Sir Paul McCartney, ottantuno anni compiuti lo scorso 18 giugno, ha recentemente annunciato la prossima pubblicazione di quella che sarà, forse, a tutti gli effetti, l’ultima canzone dei Beatles. Beatles che, tecnicamente, non esistono più dal 3 gennaio 1970, giorno in cui si trovarono a lavorare tutti e quattro assieme, per altro a una canzone solista del solo George Harrison. L’annuncio è avvenuto durante un’intervista rilasciata al programma Today di Radio 4, e ha poi trovato conferma anche nelle parole dell’altro Beatles superstite, Ringo Starr. Come ha raccontato Paul, grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale è stato possibile recuperare alcune parti vocali di John Lennon, e su quelle finire di costruire una canzone, andando, lui e Ringo, a incidere di nuovo le loro parti di basso e batteria. Una notizia che ha fatto ovviamente clamore, e non solo perché un inedito dei Beatles sia di per sé una notizia. L’aiutino dell’AI ha lasciato molti sconcertati, vuoi perché oggi come oggi si guarda all’accelerazione con cui le macchine sembrano volerci invadere con un certo allarmismo, vuoi perché da sempre si tende a guardare alla musica del passato come a un ultimo baluardo di umanesimo contrapposto a un presente postapocalittico fatto di robot senza scrupoli che ci manipolano, Matrix fatti da parte.
Certo, aver visto nel tempo cantanti vivi duettare con cantanti morti, penso ai casi anche poetici come Natalie Cole che intrecciava la propria voce a quella di suo padre, Nat King Cole, o, peggio, aver visto addirittura tour di artisti ormai morti, da Whitney Houston a Michael Jackson, passando per 2Pac, la Hologram Usa nei panni del carnefice, ha in qualche modo reso lo scetticismo verso la tecnologia applicata al mondo dell’arte e dello spettacolo sempre più alto. Del resto la rimozione digitale di artisti caduti in disgrazia, penso a Kevin Spacey dopo lo scandalo del MeeToo, figlia della portata a termine di film i cui protagonisti erano nel mentre morti, Brandon Lee ne Il corvo caso primo e ancora oggi più eclatante, con tanto di sciopero dei lavoratori di Hollywood, timorosi che l’avvento dell’AI nel cinema possa definitivamente portare alla sparizione di certe figure professionali un tempo molto richieste, dalle comparse ai figuranti, magari anche con l’approdo a un cinema senza più l’utilizzo di attori, il DeepFake a fare il lavoro sporco. L’idea che ora si possa non solo chiedere all’AI di finire una composizione lasciata magari incompiuta, o di scriverne una nuova a partire da quanto scritto da un determinato artista in vita, seguendone lo stile, la cifra, le tematiche, ma si possa anche chiedere alla medesima AI di farla interpretare dalla voce dell’artista stessa, si pensi proprio alla traccia fake di Paul McCartney che interpreta Imagine di John Lennon, circolata tempo fa, lascia sconcertati. Sconcertati e anche affascinati, diciamolo, perché l’idea di ascoltare una nuova, ultima, forse, canzone dei Beatles è una boccata d’aria fresca in questa epoca in cui la linea editoriale, per così dire, è dettata dall’algoritmo di Spotify e le canzoni sono spesso eseguite direttamente da programmi che riproducono suoni a noi già familiari, l’autotune a omogeneizzare anche le voci. McCartney, del resto, ha voluto in qualche modo rassicurare i propri tantissimi fan, dicendo che non è l’AI l’artefice di questo brano, quanto piuttosto è stato il mezzo grazie al quale si sono potute ripulire le tracce vocali di Lennon, altrimenti inutilizzabili nei nastri di ormai oltre cinquant’anni fa, una sorta di aiuto in un lavoro certosino, fatto da lui stesso, e col contributo di Ringo Starr, a sua volta emozionato nel raccontare la sensazione unica di ritrovarsi a lavorare coi suoi vecchi compagni, due dei quali, per la cronaca, morti da tempo.
