Sophia Urista è tornata. Uno legge questa frase, secca, diretta, sintetica, e si pone due domande. La prima, doverosa, è: perché Monina, che in genere scrive sempre pezzi bislacchi, che partono parlando di qualcosa che con la musica sembrano non avere nulla a che fare, anzi, non hanno proprio a che fare, pezzi che parlano quasi sempre di lui, stavolta è partito con una frase lapidaria, da comunicato stampa? La seconda, specifica, ma chi minchia è Sophia Urista? Andiamo con ordine. Anzi, no, partiamo dalla fine. Il nome Sophia Urista, molto probabilmente, non vi dirà nulla. Magari vi richiamerà un vago déjà-vu, ma a meno che non siate dotati di una memoria ferrea, applicata per di più a faccende irrilevanti, sarà un ricordo che non riuscite a mettere a fuoco. Questo a meno che non siate tra i pochi, pochissimi fan italiani dei Brass Against, gran nome, e non siate talmente fanatici della golden shower da ricordarvi perfettamente chi sia Sophia Urista, pur avendola vista a tal riguardo solo in un video sfocato e mosso apparso sui social. Ecco, già avete cominciato a capire, maliziosi, o comunque vi state facendo una idea più circostanziata. Sì, Sophia Urista, in nome omen, è la cantante del duo Brass Against, gran nome, che giusto tre anni fa è passata per qualche ora agli onori (o disonori) delle cronache, specie di quelle usa e getta dei social, per aver pisciato sopra un fan durante un concerto. Per chi si fosse perso l’accaduto, la faccenda è semplice. I Brass Against stanno tenendo un concerto, l’adrenalina è a mille, Sophia invita un fan sul palco, anche il fan deve avere qualche problema di gestione dell’adrenalina, così a occhio, perché questo sale, si stende sul palco e lei, sfilatisi goffamente i pantaloni (in stile vagamente Tuta gold) gli piscia sopra, a beneficio degli smartphone dei presenti, che ovviamente filmano e rendono il tutto iconico, virale, presente ovunque. Motivo per cui la cantante dei Brass Against, gran nome, Sophia Urista, inutile sottolineare ancora una volta le similitudini tra Urista e Urina, mi sembra davvero un giochino da scuola elementare, per qualche ora diventa famosa, famosissima. Magari non per la sua arte, a meno che quel gesto situazionista non rientrasse nel campo delle performance artistiche, avendo poi lei chiesto scusa credo di poter dire categoricamente di no, ma comunque famosa, popolare, virale, almeno per qualche ora. Del resto, funziona così, in epoca di social, fai qualcosa che ti ponga al centro dell’attenzione e, in effetti, sei al centro dell’attenzione, poi si passa a altro. Lei, Sophia Urista, è diventata popolare per aver pisciato sopra un fan durante un concerto, tant’è. E dire che lo ha fatto nel mezzo di una pandemia, quando noi si era lì con le mascherine e i guanti di lattice, l’Amuchina dentro la borsa, non esattamente qualcosa in linea con le direttive dell’Ordine Mondiale di chissà cosa.
Comunque, passata la faccenda, asciugato il piscio sugli abiti del fan, di Sophia Urista si è smesso di parlare. Io devo averne scritto, da qualche parte, ma darei abbastanza per assodato di non essere neanche mai andato ad ascoltarmi una loro canzone. Mettiamola così, la band e la loro frontwoman sono tornati esattamente da dove erano usciti, nel buco nero dei milioni di nomi di artisti di cui ignoro l’esistenza. Poi ieri succede questo, e quello che state per leggere è una sorta di backstage di come funziona un magazine online, MOW nello specifico, uno di quei momenti che, fossimo in video e non dentro un racconto scritto, avrebbe le medesime immagini mosse della pisciata di Sophia Urista sul fan. Peraltro, confermo, il passaggio in questione è ancora ovunque, in rete, nel caso vi interessasse. Succede che mi scrive Ottavio Cappellani, che di MOW è altra firma, come chi scrive, che poi sarei io, sì, sono tornato in scena, amici miei, in realtà c’ero tornato