così il body shaming). Poi credo si sia perso per strada, ingolosito dal successo. Ha iniziato una sorta di ringiovanimento, nei testi come nelle pose, abbandonando quei guizzi che invece aveva dimostrato nei primi lavori. Diciamo che da Iris in poi, per capirsi, è andato via in folle. Ne ho scritto, prima di quel 10 novembre 2017 e ho commesso l’errore di farlo sui social, come ai tempi, scrivevo sul sito del Fatto Quotidiano, ero solito fare. Non per provocare gli artisti o almeno non solo per quello, quanto piuttosto per permettere loro di replicare, in fondo ero convinto, lo sono tuttora, che le recensioni siano rivolte proprio a loro, agli artisti. Biagio mi rispose in maniera violenta, in una di quelle occasioni, nella quale dicevo che mi sembrava inseguisse troppo un pubblico di milf, attratte dal suo essere bello, dandomi in pasto proprio a quel pubblico di milf, che per altro mi sbertucciò per il mio essere meno bello di lui, appunto. Come un ninjia mi sono vestito di nero, mi sono coperto il viso con il lucido da scarpe, anch’esso nero, e mi sono messo in un angolo buio, e il 10 novembre 2017 ho colpito. Ho scritto un pezzo molto ironico, stavolta uscito su Linkiesta, quando ancora non era arrivato lì Christian Rocca e si poteva scrivere su quelle colonne praticando l’ironia, nel quale dicevo, in sostanza, che sapevo che stava per uscire il nuovo album di Biagio Antonacci, Dediche e manie. Passo al presente, che mi viene meglio.
Scrivo quindi che non riesco a trovare traccia di quella uscita in nessun media, mentre ne trovo, per dire, riguardo all’uscita di Poetica di Cesare Cremonini, sorprendente singolo di cinque minuti e mezzo con tanto di assolo di chitarra, qualcosa di assolutamente splendido e assolutamente fuori dal tempo, e di Oh Vita, singolo di Jovanotti nel quale il nostro ritornava al rap anni Novanta, anche nel video. Niente a riguardo di Dediche e manie, scrivo. Durante la mia ricerca, però, trovo una notizia che attira la mia attenzione, i cavalli non hanno lo sfintere. Questo fatto comporta che, se stanno troppo tempo in acqua, iniziano a imbarcare acqua dal culo. In sostanza iniziano a annegare, ma a differenza di quanto non capiti mentre si annega dalla bocca, dove l’eccesso di acqua e l’impossibilità per contro di respirare ci fa tossire, soffocare, morire tra stenti e spasmi, i cavalli imbarcando acqua dal buco del culo annegano senza accorgersene, questo finché a un certo punto sono talmente pieni di acqua da andare a fondo, come una barca che abbia un foro sulla chiglia. Di questo fatto, dei cavalli che affogano dal culo, parlo in questo pezzo uscito per Linkiesta per un numero di parole impressionante, lo faccio sempre di usare un numero di parole impressionante, ma lì mi sono superato, fidatevi, finché non arrivo alla conclusione nella quale dico che sì, alla fine ho scoperto che in effetti è uscito il nuovo disco di Biagio Antonacci, Dediche e manie, povero Biagio, poveri cavalli. Questo pezzo esce e, non mi sto autocelebrando, è un dato di fatto, lo leggono in tantissimi. Soprattutto lo leggono praticamente tutti gli addetti ai lavori. La mattina dopo, ma giuro che non è una provocazione, ma una casualità nella quale mi sono trovato contro la mia volontà, come un Amelie che si aggira svagato per il mondo dello spettacolo, devo intervistare un cantante. Il suo ufficio stampa è il medesimo di Biagio Antonacci. Ci conosciamo di nome, ma non di persona. Credo di stare abbastanza sul culo a questo ufficio stampa, che non conosco ancora di persona, perché gli ho stroncato praticamente tutti i clienti, Laura Pausini, su tutti, Eros Ramazzotti, Jovanotti, in passato, Marco Mengoni. Non le ho mai chiesto di intervistare nessuno di loro, ma dubito me lo avrebbe concesso. Scopro che è l’ufficio stampa di Biagio quando arrivo all’appuntamento per l’intervista dell’altro cantante, e lei me lo fa notare, piccatissima. Prima di presentarci e di sentirmelo rinfacciare, me lo fa notare il cantante che sto per intervistare, colui che ha sostanzialmente imposto al suo ufficio stampa di contattarmi e di farsi intervistare da me, cosa che l’ufficio stampa non smetteva di sottolineare, sempre più piccata. La faccio breve, si fa per dire, arrivo da Gianni Morandi, lui è l’artista che devo intervistare, il quale mi accoglie così: “Ma tu sei Monina, quello dei cavalli che affogano dal culo”. Lo dice ridendo, parecchio. Io sorrido imbarazzato. Arriva il suo ufficio stampa, Dalia Gaberscik, che mi dice: “Piacere, io seguo anche Biagio e, te lo dico subito, fosse stato per me non ti avrei mai fatto intervistare Gianni, ma lui ha insistito”. Solo in quel momento realizzo che ho sostanzialmente sganciato una bomba sulla sua agenzia subito prima di conoscerla. E subito dopo realizzo che Gianni Morandi è l’ex suocero di Biagio Antonacci, oltre che il nonno dei suoi due figli, i primi due, quelli avuti appunto da Marianna Morandi.
