Ritrovarsi nei testi delle canzoni sembra scontato, ma non lo è. Quante volte capita di ascoltare brani vuoti, pieni di parole che non raccontano nulla? Ecco, non è il caso dei Fast Animals and Slow Kids, che da 15 anni con le loro canzoni riesco a parlare davvero al pubblico. Lo fanno, bene, anche con il nuovo album “Hotel Esistenza”. Un disco che racconta gli ultimi tre anni delle loro vite, ma che riesce a raccontare un po’ anche le nostre, tra domande, dubbi, relazioni e ragionamenti sul futuro. I Fask sono una band che è cresciuta, con coerenza, nel tempo, e lo dimostra ancora una volta con questo nuovo progetto. Li abbiamo intervistati per parlare non solo di “Hotel Esistenza”, ma anche del tour in giro per l’Europa, del mare e dei featuring, che per loro non potranno mai essere “fatti a tavolino.
Seduta così davanti a voi mi sembra di interrogarvi.
Aimone Romizi: Ormai è un’interrogazione che dura da ore, ma siamo pronti prof.
L’esperienza live che avete fatto in questi anni, soprattutto nell’ultimo anno, è impressionante. Mi raccontate un aneddoto dal tour europeo?
Aimone: Alcuni sono raccontabili, altri un po’ meno (ride, ndr.). Mi viene in mente quando abbiamo suonato a Parigi. Il giorno che siamo ripartiti è crollata una pala del Moulin Rouge, e noi avevamo suonato la sera prima nel locale che si trova letteralmente sotto, il Backstage by the Mill. C’era questo sottoscala incredibile, con un cesso appoggiato in un angolo tutto ammuffito, che è stato il nostro camerino. Non si riusciva a starci in quattro, una punkata mai vista.
E com’è stato il concerto?
Aimone: Molto intenso, anche perché era sold out e il soffitto ha iniziato letteralmente a grondare acqua per il sudore. Nel pubblico si toglievano le magliette, ci lanciavano i reggiseni. Un concerto davvero rock’n’roll, come non ne vedevamo da tanti anni. Poi abbiamo suonato anche in un posto mega metal, violentissimo, il VooDoo Club a Varsavia, che aveva le mummie attaccate ai muri…
Alessio Mingoli: Un altro aneddoto è che all’inizio del tour, poco prima di partire, ci siamo resi conto che eravamo troppo carichi. All’ultimo secondo il nostro tour manager ha trovato un carrello di quelli che si attaccano alle macchine, di quelli che si usano per portare le olive. Questo contadino da cui l’abbiamo noleggiato ci ha chiesto “che ci dovete fare?”. Non sa che questo carretto eroico si è fatto tutta l’Europa con qualsiasi condizione meteorologica.
Aimone: Ci fa ridere che si è fatto questo Erasmus pazzesco con noi.
Avete notato differenze con il pubblico italiano? Anche se immagino che di italiani ce ne fossero tanti.
Aimone: Sono stati concerti per gli italiani all'estero, ma c’erano anche stranieri, amici degli italiani. La cosa che ho notato è che per chi vive fuori dall’Italia il concerto di una band italiana assume una forza pazzesca. Mettici anche che i Fask sono una band molto energica dal vivo, quindi riusciamo proprio a creare un senso di unione che alle persone. Soprattutto, gli portiamo un po’ di casa e questo ci rende orgogliosi, perché comunque essere una bandiera italiana in giro per l’Europa è bello.
“Hotel esistenza” mi piace molto come titolo, ma anche “Riviera crepacuore” non sarebbe stato male.
Aimone: Era l’altra idea. Ne abbiamo parlato per tanto tempo ed è stato uno dei titoli plausibili. A un certo punto si erano anche fusi, l’hotel e la riviera, ma poi abbiamo fatto un ulteriore passaggio.
Quale?
