Presentando le canzoni alla stampa, qualche settimana fa, Amadeus ha sottolineato come quest’anno, molto più che durante il Covid, le canzoni di Sanremo erano introspettive, rivolte al guardare sé stessi, ai sentimenti, non solo quelli amorosi, si intende. Sono presenti, ha detto, temi come la malattia mentale, i rapporti tossici, il suicidio, la depressione, come se di colpo, dopo anni nei quali si era reagito alla pandemia e a tutto quello che la pandemia ha comportato, gli artisti avessero deciso di fermarsi e provare a raccontare quello che questo bizzarro periodo storico ci ha rovesciato addosso.
Certo, le canzoni in gara al Festival numero 73 non sono solo questo, c’è anche una certa voglia di tornare a ballare, a vivere, quella sì reazione quasi meccanica all’immobilismo che ci ha colto di sorpresa, c’è chi semplicemente è arrivato in riviera per raccontare il proprio punto di vista sulla vita, senza andare troppo in profondità, ma è indubbio che il carico di brani riflessivi è mai come quest’anno dominante sul resto. Prova ne sia la presenza tra i ventotto brani in gara di ben due canzoni nelle quali si affronta in maniera più o meno diretta la depressione, rispettivamente in Supereroi di Mr. Rain e in Lasciami dei Modà.
Due modi differenti, non solo musicalmente, di affrontare un tema decisamente personale, sia Mr. Rain che Kekko dei Modà hanno specificato che si tratta di brani autobiografici, nel primo caso spostando l’attenzione su chi ha il coraggio e la forza di chiedere aiuto, questi sarebbero i supereroi indicati nel titolo, nel secondo raccontando il rapporto con la depressione come se fosse un amore tossico, dal quale staccarsi pur in presenza di cicatrici. Unico punto di contatto, e stiamo davvero parlando di artisti assai distanti da loro per genere praticato e carriera, Mattia, aka Mr. Rain è un rapper di trentuno anni, i Modà una band con oltre venti anni di carriera alle spalle, tutti oltre i quarant’anni, il loro un pop-rock melodico, sulla scia che è stata e tuttora è dei Negramaro e Le Vibrazioni, cresciuti in zone diverse della Lombardia, Mr. Rain a Desenzano, ma con una madre svedese, i Modà nella provincia milanese, le due canzoni, ecco il punto di contatto, punto di contatto che va oltre il tema affrontato della depressione, con un incedere che in qualche modo vuole essere rassicurante, quasi come certe canzoni di chiesa. Mi ha colpito questo fatto, da critico musicale ma anche da frequentatore di chiese, perché spesso, troppo spesso, la musica scritta e composta per le celebrazioni liturgiche, come per accompagnare momenti religiosi, viene guardata con superficialità, il mio scrivere che entrambe le canzoni vogliono suonare rassicuranti è un punto di forza di entrambe, ripeto, lontanissime tra loro, anche come sviluppo narrativo, ma accomunate dalla volontà di scrollarsi di dosso un peso, quello che un tempo veniva a torto chiamato male oscuro, perché è sì un male oscuro, certo, o un male di vivere, ma è anche una malattia riconosciuta dall’Oms, la depressione appunto.
Ho avuto modo di incontrare sia Mr. Rain che i Modà prima dell’inizio del Festival, conscio che l’incontro festivaliero sarebbe comunque stato falsato dalla leggerezza che Sanremo porta quasi in automatico con sé, e sono partito proprio dal rapper che, parole sue, riesce a scrivere solo quando piove, di qui il suo nome. Già durante la sua partecipazione al Concertone del Primo Maggio, quello che i sindacati organizzano il Giorno della Festa dei Lavoratori in piazza San Giovanni a Roma, mi aveva colpito questo suo ruotare intorno alla depressione, evocata direttamente nel discorso che aveva introdotto la sua performance, e comunque presente nelle sue barre e le sue rime, quasi un leit motiv, un filo blu scuro dal quale è impossibile allontanarsi. A dirla tutta, proprio in quel caso, guardando gli artisti, in buona parte giovani, e in buona parte appartenenti alla scena urban, a colpirmi era stato proprio un certo nichilismo, così lo avevo interpretato, un nichilismo fatto di assenza di prospettive future, di speranze, un No Future, quindi, mai gridato, piuttosto sussurrato in quel modo lì, sbagliando tutti gli accenti, senza voler dar fuoco a tutto. Non dico che mi è scesa la catena, ma quasi. Poi ho ascoltato Supereroe, così apparentemente leggera nel cantare di depressione, perché è di depressione che si sta parlando, di più, così ottimista nel raccontare la necessità in certe occasioni di chiedere aiuto, e quella che era nichilismo si è mutato in depressione davanti ai miei occhi, anche se lo stesso Mr. Rain, parlando, ha a lungo girato intorno al concetto, parlando di “cosa”, di “cupezza”, di “solitudine”, quasi con pudore o paura di dare alla depressione il suo vero nome. Del resto, gli ho ricordato, Vasco ne ha parlato per la prima volta in questi termini nel 2019, dopo averne parlato in non so più quante canzoni, ci sta.