Finita l’intervista, molto divertente, Gianni Morandi è molto ironico, Dalia torna da me e mi specifica che non mi avrebbe fatto intervistare Gianni non per quel che ho scritto di Biagio, ma perché non sono abbastanza rilevante, per una faccenda di numeri. Sono arrogante, lo so, e le dico qualcosa che suona come: “Se è di numeri che parliamo, temo che dovresti farmi intervistare tutti i tuoi artisti, vatti a vedere il numero di lettori che faccio e quelli che fanno quelli che inviti sempre”. Ci salutiamo, non troppo cordialmente. Accendo il cellulare, e ci trovo non so quanti messaggi Whatsapp di addetti ai lavori, anche di molti cantanti, che ridono come pazzi di quel pezzo su Dediche e manie. Nei fatti mi capiterà, nel tempo, di parlarne con tanti protagonisti della scena musicale italiana, con cui mi ritroverò, in pieno surrealismo, a parlare di cavalli che affogano dal culo. Al punto che un po’ come era successo a Fabrizio De André, con l’album che aveva il suo nome e cognome per titolo ma che aveva un indiano in copertina, di lì in poi chiamato da tutti “L’Indiano”, questo diventerà per tutti gli addetti ai lavori “Il Cavallo”, nomignolo di cui mi fregio di essere in qualche modo padre putativo, n ottima compagnia con un altro nomignolo che ho affibiato a tre colleghi, Luca Dondoni, Andrea Laffranchi e Paolo Giordano, per tutti i “Pool Guys”, ma questa ve l’ho già raccontata. Non lo so ancora, è l’inizio di una lunga serie di miei scritti incentrati sul mondo animale, mondo animale che ho usato per raccontare la musica. Pochi giorni dopo una collaboratrice di Dalia mi chiama, e mi offre di intervistare Jovanotti, che sta per uscire con l’album che, a sua volta, si intitola Oh Vita. Ci vado, dicendo che lo intervisterò per quello che ai tempi era il mio blog, Il Tasso del Miele. È un atto di arroganza, come dire: “Ora che sai che ho molti lettori vengo da un tuo Big col mio blog, perché posso”. Appena arrivo lui, Lorenzo, legge il nome del mio sito, qualcosa che suona come “Il taffo del miele”, senza con questo voler fare pubblicità alla più social delle aziende funerarie italiane. Oltre che arrogante sono anche stronzo, infatti gli dico: “Ho scelto questo nome proprio perché volevo sentirtelo pronunciare”. Lo intervisto e esce il mio pezzo. È il disco in cui si è affidato per la prima volta a Rick Rubin, che è il maestro del minimalismo, quello che più che mettere leva. Ci sono pochi strumenti e molta voce. Però il disco viene presentato dentro il Jova Shop di piazza Gae Aulenti, dove la faccia di Jovanotti e il suo nome sono praticamente ovunque. Metto in evidenza questa incoerenza, minimalismo e massimalismo stanno poco bene assieme. Dico che ho visto un documentario nel quale si racconta di come le zebre abbiano una tale sovrapproduzione di sperma da non limitarsi a scopare come ricci, atto evidentemente non sufficiente, ma a mordersi reciprocamente le palle per far uscire lo sperma fuori dalle ferite. Certo. Una immagine un po’ fortina, ma che mi sembra renda l’idea di cosa Rick Rubin si sia trovato a fare con Jovanotti, mordergli le palle per ridurlo all’essenziale.