già qui sopra, citandomi addirittura per cognome, figuriamoci, ma voi eravate tutti presi a pensare a una tizia che piscia sopra un tizio di fronte a qualche centinaio di persone, come in una versione rock’n’roll del MiSex; comunque, succede che mi scrive Ottavio Cappellani, scrittore e collaboratore di MOW, due caratteristiche che ci accomunano, le altre due sono tricologiche, non amiamo il pettine, e caratteriali, ma questa ce la teniamo per noi; comunque mi scrive Ottavio Cappellani e mi dice che devo assolutamente risolvere un dilemma. Il dilemma è questo, lui e Bruno Giurato, che è un intellettuale che meriterebbe un capitolo a parte, per altro responsabile di questo mio scrivere sbattendomene apertamente delle regole della scrittura applicata al giornalismo, nata quando lavoravo per lui ai tempi de Linkiesta, di cui era caporedattore, stanno provando da ore a scoprire che canzone richiami alla mente un brano di Sophia Urista dal titolo & the love died, che ovviamente Ottavio mi linka direttamente da Spotify. Dice, nel messaggio, Ottavio, che il brano è una citazione di un altro brano famoso, entrambi ne sono certi, ma che nessuno dei due riesce a capire quale. Sul fatto della citazione è categorico, dice, perché Sophia Urista cita, non “plagia”. Non specifica, ovviamente, chi sia Sophia Urista, dando per assodato che io lo sappia, così, a memoria. Non specifica neanche, ma è sottinteso, che lui la conosca per le medesime ragioni per cui la conosco io, e tutti quelli che la conoscono. Io ovviamente, come fossi Proust lì a fare merenda davanti a una tazza di the, ricordo chi è Sophia Urista, un ricordo che esce da uno di quegli angoletti nascosti della memoria, dove probabilmente sarebbe rimasto non mi fosse arrivato questo messaggio su WhatsApp.
Pur avendo io e Ottavio pubblicato libri per il medesimo editore, e pur scrivendo per il medesimo magazine, non ci siamo mai conosciuti, questa è la parte del backstage, nonché la parte che manderà fuori di testa chi ritiene che in un articolo, ma questo non è tecnicamente un articolo, non si debba mai essere autobiografici, e che soprattutto non ci si debba parlare addosso, ignorando clamorosamente che esiste un filone del giornalismo, nato negli Stati Uniti a ridosso del passaggio tra anni Sessanta e anni Settanta, Hunter S. Thompson come firma più nota, chiamato gonzo journalism, che prende queste istanze e le butta nel cesso, o per dirla alla Sophia Urista, ci piscia sopra. Non ci siamo mai conosciuti, finché Gianmarco Aimi, caporedattore di MOW, non mi ha infilato violentemente dentro una chat di WhatsApp che si chiama “i Topi”, nome che deriva dal fatto che la chat l’ha creata a suo tempo Vittorio Sgarbi con Morgan, poi i due se ne sono andati, mandandosi reciprocamente a cagare, e quando Sgarbi è uscito ha detto che chi era in quella chat era appunto un topo. Nella chat ci sono diversi collaboratori di MOW, ecco il dietro le quinte, oltre che altri personaggi ameni, musicisti, registi, gente che non so esattamente cosa faccia, che passa le giornate dibattendo di argomenti altrettanto ameni, la guerra, la fede, come si cucina un’orata al forno, spesso scatenando risse degne di un incontro a un pub della periferia di Londra in giorno di un derby tra West Ham e Millwall, Riccardo Canaletti, altro redattore di MOW spesso al centro della scena, insultato per la sua giovane età e per quel suo modo naif di dispensare Bignami di filosofia contemporanea (sì, è il solo a cui si imputi nella stessa frase di essere troppo giovane e troppo vecchio). Manca Moreno Pisto, che di MOW è direttore, credo perché nonostante il suo stile rock’n’roll, vi giuro che sul citofono ha scritto Pisto Is Free, come sui social, è pur sempre il direttore, e tirarlo dentro una chat che è la quintessenza della rottura di coglioni per il 99% del tempo è pur sempre un rischio, oggi come oggi.