Kasparov e la prima sfida "mentale" tra uomo e macchina
Garry Kasparov, nato in quello che oggi è l’Azerbaijan nel 1963, è stato a cavallo tra la metà degli anni Ottanta e tutti gli anni Novanta il più grande campione di scacchi al mondo. Dopo scontri epici con Karpov, considerato a ragione una sorta di militare del gioco, difensivista e ministeriale, il suo gioco arrembante e spericolato ha fatto la storia degli scacchi, entrando a suo modo nella leggenda. A dire il vero, il suo entrare nella leggenda, succede spesso così a personaggi a loro modo epici, è coinciso con una caduta, ma non una caduta qualsiasi, una di quelle che, appunto, entrano di diritto nella storia, nello specifico non solo in quella del gioco in questione, ma quella con la esse maiuscola. Cosa che per altro, si veda alle sfide tra Bobby Fischer e Spassky, in qualche modo legate a doppio file con l’inizio della fine della Guerra Fredda, l’Islanda e l’eccentricità del giocatore americano a giocare un ruolo centrale nel tutto. Kasparov, infatti, nel 1996 ha sfidato in quello che in qualche modo voleva essere un rimarcare come l’uomo fosse superiore alle macchine, in barba a Kubrick e al suo Hal9000, in realtà partorito dalla fervida e fertile mente di Arthur C. Clarke, Deep Blue, supercervellone di proprietà dell’IBM, capace di giocare a scacchi andando a attingere informazioni a una velocità sovrumana. Il 10 febbraio 1996, infatti, Deep Blue sconfisse Kasparov, le immagini che ci mostrano lo scacchista russo di fronte a un tecnico che controlla un monito di quello che oggi appare come un vecchio computer è iconica come poche. Progettato a partire dal 1985 presso la Carnagie Mellon University da un team che aveva in Feng-hsiung Hsu e Murray Campbell i capifila e che si chiamava Chip Test. Assunti Hsu e Campbell dall’IBM nel 1989, il progetto procederà spedito con il nome di Deep Thought, omaggio degli scienziati al genio folle di Douglas Adams e del suo Guida galattica per autostoppisti, fino appunto alle sfide con Kasparov, che da quel 10 febbraio 1996 si susseguiranno fino al 1997. Con la possibilità di vagliare duecento milioni di mosse al secondo, questo veniva ripetuto come un mantra ai tempi, Deep Blue era sulla carta imbattibile, anche se a conti fatti le sfide con Kasparov lo vedranno soccombere con un dignitoso 4-2, nel 1996, andando poi a rovesciare il risultato l’anno successivo, con un 3.5-2.5 finale. Kasparov, che sin dalla prima sconfitta aveva ravvisato qualcosa di anomalo, andando a chiedere, come del resto previsto dagli accordi, i tabulati del computer e non ottenendoli, e chiedendo una rivincita che arriverà invece dopo mesi, accuserà a più riprese il colosso americano di aver in qualche modo barato, prima indicando in un aiuto umano il segreto della vittoria, poi accusando esplicitamente IBM di aver rafforzato Deep Blue in corso d’opera. Tesi questa poi confermata nella sua autobiografia dallo stesso Hsu, che però rivendicava il diritto degli scienziati di implementare le proprie scoperte, esattamente come un campione di scacchi fa naturalmente partita dopo partita.
Di fatto, fatta eccezione appunto per i libri di fantascienza, come i già citati 2001 Odissea nello spazio o Guida galattica per autostoppisti, questa è forse stata la prima occasione in cui la genialità dell’uomo e le potenzialità quasi infinite delle macchine, dell’Intelligenza Artificiale, sono andate scontrandosi pubblicamente, coi risultati sotto gli occhi di tutti.
Nel 1995, poco prima che Kasparov andasse a ricevere forse la sua prima vera delusione seduto di fronte a una scacchiera, complice un vecchio monitor e un cervellone chiuso dentro un armadio da qualche parte a circa tre chilometri da lui, la regista Kathryn Bigelow usciva nei cinema con un film dalle tinte neanche troppo vagamente cyberpunk dal titolo Strange Days, protagonisti Ralph Fiennes e Juliette Lewis, una colonna sonora di tutto rispetto a accompagnare le immagini futuristiche di una Los Angeles assolutamente distopica, anno in cui si svolge la trama il 1999. In un futuro quindi davvero prossimo, questa l’idea, ha fatto irruzione nelle nostre vite un dispositivo che è in grado di farci vivere, virtualmente ma con la stessa efficacia che se fossero reali, esperienze vissuti da altri, il tutto attraverso un dispositivo chiamato Squid, progettato dal governo e poi entrato nel mercato nero. Questo rende possibile non solo entrare, letteralmente, nelle vite di altri, magari anche persone che conosciamo, ma vivere esperienze estreme che non vorremmo o potremmo vivere. Strange Days è un film catalogabile come fantascientifico, ma come spesso capita alle trame di ambientazione cyberpunk, nelle quali è spesso la rete a aver sostituito l’immaginario a base di alieni e astronavi, ricordiamo che il termine cyberspazio è stato partorito da William Gibson e soci, ha un ritmo serrato da thriller. Oggetto delle indagini, non è importante la trama in sé, uno snuff-movie nel quale si vede lo stupro e l’omicidio di una prostituta, visto in soggettiva dal punto di vista della vittima. Questo permette lo Squid.
