È uscito ieri Il Regno del Pianeta delle Scimmie. Noi di MOW siamo stati all’anteprima Disney e ci siamo fatti un’idea molto onesta: è il proseguo di cui non sentivamo il bisogno, ma è anche bello. Decisamente bello. Fotograficamente sontuoso, decadente, a tratti angosciante, si distingue come un avvincente sequel del film del 2017, offrendo uno sguardo profondo su un mondo dominato dalle scimmie, dove gli esseri umani rotolano come birilli sul fondo. Riferimenti biblici ovunque, ambientato 300 anni dopo gli eventi di The War - Il Pianeta delle Scimmie, il film è un ritratto cupo e magnetico di un mondo post-apocalittico, dove i primati dotati di pelo (cioè non noi) regnano sovrani mentre noi bipedi ci limitiamo a essere l’ombra di noi stessi. Un’ombra molto, molto pallida. La pellicola affronta temi universali come il potere, la sopravvivenza e l'identità, attraverso la storia di Noa, una giovane scimmia che si trova ad affrontare un futuro incerto mentre cerca di ridefinire il destino delle scimmie e degli umani.
Wes Ball, il regista, ci ricorda senza mezzi termini d’essere dotato di una grande maestria narrativa nel dosare azione e dialoghi, mantenendo lo spettatore inchiodato alla poltrona fino all'ultima scena. Costante il riferimento al leggendario Cesare (protagonista dei film precedenti) nel contesto della saga, aprendo ovviamente le porte a una potenziale nuova trilogia che promette di esplorare e continuare a “sbigliettare” ancora più a fondo il mondo del Pianeta delle Scimmie. Un applauso di 92 minuti alla natura, che si è “mangiata” quello che resta degli sfarzi dell’umanità, che ormai non parla nemmeno più e che non ricorda nemmeno vagamente la “scrittura”. È un po’ questo il punto in realtà: il mantenimento della conoscenza per non perdere il potere. In definitiva, Il Regno del Pianeta delle Scimmie si rivela un'opera di fantascienza avvincente e profonda. Rinverdisce senza problemi il concetto che la saga di Planet of apes è una delle più azzeccate degli anni 2000, capace di riflettere sulle sfide e le speranze dell'umanità, attraverso gli occhi delle sue evoluzioni e involuzioni. Eppure, quello che personalmente ho pensato alla fine di queste quasi due ore di film è stato quello che ho pensato anche nei film precedenti: mai fidarsi dell’uomo.