Abbiamo ascoltato in anteprima Hackney Diamonds dei rocciosi Rolling Stones (esce il 20 ottobre). Su di loro si è scritto di tutto e di più, ma sir Michael Jagger e Keith Richards - nel Kent gli hanno dedicato ‘na bella statua lo scorso anno - sembrano immortali e inaffondabili. Lasciate stare le mode - loro due le hanno vissute tutte e inventate parecchie - e pure i capricci e le fiabe raccontate nei libri, nella musica conta la sostanza, soprattuto in un territorio impalpabile, imperscrutabile e vasto come il rock’n’roll. Certo la loro storia non è delle più lineari… Il primo chitarrista, Brian Jones, è morto annegato (sarà vero?), il batterista Charlie Watts, che se n’è andato qualche anno fa a ottant’anni era un personaggio non proprio calmissimo, veniva dal jazz e quando Mick Jagger lo apostrofò come “il mio batterista”, lui davanti a tutti gli disse che se l'avesse ridetto un'altra volta lo avrebbe picchiato a sangue. Anche il bassista Bill Wyman ha combinato qualche guaio, è stato cacciato dal gruppo perché si scoprì che faceva all'amore con la sua attuale moglie allora tredicenne. Quando Jagger e Richards gli chiesero cortesemente di farsi da parte, lui non ci pensò due volte e fondò immediatamente (e senza ripicca) i Bill Wyman and the Rhythm' Kings. Per fortuna però pare che si siano riappacificati, perché Wyman sarà presente nel nuovo tour dei Rolling Stones. Finalmente. Fatto il gruppo “nuovo”, si passa ai brani.
Già dal primo video di Angry con una superba bionda semisvestita - perchè usare delle loro immagini di quarant'anni fa? Perché? - si capisce che il vegliardo Richards fa quello che vuole con la sei corde, così come Wood, e il deambulante Jagger. Qualcuno dirà: “Eh, però non sono più quelli di una volta”. E meno male, rispondo io. Tutto l'album è strepitoso. Non grido al capolavoro, ma a 75 anni suonati dico che questo album ti fa ancora sgranchire e snodare tutte le ossa. Depending on you è molto blues, una manna dal cielo per Richards e Wood. Bite my head off con Paul McCartney al basso incredibile, Dreamy skies (assai country, alla Hank Wiliams per intenderci), Driving Me Too Hard, energetica, Mess it up e Live by the Sword, registrati con il batterista originale Charlie Watts niente male, Tell me Straigth, formidabile, Sweet sounds of Heaven, dove sir Mick duetta con Lady Gaga, a cui faccio i miei complimenti (senza quel ridicolo nome e quegli abiti orripilanti per me sarebbe una vera cantante, del resto è anche figlia di un pasticciere quindi sa mettere le mani in pasta). Per finire in Whole wide world al Jagger che canta “pensi che il party sia finito ma è solo cominciato”, il mio amico Renato Zero direbbe “ah, annamo bene”. Io aggiungo “benissimo”. Rock'n’roll forever. Ora però parliamo di calcio…
La Roma di Mourinho non si ferma più. I giocatori, tutti, si fermano, si rompono, si strappano ma lui va avanti. Imperterrito. Anche perchè dopo il titolo del Corriere Dello Sport e l'articolo dell’amico, Ivan Zazzaroni, nel quale si diceva che Dan Friedkin voleva cacciarlo dopo la disfatta di Genova, Mourinho è tornato a parlare del suo futuro in Arabia Saudita. A Roma c'è il mourinhismo e l'antimourinhismo. Io aggiungo anche il ranierismo e lo spallettismo, volendo anche il defranceschismo. Se in Arabia hanno preso Roberto Mancini di Jesi (Marche) prendono tutti. Intanto all’aeroporto di Cagliari dopo la partita vinta - la squadra è da metà classifica in serie B - mentre i tifosi e la squadra si stavano imbarcando, è arrivato Claudio Ranieri, accolto dallo spassionato coro “uno di noi, uno di noi”. C'è chi ha commentato Ranieri come: “Gente onesta, gente competente, gioca un calcio semplice ma è sempre stato bravo e affidabile. Da lui si accettano anche le sconfitte”. Ancora: “Ma Ranieri è una brava persona, è di Roma, è di Testaccio - no, di San Saba - ha vinto la Premier League nel 2016 con il Leicester con pizza e fichi, sa parlare italiano. No, non va bene Paolo”, parole di mio cugino Davide, medico dentista. Traetene le conseguenze. Fate voi. E ora anche un po' di libri e cinema...