Aimone: Abbiamo cominciato a pensare a questo hotel sulla Riviera che magari aveva vissuto anni di splendore, per poi arrivare alla decadenza. Da qui è partito il discorso sull’hotel, che ha tante stanze e dentro ognuna di queste c’è un mondo diverso. Riviera crepacuore era troppo specifico, raccontava solo una parte, invece “Hotel esistenza” dà davvero il senso dell’album, ti evoca l’idea che ci siano tante cose diverse. E per noi la musica è esistenza, anche se oggi gli artisti vogliono più apparire ed esserci, più che esistere. Noi volevamo raccontare tante cose diverse, perché un hotel puà essere a una stella o a cinque, moderno, nostalgico, in riviera o sulla cima di un monte. E tutto questo secondo me racconta l’importanza che diamo alle canzoni.
E infatti il concept del disco si sente, è ben sviluppato, non avete dato un titolo per poi non andare in profondità.
Aimone: Questo disco è forte, siamo davvero contenti. Soprattutto, è forte perché riesce a raccontare i quindici anni dei Fask. E lo dico perché è difficile identificarsi, capire chi sei nella vita, figurati chi sei nella band di cui fai parte, dove ci sono idee diverse e bisogna trovare una sintesi. È un processo che va fatto per trovare una sintesi, e direi che siamo arrivati alla sintesi giusta per noi.
Alessio: Raramente ci siamo dati così tanto tempo per scrivere un disco. Questo ha consentito alle varie anime dei Fask di uscire tutte fuori separatamente, per poi riunirsi in questo disco.
Se penso ai vostri quindici anni di carriera siete sempre stati coerenti. Non vi siete mai snaturati per piacere a un pubblico più vasto.
Aimone: Questo è frutto di un discorso ben preciso. Cioè, noi siamo già in quattro, quando arriviamo alla fine del processo che ci porta a scrivere una canzone, ma col caz*o che aggiungiamo anche tutto il resto del mondo. Non abbiamo idea di come gli altri ci vedano, del perché ci ascoltino e di come lo facciano. Nel senso, non possiamo avere un’idea di cosa piaccia alle persone, ma speriamo che quello che facciamo gli piaccia. E dato che è così, intanto l’unica cosa che puoi fare è essere convinto tu. Quello che fai deve prima di tutto piacere a te.
E un lungo processo, insomma, per arrivare alla consapevolezza di quello che si fa.
Aimone: Sì, tutto questo è frutto della grande scelta di essere coerenti con il periodo storico in cui pubblichiamo un album. Se ascolti “Cavalli” avevamo 18 anni ed è coerente con quel periodo lì ed è così per tutti i dischi. Questo disco rappresenta i Fask adesso, in un momento in cui abbiamo una visione diversa di chi quello che siamo, della musica, di quello che ci piace ascoltare e suonare.
Nei vostri dischi ritrovo sempre il mare. Ed è sempre strano, perché a Perugia il mare non c’è.
Aimone: Eh ce ne rendiamo conto anche noi, però ci sembra una parola così potente. Mi viene da dire che vivendo in Umbria per noi il mare è sempre un miraggio, qualcosa da raggiungere. Ti fa sentire piccolissimo di fronte alla sua vastità e ti fa percepire un senso di infinito. Probabilmente associamo il concetto di mare a quello di emozioni, perché sono entrambi infiniti.
In una vita normale dite: “Vuoi una vita normale e nessuno ti credo, se sei troppo normale nessuno ti vede”.
Aimone: Qui c’è proprio il voler normalizzare la vita tutti, perché più continui a pensare che la tua vita sia particolare e diversa, più ti scolli dalla realtà e ti allontani da quella è l’unica grande verità: tutti noi combattiamo con l’esistenza. Con quella frase mi sembra di dire che bisogna calmarci e accettarci, prima di tutto per noi stessi e poi anche per gli altri.