Anche nel raccontare il percorso che sta facendo per venirne fuori, o quantomeno per tenere a bada la depressione Mr. Rain è stato più cauto, intimidito dal dover parlare di un argomento che è però quello scelto per il brano da presentare al pubblico più vasto che il nostro paese contempli, Sanremo, e anche in virtù dell’averlo voluto presentare a Sanremo anche per far sentire meno soli quanti, tra gli ascoltatori potranno riconoscersi nel medesimo stato, i depressi. Il suo pubblico è tendenzialmente molto giovane, di quella generazione che il Covid ha messo in un angolo e isolato da tutto e tutti, immagino che i casi di depressione siano in crescita, forse quei toni solo in apparenza retorici, il concetto di eroismo legato ai piccoli gesti quotidiani, certe frasi fatte che sono finite nelle barre, quel richiamo a una certa canzone di chiesa, ecco, credo che tutto questo sia in realtà una precisa scelta stilistica, magari non del tutto cosciente, non saprei, il cui fine è arrivare in maniera chiara a chi ancora non ha gli strumenti per decodifica un linguaggio troppo complicato, la depressione è depressione, non qualcosa su cui costruire un castello.
Diverso è il caso dei Modà, di Kekko dei Modà, visto che è sua la canzone. Nello scegliere come raccontare una malattia che lo accompagna ormai da anni, almeno dal 2017, dove si è manifestata inizialmente sotto forma di attacchi di panico, Kekko ha infatti deciso di inscenare una specie di storia amorosa, dove l’amore si alterna con l’odio e la depressione potrebbe anche essere confusa con una donna. Ai primi ascolti questo parlare di depressione, confesso, mi era sfuggito, distratto dal contesto e dalla fretta di ascoltare una canzone via l’altra, mentre a parlarci è evidente come la scrittura del brano, titolo Lasciami, non è tanto parte di una terapia, Kekko ne è uscito e ne sta uscendo grazie alla medicina, oltre che alla cura dei suoi cari (la depressione è una malattia, non qualcosa da curare con pacche sulle spalle e incoraggiamenti, quanto piuttosto un voler fermare su spartito e traccia un determinato segmento della propria vita, prima per sé stessi, come memoria, poi per gli altri, che magari ci si potranno riconoscere e nel riconoscercisi si sentiranno indubbiamente meno soli). Non solo un sentirsi esattamente come tutti gli altri, quindi, fragile e vulnerabile, nonostante i successi avuti e attuali, ma anche un essere normali che può essere quello nel quale si riconosce chi ascolta, almeno per i tre minuti della canzone consolatoriamente cosciente di non essere affatto sbagliati, semmai di avere una malattia che si può curare. Un modo anche per dirsi che, seppur l’idea di guarire mette paura, la vita vista dopo la cura prende tutto un altro sapore. Curioso che l’assenza dai riflettori della band, in questi ultimi anni, sia spesso stata letta come conseguenza di un cambio di etichetta e di management, oltre che di un ostracismo dai network radiofonici figlio di un noto scazzo avuto dallo stesso Kekko con due dei tre principali media che ai tempi erano parte di Ultrasuoni, mentre nei fatti è il frutto dell’essere scivolato nella depressione, malattia a lungo sottovalutata (la malinconia non è depressione, come non lo è la tristezza, pur facendo entrambe parte dei colori della depressione, e la depressione si cura con i farmaci e con la terapia, non con gli incoraggiamenti, va sempre ripetuto) e anche nascosta, come se lo stigma che l’ha accompagnata a lungo fosse difficile da bypassare.
Forse anche in questa nuova modalità di affrontare la vita, conciliatorio, va letta la scelta di collaborare con coloro che a lungo sono stati loro diretti competitor, Le Vibrazioni, prima band della generazione tra i quaranta e i cinquanta, parlo di età, a aver fatto il botto, a suo tempo osteggiata proprio dai tre network che hanno lanciato i Modà e in seguito adottati da Rtl 102,5 anche in chiave anti-Modà, sorta di nemesi ragionata. Un voler andare oltre certi schematismi, sembrerebbe, o più semplicemente un decidere che fossilizzarsi su posizioni inutili e ridicole non porta nulla di buono, e la vita dovrebbe essere solo un anelare al buono, ovunque esso sia.
Mr. Rain e Modà non fanno parte del mio immaginario, o almeno non ne hanno fatto parte fin qui, non sono loro le canzoni che più mi hanno colpito tra quelle scelte per comporre il cast di questo Festival da Amadeus, ma riconosco a entrambe un certo coraggio nello sdoganare senza troppi artifici, penso alle riuscitissime Salirò di Daniele Silvestri, per altro riportata all’Ariston nella sera dei duetti dall’inedito combo Colla Zio-Ditonellapiaga, e Musica leggerissima di Colapesce e Dimartino, che di depressione parlavano senza lasciarlo emergere in superfice, riconosco quindi alle canzoni di Mr. Rain e dei Modà un certo coraggio nello sdoganare senza troppi artifici un argomento fino a ieri considerato tabù, e nel farlo in maniera a loro modo poetica, semplice, dando a chi ha difficoltà a trovare le parole giuste per raccontare il proprio vissuto qualche verso nel quale riconoscersi e attraverso il quale, magari, raccontarsi agli altri.