Uscendo dal mondo della fantasia di James Cameron, ai tempi marito della Bigelow, e sceneggiatore del film, e incrociando questa trama con quanto sta capitando nel mondo oggi, a partire proprio dai DeepFake, volendo anche dalla nuova canzone dei Beatles di prossima pubblicazione a oltre quarant’anni dalla morte di John Lennon, ipotizzare un futuro nel quale esista la possibilità di crearsi, e quindi viversi, momenti con persone per noi inarrivabili, siano esse star di Hollywood o i nostri cantanti preferiti, o, lasciatemi essere più romantico, un qualche nostro caro non più in vita, o ipotizzare di poter far interpretare al nostro idolo una nostra canzone, o una canzone che ci sta particolarmente a cuore, tutto questo potrebbe essere presto possibile, anzi, probabilmente già lo è ora. Andare quindi a vivere in una realtà virtuale, il Metaverso?, in cui si può rivivere in loop momenti del passato a noi cari, o viverne di nuovi che nel mondo reale non potremmo vivere, altro che Hikikomori, altro che Second Life, qui si aprono scenari infiniti, incredibili, ancora per altro sprovvisti di qualsivoglia regolamentazione, come le frontiere ai tempi del Vecchio West. La risposta a Salmo da parte di Geolier, nella lunga faida che ha visto il rapper sardo dissarsi con Luché, in realtà creata dall’AI per conto di Billboard Italia, risposta abbastanza credibile sul profilo compositivo e anche su quello interpretativo, ci dice che davvero le praterie che ci troviamo di fronte sono sconfinate, irte di pericoli, certo, ma comunque davvero affascinanti.
Un nuovo disco dei Nirvana, una vacanza con un nostro vecchio amore ormai perso, il nostro primo giorno di scuola rivissuto grazie ai brandelli della nostra memoria, molto meglio che sfogliare gli album di fotografie ingiallite dal tempo, Taylor Swift che mette in musica le nostre parole, un film hard che ci vede impegnati con Charlize Theron, Tiziano Ferro che finalmente torna a scrivere una bella ballata come faceva un tempo, ripeto, le possibilità sembrano infinite, la macchina che accelera e fa esplodere la realtà. Ovviamente tutto questo mostra inevitabilmente mille criticità, dalla disumanizzazione dell’arte a un uso pericoloso e nocivo delle immagini, dei suoni, anche della poetica. Quando anni fa un po’ tutti siamo ricorsi a quella app che lavorando su Instagram ci ringiovaniva fino a riportare le nostre immagini a quando eravamo bambini o ci invecchiavano come se fossimo tutti stati proiettati in avanti nel tempo, in molti hanno provato a dire come utilizzandola noi tutti stessimo regalando a una determinata azienda russa le nostre immagini, con un consenso firmato, un dire cui si rispondeva, laconicamente e superficialmente con un “e che ci possono mai fare con le nostre immagini?”. Ecco, ora sappiamo che abbiamo forse fornito a una azienda privata miliardi di volti, coi quali fare quel che vogliono. Quando Striscia la Notizia ha trasmesso il video fatto col DeepFake di Matteo Renzi che sfotteva Mattarella, ne parlavo sempre qui giorni fa, hanno in qualche modo indicato il baratro verso il quale potremmo andare, cadendo. Al punto che quando poi abbiamo tutti visto le immagini del Dalai Lama che si faceva succhiare la lingua da un bambino, l’idea che fosse una mossa del governo cinese per screditare il Tibet, ventilata da qualche sito, non è apparsa poi così incredibile. Tutto potrebbe finire per essere incerto. Dai nostri ricordi, quelli nei quali perdersi fino a filmati che in qualche modo potrebbero condizionare la nostra vita di tutti i giorni, passando per l’arte, sì, l’arte, che da che mondo è mondo porta sulle spalle il peso di aiutarci a decifrare la vita.
Una partita, quella che andremo a giocare con le macchine, che potremmo anche vincere, Kasparov insegna, o che comunque sortirà risultati insperabili, come per l’inedito dei Beatles, possibile nonostante le morti di John e George e i notevoli scazzi che negli anni ci sono stati tra Paul e Yoko Ono, ma che comunque sarà sicuramente al centro della scena nei prossimi anni, ci piaccia o meno.