Dolente. Segnatevi questa parola. È la parola chiave di questo testo. Dolente. Ora, però, mettetela da parte. Ho conosciuto Piotta quando era ancora Er Piotta. Era il 1999, l’anno del Supercafone, di Robba Coatta, di un successo inaspettato, quanto clamoroso. Un successo tale, magari qualcuno non lo ricorda, che in Rai fecero uno speciale con Carlo Verdone per parlare di coatti, proprio a partire da lui, da Er Piotta, ai tempi si chiamava così. Ne parlavano tutti, di lui e della sua hit, ironica, caciarona, superfunky. Il rap che per l’ennesima volta faceva irruzione in scena, sembrando sempre qualcosa di nuovo, ancora incomprensibile, era già capitato più volte, da Jovanotti agli Articolo 31, da Frankie Hi NRG MC ai Neffa, e ogni volta era una prima volta. Supercafone era diventata una categoria estetica, al punto che nel recensire il mio secondo romanzo, quando io e Er Piotta ci siamo conosciuti ero ancora un narratore, non ancora un narratore prestato alla critica musicale, Angelo Guglielmi, quello della Rai 3 di TeleKabul mi accostò proprio a Er Piotta, dicendo che il mio romanzo, Aironfric, primo uscito per Mondadori Strade Blu, era il Supercafone della letteratura italiana, vai a capire se avesse intenti elogiativi o diffamatori. Io e Tommaso Zanello, questo il suo nome, ci siamo però conosciuti dopo quella recensione, anche dopo averlo visto dal vivo al PalaVobis, a Lampugnano, ai tempi era quello il palasport dei concerti, oltre al Forum di Assago. Succede che un giorno mi arriva una telefonata, al fisso di casa, ai tempi avevamo un cellulare in due, io e mia moglie, divenuta tale, mia moglie, esattamente due settimane dopo l’uscita di Aironfric e quella recensione di Guglielmi sulle pagine de L’Espresso, e questa telefonata al numero di casa era da parte di tale Fabio Zanello. Il nome Zanello mi diceva qualcosa, ma sul momento non ci ho prestato attenzione. Fabio mi chiama per non ricordo che antologia, cui avrei dovuto partecipare, o cui doveva partecipare lui. A quei tempi funzionava così, si pubblicavano romanzi, libri, e si partecipava ad antologie collettive per far girare il nome, Fabio mi era stato subito parecchio simpatico, al punto che abbiamo preso a sentirci e a un certo punto è saltato fuori che era parente di Piotta, era suo fratello maggiore. Al punto che poi ci siamo conosciuti anche con Tommaso, diventando amici anche con lui.
Nel frattempo io avevo preso a scrivere di musica, prima per Panorama e poi per Tutto Musica, mentre continuavo a scrivere libri, sempre meno di narrativa, e lo stesso faceva Fabio, che era un fine saggista, attento alle religioni, alla filosofia, alla storia, specie a quella dei movimenti. Ci siamo cominciati a vedere, a ogni passaggio di Tommaso a Milano, e a Milano se fai musica ci passi spesso. Mi sono visto parecchie volte anche con Fabio, a ogni passaggio romano, passaggio nei quali mi è anche capitato di dormire a casa sua, di Fabio, e anche a casa di Tommaso, l’una in via Nomentana, l’altra nel quartiere Trieste. Poi nel 2004 Tommaso è andato a Sanremo, in gara. Era il Festival della Ventura, Tony Renis come direttore artistico, divenuto famoso perché le major lo boicottarono per una questione di rimborsi troppo bassi, tema per altro tornato anche oggi piuttosto caldo. Piotta, ormai senza Er, si presentava con un brano dal titolo Ladro di te, e puntava ovviamente all’ultima posizione. Tutti sapevano che a vincere sarebbe stato Marco Masini, in gara con L’uomo volante, era l’anno del suo giusto riscatto. Io ero parte dello staff di Piotta, in realtà infiltrato per conto di Tutto Musica, che voleva un racconto da dietro le quinte, negli anni con le major presenti quasi impensabile. Ci divertimmo un sacco, Piotta arrivò ultimo, come previsto, un po’ aiutato in questo dall’organizzazione, e da lì a poco uscì quello che credo sia uno dei suoi lavori più belli, Tommaso. Un album intimo, dolente, anche lì, segnato dalla morte di sua madre. Un gioiello che, pensando a Supercafone, spiazza, perché mette in evidenza un lato intimo, personale, introspettivo, altrimenti quasi insospettabile. Da lì a oggi di cose Piotta ne ha fatte un botto, ma proprio tante tante, e io e Tommaso ci siamo anche sentiti e visti uno sproposito di volte, tra amici funziona così. Quindi sì, io e Piotta siamo amici, nel mondo della musica, che poi è il mio mondo professionale, credo di poter dire senza problemi che è uno dei miei più cari amici, conosce la mia famiglia, io conosco la sua. E conoscevo Fabio. Sì, tocca ahimè usare il passato. Perché un paio di estati fa, nel 2022, ho ricevuto, mentre ero in Francia in vacanza, la telefonata di un nostro amico comune che mi avvisava dell’improvvisa scomparsa di Fabio. Una notizia che mi ha ovviamente sconvolto. Ferito. Subito ho chiamato Tommaso, pur col pudore e l’incapacità di trovare le parole adatte, io che di parole campo, come lui, perché in certe occasioni non esistono parole adatte da dire.