Ogni promessa va mantenuta quindi al lavoro. Agatha Mary Clarissa Christie è la madre di due delle ceature più amate e seguite della letteratura poliziesca, l'investigatore privato belga Hercule Poirot e la pensionata miss Jane Marple che abita nel ridente villaggio di St Mary Mead. Essendo morta nel 1976 - era nata nel 1890 - milioni e milioni di persone sentivano la mancanza dei suoi libri così i nipoti James e Matthew Pritchard hanno pensato bene - forse non si accontentavano dei favolosi diritti d'autore annuali - hanno pensato di far rivivere Poirot. Negli Stati Uniti hanno pensato di fare lo stesso con la Marple - il volume contiene racconti di donne - ma il risultato non è stato esaltante. Troppe digressioni sul personaggio, troppi cambiamenti, forse troppa modernità fatto sta che non ha funzionato. Come, invece, il Poirot di Sophie Hannah, scrittrice già ben nota per i suoi libri, che ha accettato entusiasticamente - è stata una lettrice christiana indefessa - di sobbaccarsi nell'immane impresa di riportare sulla pagina le indagini del piccolo belga. Successo immediato, già cinque libri pubbblicati. In Italia, meritatamente, li pubblica Oscar Mondadori, non li ha ancora tradotti tutti ma i due che ha tradotto valgono la pena di essere...divorati. Tre stanze per un delitto e ora questo La cassa aperta. Micidiali rompicapo polizieschi che iniziano, si crede, dalle assurdità. Ma non lo sono. Una lettura vera - la Hannah, nata a Manchester, tra le altre cose insegna scrittura creativa all'università - che appassiona dalle prime pagine e che, sinora, non solo mi ha appassionato ma mi ha veramente esaltato perché è davvero dificile far funzionare il cervello di questi tempi. Cervello che funziona anche con il regista, e scrittore, scomparso nel 2018 - era nato a Massa Marittima nel 1931 - che ha scritto poco ma bene. Pubblica Golem Edizioni, casa editrice piccola ma agguerrita e da tener d'occhio.
Faccio una digressione cinefila: perché non farne dei film, possibilmente con attori sconosciuti? Finita digressione. Lenzi, un maestro del cinema con una filmografia mostruosa che è costata come una scena di un'insulso, costosissimo blockbuster odierno - con il suo ciclo incentrato sull'investigatore privato Bruno Astolfi, ex partigiano, che indaga, rischiando la vita, sui set cinematografici durante e dopo fascismo e guerra, ha creato un personaggio che è entrato subito nel cuore. Scrittura corretta, nitida, molto spesso divertente. Letto uno vorrete leggere tutti gli altri. Ma, ahimè, non lo potrete fare più visto che Lenzi è scomparso ma il suo ultimo romanzo - speriamo che la Golem Edizione abbia qualcosa nel cassetto - non fa rimpiangere i predecenti. Si muore solo due volte. Protagonista Renzo De Gemini, consulente criminologico. Il libro consta di 220 pagine, la prima sera - ieri - ne ho lette 100. Vi fidate di me? L'amico Fancesco si è fidato di me - ci scambiamo consigli cinematografici, letterari e musicali - e mi ha ringraziato.