Quando si fa un film su un’icona come Bob Dylan il rischio è di voler raccontare troppo, finendo per non approfondire nulla. Forse per questo che James Mangold ha deciso di concentrarsi su pochi anni in A Complete Unknown: è il periodo in cui Dylan arriva a New York per salutare il morente Woody Guthrie e in cui conosce Pete Seeger (Edward Norton). Sono gli anni delle basi della sua futura leggenda, in cui elaborò anche la decisione di abbandonare il folk e concentrarsi sul rock. Abbiamo parlato del film con Marinella Venegoni, giornalista e critica musicale de La Stampa. Ci ha subito confermato che Timothée Chalamet “non è male” come cantante, e che l’impegno di tutto il cast è evidente: “Hanno usato il periodo della pandemia per esercitarsi”. Nel complesso, ci dice, il film “ha l’aria fresca”. I fan di Dylan, però, sono di altro avviso: “I ‘dylaniani’ si aspettavano di essere contattati per offrire il loro verbo e invece non sono stati presi in considerazione”. A Complete Uknown è comunque un film che racconta bene quell’epoca, fatta di passione e di “risvegli”. “Da quel momento il rock è decollato velocemente”, aggiunge Venegoni. Oggi le cose stanno diversamente e quello spirito di rivalsa va cercato altrove (un caso particolare è, invece, l'album country di Beyoncé). Ma ciò che trionfa, secondo la giornalista, è il cinismo. Del resto, la musica che gli arriva ogni giorno difficilmente coglie la sua attenzione. E sul possibile interesse dei giovani per la figura di Bob Dylan ha qualche dubbio.
Marinella Venegoni, Timothée Chalamet è davvero così bravo anche a cantare?
Non è male. La cosa che mi ha divertita è che si rifà alla voce di Dylan solo quando parla, perché ha la stessa pronuncia strascicata che invece Dylan usa quando canta. Diciamo che ha un suo stile.
C'era il dubbio che un attore di così grande visibilità nel cinema mainstream fosse quello più adeguato a interpretare Dylan.
Non so se fosse il più adatto, ma la preparazione si vede. Monica Barbaro, per esempio, che fa Joan Baez, non sapeva né cantare né suonare. Questo film doveva essere girato prima della pandemia, poi si è fermato tutto. Quel periodo gli attori l’hanno usato per esercitarsi. E in effetti tutti cantano e suonano benino, Timothée usa anche l’armonica. Ovviamente lei non è Joan Baez e lui non è Bob Dylan, ma non fanno una figuraccia, anzi.
I biopic richiano spesso di essere didascalici: non è questo il caso, giusto?
Direi che c’è una possibile sintesi del film: la storia di un ragazzo di provincia che arriva nella grande città tentacolare, New York, con delle intenzioni molto precise. Dylan va nell'ospedale dove è ricoverato Woody Guthrie, che è sul punto di morire per via di una malattia orrenda ai polmoni, e incontra Pete Seeger. Da lì in poi Seeger continuerà a fare la guardia del corpo a questo ragazzo, quasi come se lo allevasse. Lo fa dormire a casa sua, lo porta a cantare in tutti i piccoli locali, dove avrà un grande successo e dove presenta alcune canzoni di spessore. A un certo punto Seeger gli chiede: tu non vuoi fare rock, ma il folk, vero? La questione, poi, esplode alla fine del film.
In generale come le è sembrato?
Io non sono una critica cinematografica, però questo film ha l'aria fresca. Non vuole ripercorrere un’intera vita, ma raccontare una storia. Poi le due attrici sono belle e molto in gamba.
Elle Fanning e Monica Barbaro.
Sì, Fanning interpreta la prima fidanzata, Suze Rotolo, che nel film ha un altro nome, Sylvie Russo, perché Dylan ha chiesto di non usare il vero nome. Lo stesso Dylan ha seguito la lavorazione, ci ha messo dentro le sue idee.
I suoi fan saranno soddisfatti?
