image/svg+xml
  • Attualità
    • Politica
    • Esteri
    • Economia
  • Lifestyle
    • Car
    • Motorcycle
    • Girls
    • Orologi
    • Turismo
    • Social
    • Food
  • MotoGp
  • Tennis
  • Formula 1
  • Sport
    • Calcio
    • NFL
    • combattimento
  • Culture
    • Libri
    • Cinema
    • Documentari
    • Fotografia
    • Musica
    • Netflix
    • Serie tv
    • Televisione
  • Sanremo 2025
  • Cover Story
  • Attualità
    • Attualità
    • Politica
    • Esteri
    • Economia
  • Lifestyle
    • Lifestyle
    • Car
    • Motorcycle
    • girls
    • Orologi
    • Turismo
    • social
    • Food
  • motogp
  • tennis
  • Formula 1
  • Sport
    • calcio
  • Culture
    • Culture
    • Libri
    • Cinema
    • Documentari
    • Fotografia
    • Musica
    • Netflix
    • Serie tv
    • Televisione
  • Sanremo 2025
  • Cover Story
  • Tech
  • Fashion
    • Fashion
    • Moda
    • Gear
    • Footwear
  • EVERGREEN
  • Topic
  • Journal
  • Media
Moto.it
Automoto.it
  • Chi siamo
  • Privacy

©2025 CRM S.r.l. P.Iva 11921100159

  1. Home
  2. Culture

Chi non capisce Paul Weller non capisce la musica. E neanche la cultura inglese. Il nuovo disco “66” ce lo spiega Antonio Bacciocchi

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

24 giugno 2024

Chi non capisce Paul Weller non capisce la musica. E neanche la cultura inglese. Il nuovo disco “66” ce lo spiega Antonio Bacciocchi
Sessantasei anni di vita e Paul Weller se ne esce, consequenziale, con “66”. Nuovo scintillante successo in Inghilterra, ma da noi, sul disco, silenzio o quasi. Tuttavia il nome di Weller evoca ancora ricordi e stimola dibattiti. Per capirlo, a fronte di una parabola artistica sempre più articolata, ci serve quindi Antonio Bacciocchi, batterista dei Not Moving, e wellerologo della primissima ora ("lo seguo dal 1978, quando scoprii i Jam"): “Da noi se lo filano in pochi perché canta soprattutto il suo mondo, un mondo molto inglese e autoreferenziale. Parliamo però di un artista coraggioso, che ha sempre rischiato e sperimentato”. E sul disco mai uscito degli Style Council, sulla lettera che ricevette dal fanclub dei Jam…

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Se mai esistesse la qualifica di “wellerologo”, probabilmente sarebbe Antonio Bacciocchi, in Italia, a potersene fieramente fregiare. Storico batterista dei Not Moving (“Stiamo preparando un nuovo disco, poi rifletteremo un po’; quindi, probabilmente, torneremo in tour. Che fatica però, il live, alla nostra età”), Bacciocchi è stato prima fan dei Jam, poi degli Style Council, infine di Paul Weller in versione solista (“e lo sono tuttora, nonostante gli alti e bassi”). Con gli anni è diventato profondo conoscitore di tutta la complessa carriera di Weller, una delle figure più articolate e intriganti della storia del rock britannico. E siccome è uscito da poco “66”, il diciassettesimo album solista del cantautore di Woking, quale migliore occasione per fare due chiacchiere con Bacciocchi su un personaggio che, nonostante tutto, è ancora, soprattutto per il pubblico italiano (“o extra-britannico, diciamo”), abbastanza enigmatico?

Paul Weller: una passione nata subito, con i Jam, o successivamente?

Subito. Nel 1978, a diciassette anni, ero grande fan degli Who e amavo il rock inglese. Beatles e Rolling Stones, per dire, erano già considerati vecchi. Quando però lessi, su Melody Maker, che i Jam avevano la carica del punk, l’irruenza degli Who e le melodie dei Beatles, mi attivai immediatamente per avere “This is the modern world”, il loro secondo album. Fino a quel momento avevo fatto riferimento a gruppi composti da persone più vecchie di me, ma i Jam erano quasi miei coetanei. Erano il mio gruppo. Paul Weller aveva tre anni più di me, si vestiva come me e aveva i capelli corti come i miei. Da lì è nata la passione.

Antonio Bacciocchi
Antonio Bacciocchi. Indistruttibile batterista dei Not Moving. E wellerologo

Nel momento in cui i Jam divennero storia e nacquero gli Style Council, quale fu la tua reazione?

