Chiara Valerio è stata una delle amiche più note di Michele Murgia. Nel corso degli anni è diventata sua sodale, tra presentazioni, festival, interviste e collaborazioni. Matematica di formazione con un dottorato, poi scrittrice, quest’anno in finale al premio Strega con C’è chi dice e c’è chi tace (Sellerio, 2024). Lo scrittore Fulvio Abbate ha coniato un termine per descrivere alcuni tipi di rapporti umani e professionali, “amichettismo” (trovate il trattato sull'amichettismo qui). Anche nel caso della candidatura all’ultimo Strega Abbate, su L’Unità, ha avuto qualcosa da dire e predire: “Direi che se si afferma il potere personale oggi acquisito vincerà Chiara Valerio, se invece si prepone la politica di potenza – destinando la Valerio al Campiello, come è stato suggerito – avremo un titolo Einaudi (per non fare dimenticare chi comanda)”. E infatti vincerà, qualche mese più tardi, Donatella Di Pietrantonio (Einaudi). Tuttavia anche questi legami non smettono di essere umani, con le loro fratture e i disaccordi intellettuali. E Chiara Valerio, proprio a proposito di Murgia, ne rivela uno in particolare. Alla domanda: “Condivide l’uso dello ‘schwa’ come desinenza per maschile e femminile?” Valerio risponde: “No, per niente. Come autrice non lo uso e penso che sia sbagliato normare il linguaggio a priori. Siamo la prima generazione che non cerca di definire le cose attraverso la lingua ma che, invece, si lascia definire dalla lingua”. Una risposta che tempo fa si sarebbe detta in controtendenza e che, spesso, è stata associata a una ritrosia un po’ maschia (non da ultimo, tra i difensori della lingua non normata, lo scrittore Emanuele Trevi, a dibattito con la linguista Vera Gheno). Ma se è Valerio la prima a ironizzare - “Anche se io, da omosessuale, mi prendo in giro ammettendo che la differenza di genere non l’ho ancora capita bene” - forse le cose tornano.
Per Valerio è normale essere in disaccordo con la sua amica, scomparsa un anno fa e ancora protagonista di discussioni, interventi e riflessioni sul costume dei letterati italiani. Racconta, infatti, che spesso si trovavano a discutere, persino poco prima della morte di Murgia: “Solo dieci giorni prima che lei morisse abbiamo avuto una delle tante discussioni che hanno costellato il nostro legame. Volersi bene e andare d’accordo non sono la stessa cosa. E io ero spesso in disaccordo con lei, soprattutto nel metodo. Michela diceva le cose a modo suo, veemente, avventato. Però oggi capisco che aveva ragione: quelle cose andavano dette esattamente in quel modo”. “Quelle cose” sono i temi portanti dell’ultima fase della vita intellettuale di Michela Murgia: transfemminismo, lotta al patriarcato e soprattutto famiglia queer, quella che secondo Valerio sarebbe “la vera famiglia”. Il motivo del disaccordo con Murgia in fatto di “schwa” poggia su una premessa ancora più fondamentale. Un linguaggio che non ferisca nessuno è un’utopia, chiede l’intervistatore: “Sì,” risponde Valerio, “lo spazio di fraintendimento è necessario, quello che non è fraintendibile non porta desiderio, quindi non porta scambio. E poi: se noi possiamo essere trascrivibili in maniera linguistica, vuol dire che la nostra identità è trasferibile in una macchina. Siamo la prima generazione con inclinazione passiva di fronte al linguaggio e alla verifica dei fenomeni”.
Sui premi e i festival, però, la posizione è molto meno combattiva e polemica. E senza accenni di critica Valerio salva tutto, capra e Strega, o salotti e cavoli: “Il Premio Strega è altro: trasmesso in televisione sin dagli Anni Cinquanta, è stato il ponte tra la comunità letteraria, spesso percepita come distante, e il mondo di chi legge. Anzi, con “la gente” in generale, perché la trasmissione la guardi anche se non sei un lettore forte. Quest’anno ha vinto Donatella Di Pietrantonio, ma io, da editor, dico che tutti i libri in gara erano ottimi. Quello di Raffaella Romagnolo, per dire, è un romanzo coraggioso in cui si dice che la scuola è l’unico strumento che abbiamo per correggere la Storia”. Sulla stessa linea parlando di eventi della mondanità letteraria: “Ne ho anche diretta una [di fiera, ndr], Tempo di Libri. Però direi di no, visto che ormai hanno preso il posto delle grandi adunate politiche: è al Salone del Libro che avvengono le contestazioni oggi”. L’amichettismo come spazio politico?