No, secondo me no. C’è stata la rivolta di tutti i “dylaniani” che si aspettavano di essere contattati per offrire il loro verbo e invece non sono stati presi in considerazione. Mi pare che a quell'ala critica il film non sia piaciuto.
Il film restituisce un quadro dell’epoca, non solo del suo protagonista.
È un’opera che si concentra su quella generazione e in particolar modo sulle donne. C'è aria di passione, libertà e risveglio. Anche lo stesso “going electric” di Bob è un risveglio, è un fatto che ha cambiato un’epoca musicale. Da quel momento il rock è decollato velocemente.
Qual era la caratteristica di Dylan che non poteva mancare nel film?
Credo il suo essere assorbito totalmente dalla musica, inarrestabilmente al lavoro a scrivere pezzi e sfoderare un capolavoro dietro l'altro. Nel film emerge questo elemento, non tanto l’accuratezza biografica. C’è una scena in cui Dylan è con Sylvie e mentre quest’ultima dorme lui scrive. Di giorno e di notte, non smette mai.
Edward Norton che fa Pete Seeger come l'ha visto?
È un grandissimo, l’ho trovato molto bravo.
Dylan disse che le sue canzoni parlano della vita e non sono poesia messa in musica: nel film si percepisce questa intenzione?
Sì, assolutamente, anche il passare da un locale all'altro è sempre fonte di ispirazione. Sono esperienze che lo fanno tornare a casa per cominciare subito a scrivere. Si vede che quello che ha in testa è solo la musica.
E invece di quegli anni qual era l’aspetto più importante da cogliere?
La musica come parte fondamentale della crescita di quella generazione, che ha voluto dare un calcio anche alla folk music. Tutto parte da Woody Guthrie, il grande ispiratore di quel periodo, ma ci sono dei modelli da cui poi alla fine si è cercato di fuggire. La storia di Dylan è paradigmatica: la rivoluzione musicale è avvenuta in un momento in cui il vecchio rock di Elvis si mescolava con l'RnB, il funk e il soul. Lui è capitato in questo momento "di mezzo", una dimensione parallela rispetto a quella di artisti come Frank Sinatra e Dean Martin.
Oggi cos’è cambiato?
In quell’epoca trovo la passione, oggi disincanto e furbizia, un cinismo sfrenato, la voglia di agguantare situazioni che possano portare un artista a distinguersi, anche con atteggiamenti rivedibili. Mi arrivano tantissimi pezzi ogni settimana, ma sono pochissimi quelli su cui mi soffermo.
Sia dal punto di vista musicale che dei testi?
Sì, poi le cose che scrivono certi uffici stampa sono anche peggio. Quando cominciano a spiegare com'è la musica, con delle frasi tipiche della defunta critica musicale, sono veramente terribili. Però ripeto: la cosa che trionfa è il cinismo.
Nel periodo in cui è ambientato il film non c’erano figure di questo genere?
No, non c’erano. Anche la musica, ovviamente, è profondamente influenzata da tutto quello che sta accadendo. Con i social è un continuo essere presenti in scena, una specie di vita reale vissuta attraverso un filtro.
Un giovane che vede questo film può rimanere affascinato dalla musica e dalla figura di Dylan?
Penso che possa rimanere influenzato dalla storia, non tanto dal personaggio. Non credo che quella musica sia appassionante per i ragazzi di questa generazione, perché è datata, classica, fa parte di una storia che non mi pare ci sia molta voglia di conoscere. Sono cambiate veramente molte cose.
Cosa intende?
Facciamo un esempio: il disco country di Beyoncé. Quell'album è molto furbo, mescola elementi eterogenei ed è molto elaborato. È stato un successo e il fatto che sia stata una donna nera a interpretare il country è già di per sé significativo, dato che quel genere esprime valori lontani dal popolo nero americano. Infatti, il country è la musica conservatrice e agricola per eccellenza, la colonna sonora dell’America profonda: quella che sta tornando a galla con Donald Trump, per dire. Credo sia il segno di un'epoca, quella dei nostri giorni, che sembra sempre meno rassicurante.