La tesi, ormai, era solo un intralcio. Scrivevo già per Il Tirreno e avevo puntato il master Leonardo Mondadori, dove potevano essere ammessi solo dodici futuri giornalisti. Lo volevo fare perché il mio sogno era finire a Panorama, settimanale allora edito proprio da Mondadori, che in quegli anni era diretto dal gagà Carlo Rossella, con inviati che più che leggerli me li bevevo, Pino Buongiorno, Giovanni Porzio, Carmelo Abbate, Antonio Rossitto e Giacomo Amadori, gente che viveva in America, andava in guerra e si infiltrava tra i brigatisti, gli immigranti clandestini e nei migliori bordelli dell'est Europa. Desideravo essere uno di loro, solo che per partecipare alla prima prova del master dovevo laurearmi per forza entro novembre. Era il 2003. Quindi vado dalla Moneti, prof di filosofia morale alla Bolognese di Firenze, e lei mi chiede: “Hai già qualche idea per la tesi?”. Le rispondo: “Stavo pensando a Toni Negri”.
La Moneti me la ricordo come la tipica donna di sinistra: gonna di velluto, calze spesse, maglioncino. Portamento rigido. Affascinante. Esperta di filosofia classica tedesca e di socialismo utopico, robe belle pese. Nonostante questo quando sentì il nome di Toni Negri mi guardo con più attenzione prima di pronunciare le seguenti, testuali, parole: “Io con Toni Negri non ci voglio avere niente a che fare”.
Toni Negri era un filosofo contrastato: era considerato l'ideologo dei terroristi di sinistra. Era uno dei maggiori teorici del marxismo e nella pratica anche uno dei cofondatori delle organizzazioni extraparlamentari Potere Operaio e Autonomia Operaia. Si era fatto pure il carcere per 6 anni, più 4 di semilibertà per azione sovversiva. A me interessava perché interessava la ribellione al sistema capitalista, perché sono sempre stato attratto dagli estremi e da quelli che gli altri considerano cattivi maestri. Oltretutto, a cospetto della sua nomea, trovavo il suo un pensiero assolutamente lucido, deciso, anticipatore e i suoi Impero e Moltitudine due libri illuminanti, avanti anni luce e infatti sono più attuali che mai: il primo descriveva l'economia ipercapitalista e liberista che sfrutta tutto e tutti e dove tutto e tutti (e non solo la classe operaia) siamo diventati proletari; il secondo analizza la moltitudine, ossia quei soggetti sociali che avrebbero potuto mettere in piedi una reale democrazia collettiva. Negri si era spinto anche a visualizzare una guerra globale permanente, caratterizzata dall'emergenza perenne, dalla repressione e il controllo delle frontiere. L’oggi. Sì, il mondo di oggi.
Ma la Moneti mi disse di no. E per non perdere tempo a discutere mi concentrai subito su un altro rivoluzionario, Herbert Marcuse. Grazie a quel no ho approfondito la teoria dell'uomo a una dimensione e studiato il sesso non come nevrosi ma come sintomo di una repressione della società in Eros e civiltà. Concetti profondissimi, che mi hanno formato e influenzano ancora il mio modo di pensare. Alla fine presi 108 (la storia della mia tesi la racconto un’altra volta, merita...) e a dicembre 2003 partecipai alla prima prova del master. La superai e superai tutte le altre grazie a un misto di culo e determinazione.
Poi a Panorama ci sono finito davvero, alcuni di quei cronisti sono diventati miei amici ma ora quel mondo si è dissolto: il magazine della Mondadori non è più della Mondadori e nel tempo ha perso spessore e giornalisti, Maria Codignola Moneti scopro adesso che è morta nel 2011, Toni Negri invece se n’è andato qualche ora fa. Ma la sua filosofia, come quella di Marcuse, ora è più preziosa che mai. Perché entrambi hanno avuto torto ma entrambi avevano ragione. Torto perché sono stati inascoltati. Ragione perché siamo arrivati esattamente dove avevano previsto: all'uomo a una dimensione, con le città tutte uguali, i pensieri tutti conformi, gli atteggiamenti tutti standardizzati, i mega centri commerciali e il controllo costante e la schiavitù morbida come compromessi per avere una confortevole, levigata, ragionevole, tutto sommato meravigliosa non libertà. Ecco, al di là delle ideologie, quello che ci dovrebbe restare di Toni Negri e degli altri pensatori estremi come lui, è la critica alla società in cui viviamo. Che non facciamo quasi più. Ma che servirebbe come non mai.