Comunque io e Ottavio ci siamo conosciuti lì, e ieri è arrivato da me con questa urgenza. Nonostante io e lui si sia pubblicato con il medesimo editore non ci siamo mai conosciuti prima e tuttora non ci siamo mai visti, anche se dire che non ci siamo mai conosciuti perché non ci siamo mai visti farebbe di me un boomerissimo, perché certo che ci siamo conosciuti, è lì che mi chiede di aiutarlo a scoprire chi ha citato Sophia Urista nel suo brano & the love died. Lo fa, e torniamo però al non esserci in effetti conosciuti del tutto, credo, temo, perché leggendo quel che scrivo, nonostante lui, come me ha ben presente cosa sia il gonzo, lo pratica alla mia stessa maniera, pensa che io sia in effetti un critico musicale, e di musica mi va a chiedere. In effetti, ho disseminato il mondo, specie quello del web, complice MOW, di indizi che questo lasciano pensare, anche se io sono tendenzialmente uno scrittore che si occupa di critica musicale, da un punto di vista meramente teorico. Comunque, leggo il messaggio, che cita mastru Brunu, così tra noi chiamiamo Bruno Giurato. Vedo il link di Spotify, rispondo al volo con un vocale, dicendo che appena rientro mi ci metto su e risolvo, come fossi Harvey Keitel in Pulp Fiction. Sono al centro sportivo Giuriati, dove i miei figli fanno atletica, ora non posso, e comunque devo poi andare a cercare la canzone altrove, perché non uso Spotify. Questo a Ottavio non glielo dico, è irrilevante ai fini di quel messaggio. Lo sarebbe anche ai fini di questo racconto, ma mi piace abusare della vostra pazienza. Ormai siete miei ostaggi. Ecco, pensate a Sophia Urista che piscia sul palco, se la cosa vi rende questa attesa meno ostica. Comunque, torno a casa, leggo il titolo, lo trascrivo su YouTube e ascolto. La canzone parte con una batteria elettronica anni Ottanta, piuttosto spinta, poi parte la melodia, che in effetti suona molto familiare. Ascolto tutta la canzone, che credo di aver capito sia la canzone eponima di un disco di Sophia Urista, per una volta fuori dai Brass Against, gran nome. Prima di riascoltare il brano cerco anche qualche news a riguardo, ma non ne trovo, se scrivi sul web Sophia Urista vieni assalito da video di lei che piscia sul tizio, tant’è. Sentire qualcosa che ci suona familiare ma non capire perché è qualcosa di snervante. Lo è per voi comuni mortali, figuriamoci per chi, come me, campa da anni vestendo i panni del critico musicale. È una questione di principio, ma come quando pensiamo a un nome che non ci viene in mente, o a una parola che però non troviamo nel nostro database, si rischia il cortocircuito. Per cui non ho altra scelta che scendere in campo, come Silvio tra il 1993 e il 1994. Vado al pianoforte e lo accendo. Sì, è vero, ho un pianoforte, perché è noto che tutti i critici musicali sono dei musicisti falliti. Ho anche sette chitarre, di cui una elettrica, un basso a cinque corde fatto a mano, regalo di Red Canzian dei Pooh, un ukulele e qualche stramberia, tipo una armonica in Mi minore. Il pianoforte me l’ha regalato Dardust, tanto per flexare un po’, è un Yamaha ottantotto tasti pesati. Lo accendo e tiro giù subito la melodia, perché sono un musicista fallito, ma so suonare. Poi accendo Shazam, e provo a fare il furbo. Solo che Shazam è meno furbo di me, e mi tira fuori un brano che nei fatti con la canzone & the love died non c’entra niente, e che comunque io non conosco, quindi non può essere quella giusta.
Ottavio, nel suo messaggio, diceva che secondo lui, secondo loro, tira ancora dentro mastru Brunu, è la citazione, lungi da loro parlare di plagio, di una canzone anni Ottanta, lui cita i The Cure, i Pet Shop Boys. Archiviato Shazam faccio quello che in questi casi si fa, parlo di noi pianisti falliti, prendo le note della melodia e ci gioco su, finché ecco, viene fuori la verità, & the love died cita, diamo per buona la versione di Ottavio Cappellani, in maniera molto precisa Sunday bloody sunday degli U2. Stesse note, identiche, anche se nella seconda metà The Edge le usa diversamente da come non faccia Sophia Urista con la voce. Non sarebbe comunque plagio, manco se non fossimo tra quanti in virtù di una pisciata su un palco a beneficio di camera diamo per assodata la buona fede di una cantante. Semmai “un plagio di intenzione”, il jingle pubblicitario che prende una hit e ne rovescia gli accordi, mantenendo il medesimo arrangiamento, una furbata, che però in questo caso è una citazione colta. Molto colta, per altro, perché ho idea che resterà faccenda per pochi adepti, al momento l’unico album di Sophia Urista presente online, titolo Ratchet Punk, del 2016, ha poche migliaia di visualizzazioni su