Arriviamo a oggi. È uscito il nuovo album di Piotta, titolo ’Na notte infame. A breve uscirà anche il primo romanzo di Tommaso “Piotta” Zanello, scritto insieme al fratello Fabio, titolo Corso Trieste, edito dai tipi de La nave di Teseo. Due opere strettamente correlate tra loro, perché la presenza di Fabio è forte sia dentro l’uno che dentro l’altro. Dentro il disco, che mi sento di dire è uno dei più belli usciti dalla penna di Piotta, forse proprio il più bello, e di cose belle in carriera ne ha fatte davvero parecchie, ma anche uno dei dischi più belli sentiti negli ultimi anni, spero che qualcuno pensi di dargli una targa Tenco, la merita tutta, dentro il disco, dicevo, Fabio è presente attraverso la sua voce, campionata in due brani, ma è presente anche nei racconti degli altri brani, undici in tutto, oltre che nelle introspezioni che Piotta ci regala con grande generosità. Un disco dolente, ’Na notte infame, molto dolente, adulto, maturo, di perdita, certo, e magari anche di ripensamenti, un album di consapevolezza, anche essa dolente, di come si sopravviva al lutto, lo si elabori, ma sopravvivendogli. Un disco che vede mica a caso la partecipazione di alcuni amici, Federico Zampaglione dei Tiromancino in quella Serpico che richiama direttamente al libro Corso Trieste, una perla, gli Assalti frontali nel brano che dà il titolo al disco, Ginko dei Villa Ada Posse, Villa Ada che per Fabio era un seconda casa, e poi Primo Brown, David, amico di una vita di Tommaso, quando lui era parte dei Cor Veleno, presente nella dolorosa, non dolente, Ognuno con un sé. Un disco che un cantautore, Piotta questo è, pur provenendo con orgoglio dal mondo del rap, superati i cinquanta, dovrebbe saper e poter e dover scrivere e comporre, senza indugi, perché la vita è crescita, cammino, dolore, anche. Una storia che guarda al passato, come non si può che non fare quando si parla di lutto, ma anche di passato condiviso, come succede in Corso Trieste, che è uno spaccato di una certa Roma, presente nelle tracce del disco come degli altri dischi di Piotta, una sorta di romanzo storico che usa però lo sguardo di due ragazzini, ragazzi, come mirino per centrare al cuore la Storia. Due lingue diverse, quelle di Fabio e Tommaso, dieci anni a dividerli, due percorsi che si sono incrociati, lui saggista, l’altro rapper, cantautore, uniti ora dentro un progetto che è un album, ’Na notte infame, ma anche un libro, Corso Trieste, godetevi anche i loro ritratti fatti appositamente da Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, a breve anche uno spettacolo dal vivo, che non potrà che prendere la forma introspettiva e dolente di queste undici tracce, di queste duecentocinquanta pagine. Fabio Zanello ha pubblicato un gran numero di libri, spesso con piccoli editori, e ora è approdato con suo fratello, presso La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, fuori a metà marzo. Le sue opere, nella mia libreria ne ho buona parte, andrebbero sicuramente recuperate, ordinate, i tanti testi rimasti inediti spero trovino ora la luce. Il suo sguardo curioso sul mondo resta lì, fermo in quelle opere, ma è ora divenuto in divenire grazie al lavoro e al talento di Tommaso, che si è fatto carico del proprio dolore per offrirci una sublimazione a esso che solo l’arte è in grado di darci, l’arte e la fede, per chi ce l’ha. Non perdetevi niente di tutto questo, fatelo per Fabio, che ha provato nella sua breve vita di regalarci sprazzi di genialità, ma fatelo soprattutto per voi.