È già passato qualche anno da quando giuravamo di vedere i nani sulle rive del fiume. Richard Benson ci ha lasciati e la rete – in senso fisico- è ancora lì ad attendere che qualcuno gli scaraventi contro un pollo o qualche spazzolino del cesso. Tanti momenti epici conserviamo nel cuore condivisi con Richard, da quando ci accorgemmo di lui sul sito web di Madre Tortura, affascinati poi da un outsider infiammato da lingue di fuoco mentre mostrava al pubblico grande conoscenza musicale e virtuosi prodigi alla chitarra alla Yngwie Malmsteen, tra un aneddoto surreale e l’altro, in un tacito patto di amore e dileggio con i fan, che dubitavano del suo essere di cittadinanza britannica e di rispondere al nome di Richard Philip Henry John Benson. "A Riccà", gridavano a Roma, e giù epiteti accolti da Benson con la pazienza di Giobbe, senza battere ciglio. Ancora oggi sul sito Truemetal è presente una recensione dove è indicato Riccardo Bensoni come suo vero nome, testo risalente al 2003 riguardante il primo album di Richard, Madre Tortura, stroncato come "una sterile critica alla corruzione ecclesiastica con la timbrica alla Renato Zero – cosa che per un metallaro suona come un affronto dalle tinte horror - dai confusi e sconclusionati assoli grazie anche al pick fall, tecnica di plettraggio di cui si dichiara l’inventore, diretta alla rapidità piuttosto che alla precisione dell’esecuzione". Furono talmente tanti i polli e i barattoli di yogurt gettati sul palco che al Qube – celebre locale romano - furono costretti a montare, appunto, una rete. Richard stesso raccontò del cambiamento di pubblico in quegli anni, che vide i pochi metallari degli anni ‘90 mischiarsi a una gran parte di coatti romani che sotto al palco cominciarono a usare gli eventi bensoniani come sfogatoio ove Richard divenne bersaglio e ricettacolo della rabbia giovanile, cosa che spesso rendeva impossibile il portare a termine le esibizioni. I concerti romani divennero un eccidio. Un vero e proprio olocausto corale di "a cojone" e "che cazzo stai a dì". Alla mostruosa ignoranza dei coatti rispondeva con genuina bonarietà – e qualche volta con pezzi di carne del macellaio - prestando il fianco a quel caotico furioso lapidarlo con generi alimentari di ogni sorta. Scene che riviste ora suscitano ancora un po' di tenerezza e tanti sorrisi, in una lettura di un sottotesto che può comprendere solo chi ha frequentato uno di questi eventi. Noi ricordiamo chiaramente il cartello recante l'elegante sentenza "Satana ti fa una pippa" e il coro seguente di "scusa scusa". Memorabili gli incontri al bar dinanzi alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a due passi da Porta Maggiore a San Giovanni, zona popolare di Roma, seduto al tavolino fuori mentre faceva colazione appena alzato, spoglio dei suoi consueti abiti metal e in shorts ginnici, gli amati occhiali neri e la parrucca corvina. Ancor più bello fu partecipare al suo matrimonio con una sgargiante Ester Esposito, sposa felice al Campidoglio, dove Richard diede appuntamento a tutti i suoi fan, smaniosi di essere li a veder entrare in Comune il loro idolo con il fido bastone demoniaco dotato di temibile spadino urlando "vi dovete spaventare", mentre dichiarava il suo amore per Ester.