Un’altra frase che ho trovato d’effetto è “Mi chiedi di essere un adulto, vorrei fermare il tempo e non provarci affatto”. Anche questo è un tema ricorrente nei vostri testi e qui si parla di diventare adulti, quando adulti poi lo siete già.
Aimone: Il tema non è mai quello del dualismo tra giovani e vecchi. Si parla di crescere, delle domande che ci facciamo anche nel breve periodo. Una cosa forte che penso è che bisognerebbe tutelare il nostro io bambino.
In che senso?
Aimone: Cerco sempre di stupirmi della realtà, di quello che mi circonda. E cerco sempre di fare esperienze, per non tradire appunto il mio io bambino. Bisogna provare a mantenere un contatto molto vero con la nostra interiorità giovane, che poi più che giovane la definirei pura, fatta di quei momenti in cui non ti poni troppe domande. Riuscire a pensare una cosa e dirla come ti viene, che è una cosa che nella musica è più “semplice”, perché sei più libero, no?
Sempre poche parole, ma anche qui molto dirette: “Il dramma di chi non sa cosa cerca”. Altro tema attualissimo.
Alessandro: Sì, soprattutto per la nostra generazione. Abbiamo maturato che il dramma della ricerca sarà continuo, non troveremo mai noi stessi o un posto ben definito. Quello che possiamo trovare sono degli strumenti con cui analizzare quello che ci sta intorno. Per noi è la musica. Poi la nostra generazione ha vissuto in pieno il paradigma “sei il lavoro che fai”. Bugia totale, non è assolutamente vero.
Aimone: Nel nostro caso è anche abbastanza facile non riuscire a distinguere tra chi sei e il tuo lavoro, perché comunque ti prende bene, sei su un palco e ci sono gli applausi. Però poi ci rendiamo conto che ok sì, è tutto bello, ma c’è questo e poi c’è tutto il resto, che è ugualmente importante.
Beh, Lazza nel suo ultimo album ha proprio parlato del lato oscuro della fama e di come ti porti a non vivere più una vita normale.
Aimone: Non ho ascoltato l’album, comprendo la pressione sociale, ma per me è proprio una questione di identità. Devi tutelare chi sei e non devi smettere di fare le cose che ti piacciono, non ti devi piegare alla società. Mi viene da dire “cazzo, combatti per quello che sei!”.
Avete fatto diverse collaborazioni, dai Finley a Ligabue. C’è un artista con cui vi piacerebbe lavorare, anche sognando in grande, magari molto lontano da voi come genere?
Aimone: Direi qualcuno del mondo urban.
Alessandro: Ti direi che mi piacerebbe fare musica collegata all’arte. Mi vengono in mente i National, che hanno partecipato a una performance artistica.
Aimone: Sai cosa? Tutti i featuring che abbiamo fatto sono nati dal lato umano, non sono pensati soltanto sul lato artistico, che magari è arrivato dopo. Anche con Ligabue, che ha fatto poche collaborazioni durante la sua carriera, l’abbiamo prima conosciuto e poi gli abbiamo fatto sentire un po’ di pezzi, gli sono piaciuti e abbiamo detto “facciamo un brano insieme”. Questo per dire che noi lavoreremo con chiunque, purché si instauri una connessione emotiva. L’idea di fare il feat piazzato un po’ ci spaventa.
Perché?
Aimone: Il più delle volte sono strumenti per aumentare engagement e ascolti, però non so quanto ti fa bene.
Alessandro: Più che altro non va a definire il risultato. Fare un featuring senza conoscere la persona con cui andiamo a farlo ci mette in crisi.
Contando che è una cosa che si fa sempre più spesso ormai.
Aimone: È la prassi, ma noi abbiamo un modo strambo di ragionare sulla musica e siamo sempre rimasti anche un po’ nel nostro. Dove si è creata un’amicizia è vera. Quindi, perché dobbiamo forzarci a fare roba che non ci appartiene? Ogni tanto serve, ma forse anche no.