All’inizio non reagii benissimo, anche perché ero iscritto al fanclub dei Jam e il giorno del mio compleanno mi arrivò una lettera in cui si annunciava lo scioglimento della band. Ca**o, il mio gruppo preferito si scioglie! In prima battuta gli Style Council furono un colpo, nel loro primo album non ci sono neppure le chitarre! Però apprezzai, secondo il suo ideale modernista, questa etica beatlesiana devota al cambiamento e alla sperimentazione. Weller mise la parola fine ai Jam quando aveva capito che quel percorso era esaurito. E si buttò sul soul, sulla Motown, creando un’entità – gli Style Council – coraggiosa e sperimentale. Paul Weller, il modfather, fu quindi un grande anticipatore, mescolando elettronica, funk, jazz, hip hop. Più avanti, addirittura, con “Modernism: a new decade”, il disco mai uscito dei Council, ipotizzò un album dal sapore house, che lui vedeva come una forma di soul moderno.

Weller ha sempre conservato, ma anche preso a pugni, la propria storia. Pur non rinnegando nulla, non si è mai sentito schiavo del proprio passato.

Certo, intatti ogni volta che lo ho visto dal vivo, ho sempre apprezzato il fatto che eseguisse tre brani dei Jam e altrettanti degli Style Council, ma non mi sono mai aspettato particolari revival. Mi stupivo quando notavo l’insistenza di chi gli chiedeva altri brani dei Jam. Lui non cedeva, perché per lui il presente ha sempre avuto la precedenza su tutto.

Ha sempre dato l’idea di avere “tante musiche” in testa, Weller.

Ogni fase della sua carriera è piena di cose. Gli stessi Jam sono partiti punk e dritti e poi hanno chiuso con tinte funk-soul, quasi fossero un annuncio degli imminenti Style Council.

Passiamo quindi alla carriera solista, meno lineare. Weller va in una direzione, poi torna indietro, poi va di nuovo avanti, quindi sbaracca il tavolo e si reinventa. Una parabola che parrebbe quasi confusa.

Ho una mia idea. Dal 1992 in avanti ha continuato ad accumulare influenze. Ha fatto di tutto, incluso il jazz sperimentale. Con “Saturns pattern” (2015) ha finito per trovare una dimensione più o meno fissa, caratterizzata da elementi sempre riconoscibili, un misto di chitarre rock, pop-soul anni ’60 e un’elettronica discreta e nascosta. Quello è diventato, di fatto, il Weller-sound definitivo. Sebbene eccezionale, “Wild wood” (1993) uscì in un periodo ancora di trasformazione. Ora è in una fase se vogliamo più schematica e ripetitiva. Sai cosa aspettarti. Tipo l’ultimo, “66”. Bell’album, ma a tratti già sentito.

I tre album che meglio definiscono Weller?

Senza dubbio “Stanley road” (1995), nonostante il suo suono scuro; poi “As is now” (2005), sebbene poco considerato. E poi, come dicevo, “Saturns pattern”. Non dimentichiamo, in quest’ottica panoramica, il suo rapporto tribolato con l’alcol e le sostanze. Dice che sono dieci anni che è pulito. Niente alcol, niente di niente. E si sente, in un certo senso, perché è meno avventuroso. Qui si potrebbe aprire l’eterno dibattito: avrebbe mai scritto certe cose, Weller, da disintossicato? Lui potrebbe giustamente rispondermi: ma che ca**o vuoi?.

Weller ha anche accumulato una consistente discografia live.

Detesto i live, in genere, ma mi piace l’album live conclusivo dei Jam. Non solo per il contenuto artistico, ma per il suono, l’intensità degli applausi, che cambiano di pezzo in pezzo. Pochi e intimi durante le esibizioni del 1977 nei club; travolgenti nei brani di fine carriera, quando suonavano a Wembley. Un effetto che ben rappresenta la favola di tre ragazzini partiti dalla provincia profonda alla conquista del modern world. Tra l’altro ancora oggi Weller, ogni volta che fa un disco, va dritto al numero uno della classifica inglese.

Ecco, la classifica inglese. Mi sono stupito quando ho notato che, il mese scorso, gli editori del mensile “Mojo” hanno messo lui in copertina sulle copie destinate al mercato britannico e i Byrds (anni ’60 sparati) per una parte (credo) delle copie destinate al Continente. Cioè, fuori dal Regno Unito, i Byrds morti e sepolti tirano ancora di più di un Weller tuttora scalpitante?

Forse i Byrds no, ma questa scelta ti fa capire quale sia la sua dimensione commerciale da diversi anni a questa parte. In Italia non vende biglia. Ma perché la sua narrazione, anche a livello topografico, è molto inglese. Le sue canzoni sono sempre state piene di riferimenti geografici ben precisi, come i Kinks di Ray Davies. Il Roxy Bar, per dire, ha un senso per noi italiani, ma già in Svizzera ha meno senso. In “A town called Malice” Weller evoca il Sunday roast, per dire, una tradizione molto English. I nostri anolini della domenica, se vuoi. Già in Scozia e Irlanda credo possa risultare più fuori fuoco. Il Giappone, invece, è un mercato importante per ogni cosa che riguarda Weller. Non mi sorprende, i nipponici sono sempre affamati delle identità altrui.

E da noi?