Fu proprio durante la cerimonia che venne pronunciato il suo vero nome di battesimo, sfatando la leggenda della ben più prosaica identità corrispondente a tal Riccardo Bensoni. A nulla servì l’esibire anche il passaporto per fugare ogni dubbio agli scettici, che continuarono a chiamarlo spesso e volentieri Riccardo. Altro momento da ricordare fu trovarlo nel retro del consueto bar dove festeggiava il compleanno, con i fan che si accalcavano fuori, urlando come al solito. Gli portammo un vino in dono sperando di fargli piacere, ma Ester, compagna fedele, ci confidò che Richard fosse "l’unica rockstar astemia del pianeta che beveva solo Sprite e aranciata". Gli schioccammo un bacio sulla guancia mentre fuori esplodeva il tumulto. L'ultimo sorriso che Richard ci regalò fu proprio quello. Già il declino fisico dovuto al leggendario incidente che lo vide cascare di sotto a Ponte Sisto con la sua Harley lo aveva lasciato alquanto malconcio. Fu triste dunque ritrovarlo sul piccolo schermo per chiedere aiuti economici nel momento della malattia, alla presenza di gentaglia senza rispetto nei salotti dei borghesi programmi televisivi. Taluni dissero – non senza cattiveria - che i farmaci passati dal sistema sanitario dovevano essere più che sufficienti a sostenerlo e che le sue richieste di aiuto fossero in cattiva fede. Altri, non conoscendolo perché troppo lontani dagli ambienti underground romani, lo giudicarono per il vestito, come spesso tristemente accade in questa nostra società provinciale e perbenista. Alla fine fu ricoverato in una clinica ai Castelli Romani, dove in un momento di ripresa cantò il suo inedito nel quale ribadiva di essere sempre stato sé stesso. E si sa che ciò non conviene a chi ha l'ingenuità di essere se stesso tra piccole iene, perché prima o poi viene sbranato. Ester fu internata lontano ed entrambi soffrirono per questa lunga separazione. Le prese per il culo non cessarono, per lui che aveva sempre porto il fianco a questa parte della sua vita ridotta a macchietta, sebbene ne fosse divertito in prima persona. Ultimamente è uscito il suo disco postumo, Richard Benson and The R.B.O - 24 back 84, frutto di una collaborazione con dei grandi amici e musicisti che ne hanno terminato il lavoro. Il disco, prodotto da Francesco James Dini, Simone Sello e Marco Torri è stato pubblicato a marzo 2024 dalla 1901 Artist in due formati, comprendente otto tracce, delle quali la prima, Processione è il singolo, finita di registrare precedentemente alla morte dell’artista. Madre Tortura, Flashback e Renegade, già pubblicati come singoli nel 1984 sono versioni riarrangiate. Il lato B contiene invece quattro brani inediti registrati negli anni ’80 e restaurati. A chi avrà l’occasione di ascoltare il disco, noi suggeriamo di iniziare dall’ultima traccia per un fatto di coerenza e comprensione migliore, ma trattasi di vezzi personali; sono tracce new wave a toni dunque piuttosto oscuri, di ispirazione anni ‘80, con richiami ai Bauhaus, ai The Cure, ai Csi. In Processione ravvisiamo atmosfere alla Franco Battiato. Con l’uscita di questo disco postumo abbiamo chiesto ai grandi del mondo musicale capitolino qualche aneddoto riguardante la loro conoscenza con l’eclettico chitarrista che con candore e la sua unicità osava essere se stesso in tutte le situazioni, lasciando di sicuro un segno nella scena romana. Tra le varie figure rilevanti di chi costituisce un faro nel panorama dei critici musicali, chi meglio di Gianluca Polverari può regalarci un affresco su chi fosse Richard Benson? Polverari, direttore artistico della storica emittente Radiocittaperta, promotore della resistenza attiva per quanto riguarda la musica di qualità, speaker e grande esperto di sonorità valide ed estranee al mainstream ci ha raccontato: "I miei ricordi sono collegati alla fine degli anni ‘80 quando, girando sui canali privati laziali ci si imbatteva nella trasmissione Ottava Nota. Ci colpiva questa capigliatura, questo chiodo e sotto nulla se non il suo petto, un parlare forbito, gli occhiali da sole mentre parlava di questi gruppi che io ritenevo interessante approfondire; era materiale metal fusion, metal, prog metal, di chitarristi virtuosi. Ricordo un episodio divertente per quel che riguarda un disco di Eddie Van Halen che a Benson fece proprio schifo. Prese il vinile