YouTube, mentre i tanti video della pisciata ne hanno tutti più di tre-quattrocentomila a testa, & the love died neanche arriva a quattrocento, e almeno qualcuna gliela ho regalata io mentre cercavo di capire la situazione. Ovviamente, il gonzo journalism, la letteratura, il situazionismo, va bene tutto, ma qui è in ballo anche un po’ di narcisismo e amor proprio, stasera dovrò tornare a vedere se questo mio pezzo avrà regalato alla nostra pisciatrice in pubblico preferita qualche view in più, e in caso non mancherò di flexare il tutto, in privato con Ottavio e mastru Brunu, e qui, in un qualche prossimo articolo che parlerà, ovviamente, di tutt’altro. Questo articolo, questa è notazione tecnica, come quando alla fine di un film iniziano a scorrere i titoli di coda che danno indicazione sul nome dei cameramen e anche dei truccatori, ma voi siete costretti a rimanere in sala, perché sapete che a un certo punto torneranno in scena i protagonisti, con un finale dopo il finale, è stato scritto di mattina presto, diciamo tra le sette e dieci e le otto e venti. Non perché io ci abbia messo tutto questo tempo, figuriamoci, ma perché nel mentre ho accompagnato nell’ordine, i miei figli gemelli Francesco e Chiara, dodici anni, poi mio figlio Tommaso, diciotto anni, poi mia moglie Marina, fatevi i fatti vostri, alla porta, andando poi a salutarli dal balcone mentre se ne uscivano dallo spettro ottico offerto sulle strade circostanti dal balcone che ho in sala, in sala ne ho due di balconi, ma uno è praticamente inutilizzato, loro a andare rispettivamente alle scuole medie, alle superiori e in ufficio, in genere mia moglie fa Smart working, io a casa a lavorare, e mettiamoci in mezzo anche una sosta in bagno, per pisciare, mi piace farlo in bagno, sono pur sempre un tradizionalista (do alla parola tradizionalista, in questo caso, la medesima lettura che ne ha dato il generale Vannacci nel suo libro Il mondo al contrario, perché so bene che tradizionalmente l’uomo pisciava in giro, non in bagno, ma farlo dal balcone, in effetti, mi farebbe brutto, e probabilmente porterebbe al mio arresto, e stare affacciato dal balcone, per quanto oggi non piova e la temperatura sia ormai assestata su una modalità primaverile, fa sì che un ultracinquantenne come me abbia necessità di pisciare, e mi scuserete se oggi il tema è diventato così centrale nel mio scritto, senza neanche dar spazio a una qualche metafora, avessi parlato di cagare chissà quante ne avrei trovate).
Insomma, alla fine ho risolto l’arcano, & the love died di Sophia Urista, che non è un brano eponimo di un album, non ancora quantomeno, ma un singolo, cita, non plagia ma cita, dice Ottavio Cappellani, Sunday bloody sunday degli U2, questo l’ho scoperto io, che in effetti da una trentina d’anni sono uno scrittore che pratica il mestiere del critico musicale, musicista fallito che non sono altro. Ieri, quando ho scoperto il tutto, ho girato il brano degli U2 a Ottavio, vantandomi senza vantarmi, cioè senza aggiungere neanche un commento, non serviva. Lui è ovviamente rimasto colpito, cementando immagino in sé la convinzione che io sia un critico musicale di livello. Ho poi girato il medesimo brano, insieme a quello di Sophia Urista a mastru Brunu, accompagnato da un vocale nel quale suono al piano le due melodie, per flexare ulteriormente, e ho fatto la stessa cosa anche con Gianmarco Aimi, lamentando divertito l’avermi posto in condizione di essere interrogato a riguardo da Ottavio, lui che ci ha infilati entrambi nella chat dei Topi. Lui, Gianmarco, mi ha risposto girandomi un file audio di uno scherzo fatto al Mago Otelma, chiamato da una sua amica, credo, che si è finta una responsabile degli Alcolisti Anonimi che voleva fissare con lui un appuntamento per sapere a che punto fosse del suo percorso. La vita di noi collaboratori di MOW scorre così, lenta e inesorabile. Sono le otto e venticinque, e ho finito di lavorare per oggi. Posso andare a guardarmi una serie tv, a leggermi un libro, ascoltarmi magari il nuovo album di John Squire insieme a Liam Gallagher, a vedere se in rete ci sono altri video di artisti che hanno pisciato sul proprio pubblico. Penso che dovrei aggiungere, prima dei saluti, un cenno al fatto che Valentina Nappi, durante l’intervista con Gazzoli a Bsmt, ha dichiarato che, pur essendo considerata una pornostar hardcore, non si farebbe mai pisciare addosso, né lo farebbe addosso ad altri. Non so se la cosa è attinente, ma era giusto per far capire che in fondo sono un professionista, e anche se parlo di pisciare lo faccio a ragione veduta. Fuori non piove, magari vado a farmi una passeggiata e ve la racconto domani.