Non entra in classifica. Se fa qualche data, in genere riempie, ma non ne fa mai più di tre o quattro a tour. Ai suoi concerti, poi, vedi tanta gente che ti chiedi perché sia lì. Curiosi. A parte i mod attempati, vedi persone che sono lì perché comunque sanno che Paul Weller è ancora cool.

https://mowmag.com/?nl=1

More

“Now and then” dei Beatles? Non è così inedita come credete, ma ve la fanno “pagare cara” lo stesso

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Notizie che non lo sono

“Now and then” dei Beatles? Non è così inedita come credete, ma ve la fanno “pagare cara” lo stesso

La nuova canzone dei Beatles con John Lennon, Kasparov e gli strani giorni di intelligenza artificiale che ci attendono, tra Nirvana, Taylor Swift e Tiziano Ferro

di Michele Monina Michele Monina

Musica e macchinazioni

La nuova canzone dei Beatles con John Lennon, Kasparov e gli strani giorni di intelligenza artificiale che ci attendono, tra Nirvana, Taylor Swift e Tiziano Ferro

I Rolling Stones non sono più quelli di una volta? E meno male. Ma con Hackney Diamonds sono strepitosi

di Paolo Zaccagnini Paolo Zaccagnini

Parola di Zac

I Rolling Stones non sono più quelli di una volta? E meno male. Ma con Hackney Diamonds sono strepitosi

Tag

  • Culture
  • Musica

Top Stories

  • Le Scelte stupide di Fedez e Clara (altro che flirt), Damiano David torna Maneskin e Emis Killa e Lazza… Abbiamo ascoltato (e recensito) il meglio dei singoli del venerdì

    di Benedetta Minoliti

    Le Scelte stupide di Fedez e Clara (altro che flirt), Damiano David torna Maneskin e Emis Killa e Lazza… Abbiamo ascoltato (e recensito) il meglio dei singoli del venerdì
  • Daria Bignardi distrugge Valérie Perrin e Joel Dicker: “Come la torta al cioccolato del supermercato, golosa ma non ti nutre e magari è tossica…” Cambiare l’acqua ai fiori? “Ho perso sei ore a leggerlo e…”

    di Riccardo Canaletti

    Daria Bignardi distrugge Valérie Perrin e Joel Dicker: “Come la torta al cioccolato del supermercato, golosa ma non ti nutre e magari è tossica…” Cambiare l’acqua ai fiori? “Ho perso sei ore a leggerlo e…”
  • LE PAGELLE del Concertone del primo maggio: Gabry Ponte imperatore assoluto (10 e lode), Lauro vampiro di Twilight (4)

    di Grazia Sambruna

    LE PAGELLE del Concertone del primo maggio: Gabry Ponte imperatore assoluto (10 e lode), Lauro vampiro di Twilight (4)
  • Abbiamo visto The Four Seasons con Steve Carell su Netflix, ma com’è? Una serie per adulti (ma non nel senso che credete)

    di Ilaria Ferretti

    Abbiamo visto The Four Seasons con Steve Carell su Netflix, ma com’è? Una serie per adulti (ma non nel senso che credete)
  • Abbiamo fatto ascoltare "Tutto", il disco di Eugenio Finardi, ad Alberto Bertoli. Il risultato? "Ma non si era stufato? Tra canzoni blockchain, amori sconfinati e fisica quantistica, meno male che ci aveva raccontato una bugia..."

    di Alberto Bertoli

    Abbiamo fatto ascoltare "Tutto", il disco di Eugenio Finardi, ad Alberto Bertoli. Il risultato? "Ma non si era stufato? Tra canzoni blockchain, amori sconfinati e fisica quantistica, meno male che ci aveva raccontato una bugia..."
  • Abbiamo ascoltato in anteprima Ranch di Salmo: essere invecchiati è crudele ma averlo fatto così è un lusso. La recensione di MOW traccia per traccia

    di Cosimo Curatola

    Abbiamo ascoltato in anteprima Ranch di Salmo: essere invecchiati è crudele ma averlo fatto così è un lusso. La recensione di MOW traccia per traccia

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Se sei arrivato fin qui
seguici su

  • Facebook
  • Twitter
  • Instagram
  • Newsletter
  • Instagram
  • Se hai critiche suggerimenti lamentele da fare scrivi al direttore moreno.pisto@mowmag.com

Next

Del ministro Sanguliano non avete capito niente: non è un gaffeur, ma un artista situazionista. Da Galileo e Colombo a Times Square e i libri del Premio Strega, ecco tutte le sue performance….

di Michele Monina

Del ministro Sanguliano non avete capito niente: non è un gaffeur, ma un artista situazionista. Da Galileo e Colombo a Times Square e i libri del Premio Strega, ecco tutte le sue performance….
Next Next

Del ministro Sanguliano non avete capito niente: non è un gaffeur,...

  • Attualità
  • Lifestyle
  • Formula 1
  • MotoGP
  • Sport
  • Culture
  • Tech
  • Fashion

©2025 CRM S.r.l. P.Iva 11921100159 - Reg. Trib. di Milano n.89 in data 20/04/2021

  • Privacy