1968, il direttore di Der Spiegel chiede ad Heidegger cosa ne pensa della tecnica, facendo notare che questa permettesse al mondo di funzionare. «Tutto funziona» risponde Heidegger. «Ma proprio questo è l’elemento inquietante». A qualche mese dal protrarsi dello scandalo di Chiara Ferragni che riguarda pandori e beneficenze, molti stanno facendo il punto sull’effettivo colpo ricevuto dal mercato dell’influencer marketing ai fatti di cronaca che hanno inchiostrato giornali e portato, non ultimo in ordine di importanza, alla pubblicazione de Il Vaso di Pandoro di Selvaggia Lucarelli (Paper First, 2024). Abbiamo avuto un’ottima occasione per dare la spallata definitiva a questo mercato fatto del vuoto di un marketing dove la ricchezza del prodotto (l’influencer) non sta nel prodotto stesso ma nel fatto di essere seguito. «So’ famose per essere famose» rispose Roberto d’Agostino alla mamma di Chiara Ferragni che sciolinava le «grandi cose fatte dalla figlia, il valore della famiglia, dell’affetto, valori belli…». Nel siparietto ospitato da Piero Chiambretti, la madre dell’influencer, Marina Di Guardo, riassunse ella stessa il valore di sua figlia: essere diventata conosciuta. Alberto Mario Banti ha scritto La Democrazia dei Followers un saggio di qualche anno fa in cui analizza il rapporto tra soggetti con “un seguito” a masse di «gregari che seguono ciecamente le loro indicazioni» (mi rivelò tempo fa in un'intervista, nda).
Come intelligenze artificiali che si sviluppano a partire solo da loro stesse, la funzione degli influencer, e dell’ammasso di danaro che viene loro destinato dal mercato, entra in un vortice automatico di auto-generazione basato sul suo stesso funzionamento. «Farà schifo, però funziona» mi ha confessato un po’ di tempo fa un amico dirigente di azienda nel settore del retail. Appunto, funziona. «I mediocri hanno preso il potere» tuonava Alain Denault in un suo saggio (Neri Pozza, 2017) nel quale sottolineava l’apparentamento tra alienazione, stupidità, specializzazione e progresso. Basta fare un giro su Linkedin per osservare come ormai padroni e lavoratori si trovino d’accordo, dato che il nuovo padrone non ha più il volto umano ma quello della spettrale e immanente presenza della tecnica sopra ogni altra cosa. Umberto Galimberti nelle sue conferenze ricorda spesso l’episodio del filosofo ebreo Gunther Anders che, scappato negli Stati Uniti, in una sua lettera proprio a Martin Heidegger, suo maestro, gli raccontava come ormai «tra l’uomo e la macchina, di certo comanda la macchina», riferendosi al processo industriale della catena di montaggio alla Ford, dove lavorava. Giulia Mensitieri, antropologa italiana, ricercatrice di stanza in Francia (Centre National de Recherche Scientifique) da tempo indaga, seguendo le fila di una lunga tradizione accademica femminista marxista, il fenomeno dell’appropriazione del lavoro delle piccole (o aspiranti) influencer, che, nella speranza di veder riconosciuto (forse, un giorno) il loro ruolo, mettondo a disposizione il proprio tempo e il proprio corpo a favore di aziende che, ricevono, nel frattempo, oltre all’acquisto dei loro prodotti, pubblicità gratuita. Una fabbrica adiacente alla fabbrica, nelle mani delle donne, al servizio dell’industria capitalistica che ne coopta il lavoro. «Loro dicono che è amore, noi diciamo che lavoro non pagato» scriveva Silvia Federici nel suo manifesto, parlando del lavoro domestico al servizio del sistema capitalistico, era il 1975.
Il mercato degli influencer però è ancora florido e i numeri parlano. «Penso che l'influencer marketing sia una strategia ancora interessante per le imprese. Alla fine del 2023 ricerche statunitensi hanno valutato in 21,1 miliardi il giro d'affari nel mercato degli influencer con il 78,6% delle imprese americane con più di cento dipendenti attive in questa forma di comunicazione. Immaginabile su scala globale l'impatto che questa strategia continua ad avere: le aziende continuano a credere negli influencer, come motori di consenso verso decisioni di acquisto orientate attraverso contenuti originali». Parla Paolo Landi, esperto di comunicazione con all’attivo vari saggi sul tema tra i quali Instagram al Tramonto (La Nave di Teseo, 2019) e La Dittatura degli Algoritmi - Dalla lotta di classe alla class action (Krill Books 2024). Landi ha scritto, insieme a Marco Montanaro, Dalla Parte di Chiara (Krill Books 2024), un pamphlet in difesa di Chiara Ferragni, vittima, secondo gli autori, di un «chiacchiericcio provinciale viziato dal moralismo. Ho una lunga esperienza professionale nelle charity aziendali» continua Landi «e fare una donazione preventiva all'ente ricevente è una prassi che molte imprese seguono. Le campagne di raccolta fondi sull'Aids, la fame nel mondo, il cancro al seno o i bambini malati, al contrario di quanto si pensa, non funzionano. Se davvero si dovessero versare le percentuali sulle vendite di magliette e pandori a campagna conclusa le associazioni di volontari riceverebbero poco o niente». Niente pubblicità ingannevole, quindi per l’autore, secondo il quale il digitale ha ancora molte potenzialità, in particolare in un mercato dove le «conversazioni sui social network» conservano ancora una grande importanza. L’agenzia DeRev ha rilasciato dei dati in cui fotografa il mercato degli influencer facendo notare come, anche davanti al crollo dei compensi per celebrity (-67,7%) e mega influencer (-40%), il mondo dei piccoli creator sia tutto quanto in ascesa (vedi alla voce Michelle Comi). Cambia l’ordine degli addendi ma il risultato no: l’influencer marketing sta resistendo alla spallata (se spallata c’è stata). Evidentemente a dare il colpo a questo mercato, almeno l’italia, non è bastato il favore della cronaca (da ultima Madalina Ioana Filip alias «Mady Gio» è accusata di evasione fiscale), ma un dibattito culturale che coinvolgesse gli attori economici e istituzionali ponendoli in un momento di riflessione. Chiara Ferragni torna nel frattempo alla ribalta durante la Fashion Week di Milano presentandosi al CNMI Sustainable Fashion Awards 2024, in abito da sera, una presenza che ricorda i vecchi tempi, in un mondo in cui agli influencer non sembrano aver rinunciato nemmeno le sfere più alte: «Kamala Harris ha invitato 200 creator digitali alla Convention Democratica» ricorda Paolo Landi, «il segnale che questo modo di comunicare diventa importante, anche per la politica».