in diretta e lo spaccò con veemenza, disse che faceva talmente tanto schifo che nemmeno si spaccava subito, obbligandolo a metterci parecchia energia nel distruggerlo; in questi casi mostrava il lato irruento del personaggio. Poi eseguiva svisate chitarristiche virtuose, raccontava che dava lezioni di chitarra citando alcuni giovani musicisti che suonavano con la famosa tecnica dedicata agli assoli ai quali si dedicava, piuttosto che alla costruzione melodica. Lui veniva dal prog, talvolta ricordava la sua prima band Il buon vecchio Charlie, gruppo di fine ’70; c’è da ricordare che faceva parte di quella redazione gloriosa della Rai Per voi giovani, con Arbore e Boncompagni, che fece conoscere tanta musica ai ragazzi dell’epoca. Non ho mai capito perché Benson sia diventato quel fenomeno da baraccone che dagli anni ‘90 in poi si è fatto tirare addosso di tutto. Ha cavalcato una figura che faceva sorridere ma è poi diventato l’ombra di sé stesso. Devo dire che in seguito fece un album prodotto da Federico Zampaglione – L’inferno dei vivi - in cui c’era anche la celebre I nani - che fu un gran bel disco - con dei contenuti interessanti in alcuni passaggi. Faceva male vederlo cosi smagrito e sdentato, che chiedeva aiuti economici per il suo sostentamento, perché era un personaggio che aveva cavalcato diverse epoche, con vari stili musicali e personali, per come si approcciava alla tv, per il linguaggio, molto forbito e volgare talvolta, per la personalità eclettica ed il suo amore per la musica. È rimasto comunque nel cuore di tanti. Certo non so con quale coraggio molti andavano ad accanirsi su di lui ai suoi concerti, cosa che è specchio di una società deprecabile, probabilmente anche perché all’epoca non esistevano i social dove sfogare le frustrazioni".
Anche Giampiero Ingrassia, che a Richard ha voluto bene, ci ha detto: "Debbo a Benson gran parte della mia conoscenza musicale degli anni ‘80, all’epoca non c’era internet e le riviste specializzate non erano molte. Tutti questi arrivi di nuovi musicisti che non si conoscevano li dobbiamo lui, i vari Malmsteen, MacAlpine, i Dream Theather… È anche per questo motivo che provo una grande riconoscenza nei suoi confronti. Riguardo al disco, posso dire che è un lavoro meraviglioso che fa rinascere Richard e lo rivaluta come musicista in maniera totale. Un album variegato che spazia dal prog sinfonico, al rock, alla musica elettronica, sfaccettato esattamente come il personaggio Richard Benson". Per Marco Silvestri - alias Marco Scozzafava - voce storica di Radio Rock 106.600 che abbiamo cercato per un suo personale contributo, la cosa fondamentale per comprendere il disco postumo di Benson è contestualizzarlo con il periodo storico: "Richard Benson nasce musicalmente nei primi anni ’70 con l’unica esperienza discografica de Il buon vecchio Charlie, appunto, per poi approdare alla critica musicale, che è stata di fatto il leitmotiv della sua vita. Le sue altre composizioni risalgono al decennio successivo, dove continua a fare il presentatore ma ogni tanto tira fuori qualche singolo. Nel materiale musicale di 24 back to 84 si sente molto il passaggio del tempo; la struttura dei brani ricorda il periodo in cui nell’italico underground si iniziava a passare dal punk a quello che poi sarebbe diventato il post punk/new wave, con sprazzi di italodisco. Si sente chiaro e forte che trattasi di idee e materiale risalenti agli anni ‘80 anche se è stato fatto un bel lavoro di ripristino e sono stati rimodernati alcuni suoni. Dobbiamo vieppiù precisare che quel periodo storico che ha prodotto cose molto belle non ha lasciato molti echi oggi, nella musica odierna e per questa ragione 24 back to 84 sembra un disco uscito con quarant’anni di ritardo, cosa che in effetti è. Per quanto possa sembrare una sorta di novità per i millennial, avrà sentore di vecchio per chi quel periodo l’ha vissuto in prima persona. Per questo, ripeto, va contestualizzato. Parliamo di anni ’80, della scena musicale underground romana che in quel periodo, così come in altre città italiane, è in forte subbuglio e ha molta voglia di nuovi paradigmi. Internet ancora non esiste e lo scambio delle informazioni non è così immediato come oggi. Il punk ci ha insegnato che si può far musica con poco, basta avere buone idee e saperle in qualche modo mettere