Un brand a tratti persino sovraesposto – Red Bull; nulla di underground, quindi – che mette letteralmente le ali al linguaggio crudo – rigorosamente in 64 barre – del rap. Paradossi di un’epoca di difficile interpretazione, quasi in ogni ambito/settore (considerate che su YouTube c’è un esperto di motori che, recensendo una Ford Puma del 1997 e paragonandola a un modello odierno, fa involontariamente eco a un qualsiasi producer “esperto” che sia in grado di spiegarti la differenza fra come veniva registrato un disco di Elvis Presley o Frank Sinatra e come oggi si crea, dal nulla e in un quarto d’ora, un pezzo tech-house utilizzando Ableton). Ma così è, tanto vale arrendersi e celebrare il buono che alcuni di questi paradossi offrono: Red Bull 64 Bars, progetto ideato e creato da David Dallas per la casa produttrice austriaca di bevande energizzanti, è diventato un rifugio per barre e rime toste, senza fronzoli. La sintesi come parametro, e così i rapper, non solo volti giovanissimi, vivono il pezzo per Red Bull come un’occasione per flexare i muscoli migliori e non per trovare il jolly che li spedisca dritti in classifica. Pezzi che suonano come lussuose e ben concepite demo. Stilose addirittura, ma dentro, nell’intimo, ancora “demo”, ossia grezze e ficcanti, prive di tutti quegli effetti/ghirigori che tendono ad annacquare la sostanza.
Che rapper e trapper diano il meglio in progetti simili? Le pressioni per macinare views, se ci sono, non sono eccessive. Streaming? Follower? Classifiche? Non è questo il luogo ideale. E così le rime targate Red Bull sono talvolta meglio del “real deal”, ossia ciò che esce negli album ufficiali. Senza andare troppo indietro nel tempo e via via avvicinandosi a questi giorni estivi: Rose Villain faceva un figurone, un annetto fa, prodotta da MILES. Senza dubbio, fra rime e produzione, Rose riusciva a impacchettare due minuti e trentotto secondi decisamente frizzanti e scalpitanti. Bravi anche Marracash e thasup (qui solo come produttore) che si ritrovano dopo “L’ego” (uno dei pezzoni di “Persona” di Marra) e cacciano una traccia con una splendida e tortuosa base tech, con Marra che non perde un colpo e cavalca i beats al millimetro. Ottimi Il Tre, Vegas Jones e Silent Bob prodotti da Andry The Hitmaker. Decisamente hardcore. L’atmosfera che permea quasi ogni pezzo è quella dei migliori mixtape, il livello di scaz*o dei protagonisti è apparentemente alto, ma è giusto sottolineare “apparentemente” perché fanno tutti sul serio in casa Red Bull. Trattasi solo di swag.
Luchè, per Red Bull, va in modalità Co’ Sang, mentre Guè (che interviene tra Villabanks e, ehm, Bello Figo) è economico ma scende sul beat come una lama. Ancor meglio in versione solista, ma qui andiamo più indietro nel tempo e così, già che ci siamo, finiamo su Fabri Fibra che, prodotto da Zef, ci ricorda che un tempo c’era un Fibra che non aveva bisogno di hits. “Qui per ricordare che dopo più di un anno questa perla non sta ancora su Spotify”, commenta un utente di YouTube sotto Fibra. Appunto, mica c’è tutto su Spotify. E allora viva un brand che non pompa solo taurina nei corpi tatuati dei rapper. Rivitalizzati, per 64 Bars. Energizzati più dal format che dalla bevanda, segno che “lessi is more” è un motto ancora valido. Soprattutto nel rap di oggi, soffocato dai numeri, esasperato da troppi feat un po’ troppo casuali, del tipo “proviamo a vedere cosa succede a mettere insieme Tizio e Caio”. Qui sembra che nessuno provi “a caso”. Che tutti abbiano le idee chiarissime, evidenza che si riflette in barre metallizzate che, per una volta, sovrastano numeri e percentuali.