Chiediamocelo: e se l’Intelligenza Artificiale, AI, non fosse poi così deprecabile, anzi, debba essere immaginata come un’auspicabile zattera (canoa, canotto o materassino) della Medusa per la nostra salvezza dalla Mediocrità Reale, RM, cioè naturale? Il dubbio mi ha raggiunto l’altro ieri. Un signore raccontava di avere cercato (proprio su ChatGPT) a quale creatura del complesso mondo animale, faunistico, il filosofo Massimo Cacciari assomigli. La risposta ricevuta con immediatezza è apparsa subito inappellabile, perfetta, smerigliata: a uno schnauzer. Esattamente ciò che avevo personalmente rilevato facendo caso e infine commentato, nero su bianco, l’attitudine riflessiva arruffata del nostro studioso di ontologia politica, presente nei talk televisivi, già esegeta dell’“Angelus Novus” caro a Paul Klee e Walter Benjamin, messaggero della Storia e delle sue rovine, marxismo ibridato di teorie dell’avvento nell’accezione ebraica. Intendiamoci, l’AI non sarà certo il messia che il popolo di Israele ancora attende, né vanno esclusi i molti doverosi dubbi sulla bontà dei dispositivi telematici che sembrano ridefinire radicalmente, se non con arbitrario estro insondabile, lo stesso processo creativo e cognitivo. Gnoseologico, addirittura. Dunque, sia anche comprensibilmente doverosa la nostra solidarietà agli attori di Hollywood, che in questo momento temono, proprio grazie all’uso sostitutivo dell’intelligenza artificiale, d’essere in prospettiva condannati all’irrilevanza occupazionale. Davanti, metti, alla possibile resurrezione dal catasto della rete del compianto John Wayne e addirittura del suo fido cavallo, Dollor, già presente sul set di “Il Grinta”, così come (cito i volti più esemplari e immediati, sia chiaro) della stessa Marylin, pronta a sua volta a resuscitare l’abito verde “Emilio Pucci” indosso e un mazzo si roselline tra le dita, il modo in cui venne composta nella bara destinata al “Corridor of Memories” del Westwood Village Memorial Park Cemetery, a Los Angeles. E perfino, già che ci siamo, ogni altro divo moralmente discutibile passato in rassegna da Kenneth Anger nel suo esemplare volume “Hollywood Babilonia”.
Ma facciamo un passo indietro. Sarà pure arbitrario ciò che sostengo, credo tuttavia che per risalire alle fonti dell’intelligenza artificiale si possa citare un caso personale. Un pomeriggio d’estate di più di una ventina di anni fa, Claudio Botosso, già protagonista di Impiegati di Pupi Avati, celebre ancora per essere stato baciato con profondità da Ornella Muti sul set di Grandi magazzini (la lingua non era affatto richiesta dal copione, dunque un gesto di generosità da parte della signora) racconta d’essere venuto in possesso di un programma in grado di agevolare il lavoro di sceneggiatura. Lo raggiungo e ci mettiamo subito all’opera. Si trattava di rispondere alle domande che progressivamente il dispositivo miracoloso presentava all’ utente, così via a cascata, fino all’intero compimento dello script, al The End. Ricordo ancora che per cominciare mettemmo nel computer i nomi dei protagonisti, maschio e femmina... Irrilevante precisare che addentrandosi nei meccanismi della relazione, conflittuale o elegiaca, subito giungevano i primi nodi. Restano comunque, su tutto, le parole risolutive, liberatorie rispetto a ogni eventuale assenza di nostro estro, pronunciate allora dal Botosso: “Hai capito adesso perché gli americani hanno i migliori sceneggiatori, e non sbagliano mai un film, ti è chiaro?” Quelli stessi sceneggiatori che oggi, come già detto, sfilano, cartelli in mano, davanti agli studios di Hollywood per evitare che il loro lavoro sia obliterato appunto dalla IA. Anche l’Intelligenza artificiale, se ho compreso bene, è roba Made in Usa.
Tornando però all’obiezione principale - IA vs RM - l'Intelligenza artificiale, con i suoi sviluppi pratici, fuori dubbio appare un oggetto oscuro che custodisce timori e controindicazioni, tuttavia anche l’incancellabile mediocrità reale, storicamente, se non ontologicamente, supplizio di chi ha a cuore la complessità dell’esistente, meriterebbe, forse, un non meno ampio trattamento senza sconti. Non si tratta adesso di fare ritorno con la memoria ai nostri più stupidi compagni di scuola, piazzale, muretto o palestra, gli stessi che messi di fronte a ogni blando interrogativo rispondevano invariabilmente con un “In che senso?”, e forse neppure agli altri incontri che ci hanno costretto a pensare d’essere circondati da una popolazione di creature prossime per spessore intellettivo a un branco di nutrie, se non di capibara, inerme roditore, quest’ultimo, caratterizzato da un suicida istinto gregario. I social hanno d’altronde compiuto il resto: il discorso, la riflessione, la filosofia stessa sostituiti dalla trousse delle emoticon disponibili. A futura memoria, ragionando ancora di Intelligenza artificiale, resterà forse soltanto, come testo critico a fronte, la parodia che ne fa Benda Lodigiani, accompagnata da Mago Forest, domatore del Gialappa's Show, l’“androida” Ester Ascione, tra “rabìa” e “dìsgusto”. Ogni complessità uccisa ormai dagli emoji. Andy Warhol, si sappia, resta il mandante storico d’ogni precipizio. Forse, sempre grazie all’IA, riavremo in vita anche lui, proprio Wharol, il maestro della tautologia glamour che sembra cancellare ogni conflitto a favore di un’acefala felicità spettacolare.