in pratica e questo si traduce in un’infinità di gruppi che provano a dire la loro, molto spesso con risultati inconcludenti. All’epoca, agli albori di Radio Rock, ricevevamo centinaia di cassette ‘demo’ dei vari gruppi che circolavano nella Capitale e tra i tanti se ne salvavano davvero molto pochi. In questo mare magnum costituito prevalentemente da monnezza, il materiale di Benson poteva avere il suo perché. Non sarebbe stato, intendiamoci, il grande capolavoro della musica mondiale, ma si sente che dietro alla scrittura bensoniana c’era comunque una certa competenza e cultura musicale, che lo avrebbe potuto mettere nella fascia alta dell’underground del periodo. Chiaramente non stiamo parlando di un mostro sacro della musica e purtroppo, anche la scellerata (o forse no?) scelta del Nostro di crearsi un personaggio che ha facilmente prestato il fianco a prese per il culo spesso e volentieri anche feroci, ha contribuito, chissà, a far storcere il naso a chiunque ne volesse analizzare l’arte. Il suo personaggio lo ha fatto diventare famoso, sicuramente, ma gli ha fatto perdere molto in credibilità, soprattutto artistica. Mi sono chiesto se questi brani, all’epoca, fossero venuti fuori con una buona produzione alle spalle e lui si fosse presentato con un’immagine più curata, se avesse avuto anche un buon management, forse sarebbe riuscito ad andare avanti e creare qualcosa di più a livello qualitativo o si sarebbe fermato comunque a quelle intuizioni? Insomma, se si vuole cercare il capolavoro in senso assoluto siamo totalmente fuori strada, ma se lo si considera come un documento storico - per quanto sia stato fatto un gran bel lavoro di rimodernamento e riproduzione ha il suo importante perché".
Un altro artista che ci ha regalato un ricordo di Richard Benson è il grande Pino Scotto, frontman dei Vanadium e storico metallaro: "Ricordo che io e Richard partecipammo a una trasmissione per La7 a Roma, in cui vi era uno con la barba su una poltrona, non ricordo bene chi fosse. Incontrammo Mara Venier, poi restai stupito della preparazione di Richard sulla storia del rock. Ne sapeva davvero tanto e nonostante il suo piglio e il suo urlare era una persona molto attenta e lo infastidivano le cose sbagliate e la musica di scarsa qualità". I ricordi di Pino trovano riscontro sui numerosi meme creati con le ilari invettive bensoniane sulla musica per lui ignobile: "Che cazzo me ne frega di Sanremo a me, io ho da sentire l’heavy metal, l’heavy metal progressive, il rock tecnico, il blues, il country western, il jazz, la fusion", esclamava con urla disumane tra le risate di tutti. E quanta ragione aveva. Emilio Pappagallo, station manager, direttore artistico e voce di Radio Rock 106.600 ci racconta: "Avevo un rapporto molto particolare con Richard. Mi chiamava spesso a qualsiasi ora, dicendo che voleva intervenire in radio per parlare della condizione della musica e di dischi. A volte mi chiamava Ester dicendomi che Richard aveva qualcosa in mente. Aveva un rapporto molto forte con Radio Rock. Noi sancimmo di fatto negli ultimi anni la collaborazione fra Federico Zampaglione e Richard Benson. Durante una intervista in diretta disse che avrebbe voluto collaborare con Zampaglione. Io non ero ai microfoni in quel momento ma sentii la cosa e contattai immediatamente Zampaglione. Richard, che non si scomponeva davanti a nulla, parlò al telefono senza sapere chi fosse l’interlocutore. Nel giro di quindici minuti decisero di collaborare. Un altro ricordo che ho fu di quando Richard si trovava nella struttura di cura ai Castelli Romani. Ester ci chiamò molto triste, perché non potevano vedersi né sentirsi da tanto tempo, così li mettemmo in contatto, entrambi in diretta e fu molto commovente sentirli parlare. Negli ultimi anni della sua vita lo presentai al mio amico Giuseppe Cruciani, il quale cominciò a chiamarlo spesso a La Zanzara e nacque anche li una bella amicizia. Sono bei ricordi". Quando Richard ci ha lasciato ci è dispiaciuto come se se ne fosse andato un vecchio amico. A Richard gli si vuole bene e allora urleremo ancora "scusaaa!" spergiurando di averli visti, i nani, la mandragola, le ossa dei morti. Ciao Richard, grazie per averci fatto sorridere insegnandoci la musica e per il tuo fregartene di ciò che pensa la gente. Ora spaventa gli angeli, lassù!