Non ho più rapporti con Dalia Gaberscik, da quel momento. Però parte Bestiario Pop, la mia raccolta di scritti a tema animale che poi darà vita a un podcast, condotto con mia figlia Luccioola, e che a breve andrà di scena proprio qui su MOW che pubblicherà la nuova stagione, riproponendo la prima, il tutto dopo aver ospitato la versione sanremese del medesimo podcast, lì a Villa Ormond a parlare del Festival e di strani animali coi cantanti in gara. In questi anni, ogni volta che mi sono trovato a scrivere di cantanti e animali, è successo che un numero indefinito di lettori si sentisse in dovere o in diritto di inondarmi le varie caselle di messaggistica di Messanger, di Instagram, anche dell’allora Twitter, oggi X, di notiziole riguardanti stramberie del mondo animale, manco fossi Piero Angela o Gerard Durrell. Molte me le sono anche andate a scoprire io da solo, studiando e leggendo. Nel 2018 è successo che io incontrassi Biagio Antonacci, proprio a Sanremo. Ero lì con Rtl 102,5, quando lui è passato a salutare e ci siamo pure fatti un selfie insieme, divertiti. Non sapevo se avesse senso dell’umorismo, ma evidentemente ne ha, eccome. Al punto che quando, pochi mesi dopo, ho lanciato il crowdfunding “Monina Sì vs Monina No”, su Musicraiser, nel quale mettevo in palio memorabilia di artisti italiani, lì a sostenere il fatto che io continuassi a scrivere, i premi per chi voleva che io smettessi, il “Monina No”, erano tutte punizioni che mi sarei autoinflitto, fatto che ovviamente non ha raccolto nulla, lui, Biagio, si era offerto di regalarmi una chitarra acustica bianca sulla quale aveva dipinto di suo pugno un cavallo, oggetto che però all’ultimo è stato ritirato dall’asta, e che non mi è mai arrivato, suppongo proprio per volontà del suo entourage. Negli anni ho scritto pochissimo di lui, e proprio quando è andato in tour con Laura Pausini, abbandonando per qualche tempo quell’ufficio stampa, affidandosi a Parole e Dintorni, è successo che io mi incrociassi con il loro promoter, Ferdinando Salzano, e da lì venisse fuori tutta la querelle sul conflitto di interessi di Claudio Baglioni, direttore artistico e conduttore del Festival, da Salzano seguito managerialmente. Insomma, diciamo che le congiunture astrali che vedono me e Biagio incrociarci non sono proprio fortunatissime. Nel 2019 è uscito Chiaramente visibili dallo spazio, di cui non ho scritto, a questo punto verrebbe da dire per sua fortuna. Uno dei singoli più fortunati di quel lavoro è Per farti felice, quella canzone estiva, da falò, che ha imperversato nella anomala estate post-lock down. Anche qui ho un aneddoto. Una cugina alla lontana di mia moglie, che io ho avuto modo di conoscere di recente, si sposa. È fine estate 2020, noi siamo in Ancona. Lei si sposa a Bienno, in Val Camonica. Ci invita, e la cosa da una parte mi sorprende, dall’altra mi fa molto piacere. Non ho però considerato che il matrimonio ci sarà mentre noi siamo appunto ancora nelle Marche. Decidiamo ovviamente di andare. Partiamo da Ancona e andiamo a Bienno, un bel tot di ore. Bellissima cerimonia. Il banchetto di nozze è sul lago di Iseo, a un’oretta da Bienno. Scendiamo sul lungo lago e andiamo. Faccio anche una sorpresa agli sposi, che sono grandi fan di Cesare Cremonini. Siccome in quei giorni sto lavorando con lui al libro Let Them Talk, che uscirà di lì a breve, gli chiedo di mandarmi un messaggio di auguri per la coppia, cosa che prontamente fa su Whatsapp. Il messaggio verrà trasmesso su uno schermo, durante il ballo che segue la cena. I tavoli portano tutti i nomi di canzoni di Cremonini, per capirsi, io e mia moglie Marina siamo seduti al tavolo Poetica. Finita la cena torniamo a dormire a Milano, un’ora e mezza da qui. Arriviamo a casa che sono circa le cinque. Il tempo di riposare un po’, annaffiare le piante, e ripartiamo per Ancona. Sono sfinito. E quando io sono sfinito divento iracondo, più del solito. Alla radio passano appunto Per farti felice, e non so perché decido che Biagio debba pagare per la mia stanchezza. Così prendo lo smartphone e scrivo un Tweet, nel quale taggo lui e RTL 102,5, radio con la quale ai tempi ancora collaboravo. Il tweet dice suppergiù qualcosa del genere, non ho voglia di andarlo a recuperare. “Scusa @BiagioAntonacci, ho ascoltato su @Rtl1025 la tua nuova canzone, e ho due domande da farti: cosa significa ballare a culo sul mondo? E poi, se avrai una figlia la chiamerai Belin?”. Così mi era infatti sembrato dicesse Biagio nel testo. Tempo qualche minuti e Biagio mi risponde, laconico: “Ballare a culo sul mondo significa essere liberi, e se avremo una figlia la chiameremo Amelie, non belin”. Belin, per chi non lo sapesse, in genovese significa “cazzo”. Mia moglie legge il tweet di risposta, e se all’inizio si era divertita per questo mio sfogo, arriva alla conclusione che sono proprio uno stronzo. Veniamo a oggi, è uscito il nuovo album di Biagio Antonacci, L’inizio, a cinque anni dal precedente, recita il comunicato, anche se nei fatti è a poco più di quattro, perché l’ultimo era uscito a novembre 2019. Sulle prime avevo deciso di scrivere un’altra storia di animali, tanto per rinnovare una mezza tradizione. Ho chiesto sui social di mandarmi qualche idea, ma la gente quando hai bisogno di aiuto non è mai in grado di tirare fuori idee interessanti.
Ho anche pensato di raccontare una scena di un film, quando ho scritto di Silenzio di Gianna Nannini parlando di X- A sexy horror story di Ty West con Mia Goth avevo promesso che lo avrei fatto, in occasione della recensione di Biagio Antonacci, ma MaXXXine di X- A sexy horror story non è ancora uscito, e non ho avuto modo di recuperare Pearl, come mi ero ripromesso. Ho però visto, durante le vacanze, un film che a un certo punto mostra una scena che ha per coprotagonisti degli animali, e ovviamente non posso non citarvela, seppur a sproposito. Il film è I fratelli Grimsby, scopro solo ora, cercando notizie su Google, che è il sequel di un altro film del 2016, Grimsby. Un film di Louis Leterrier con Sasha Cohen e Mark Strong. Quando ho cominciato a vederlo, lì annoiato a letto, non mi ero accorto che c’era Sacha Noam Baron Cohen quindi pensavo fosse un vero film d’azione, tipo quelli con Jason Statham. Dopo un po’ di minuti ho intuito, ero stanco, che era una parodia, certo fatta assai bene, e a un certo punto, riconosciuto Sasha Cohen, ho capito che nulla sarebbe stato come mi sarei aspettato. Ora segue un piccolo spoiler, ma piccolo piccolo. A un certo punto i due fratelli Grimsby, per ragioni che non sto qui a dirvi, finiscono dentro l’utero di un elefante, non fate domande, è Sasha Cohen. Sono lì dentro per evitare un pericolo, ma tempo qualche secondo e arriverà un pericolo assai peggiore, un elefante maschio che vuole montare l’elefante femmina, e dopo di lui una lunga fila di altri elefanti. Vi lascio immaginare cosa accade ai due fratelli nascosti lì dentro. Comunque qualcosa di molto appiccicoso e molto ma molto doloroso. Solo in un secondo momento mi accorgo che no, I fratelli Grimsby non è il sequel di Grimsby, ma è il titolo italiano di Grimsby, in realtà il solo film che vede Sasha Cohen interpretare il fratello di Mark Strong. Solo che ai tempi me l’ero perso, e quindi avrei anche potuto spoilerarvi tutto, compresa la lunga sequela di sodomizzazioni e bukkake cui i due fratelli sono sottoposti, lì dentro l’utero di quella elefantessa, senza correre il rischio di spoilerare un film che ormai è uscito otto anni fa. Comunque non l’ho fatto, anche se ho a lungo pensato di farlo, e per a lungo intendo quei dieci minuti buoni che in genere intercorrono tra me che ho una intuizione e me che scrivo quello che mi è parsa, come intuizione, qualcosa che possa girare bene su pagina. Pensavo di raccontare questa scena in sede di recensione, ovviamente andando a descrive minuziosamente quei dettagli che invece vi ho evitato, potrebbe non sembrare ma vi voglio bene, pensavo di raccontare questo ma avrei probabilmente dato impressione che io serbi rancore a Biagio Antonacci, ancora per quella faccenda antica del tweet, il suo. Niente di vero. Biagio Antonacci mi sta molto simpatico, davvero. E lungi da me dar sfogo a chissà quale inesistente rancore. Per cui, niente, mi limito a dire che sì, è uscito un nuovo album di Biagio Antonacci, L’inizio. L’ho ascoltato. Mi sta simpatico. Mi fermo qui.