Ci sono momenti destinati a cambiare il corso della storia. E ci sono foto capaci di fermare quei momenti, diventandone iconica cristallizzazione. Pensate al marinaio che bacia la sua bella, una crocerossina, Times Square, a New York (Londra se siete il ministro Gennaro Sangiuliano, lo dico forte del fatto che, a occhio, non leggerà mai questo articolo, da quel che ho capito la lettura non è il suo forte), nel giorno della vittoria degli Usa sul Giappone, meglio noto come V-J Day. La fine della Seconda guerra mondiale immortalata in uno scatto, di Alfred Eisenstaedt, e in una posa plastica che potrebbe suonare studiata, non fossero momenti troppo concitati per pensare a un servizio fatto ad hoc, lui che le cinge i fianchi, lei fa un casquè alzando appena la gamba sinistra, con trasporto. Lei, Greta Zimmer Friedman, infermiera, lui George Mendonsa, marinaio, in realtà si erano conosciuti poco prima, e quello non era un bacio romantico, quanto piuttosto il frutto dell’entusiasmo per la fine della guerra. O pensate alla foto che più di ogni altra ha raccontato l’orrore della guerra in Vietnam, quella che ci mostra Kim Phùc che corre nuda, in mezzo a altri bambini che come lei corrono urlando e piangendo, il corpo bruciato dal Napalm, quello il cui odore il mattino presto esaltava il tenente colonnello William “Bill” Kilgore, interpretato magistralmente da Robert Duvall in Apocalypse Now, la versione vietnamita di Cuore di tenebra di Joseph Conrad portato al cinema da Francis Ford Coppola, Napalm scaricato da cacciabombardieri americani sul Trang Bang, un paesino a sud del Vietnam, non troppo distante da Saigon. Kim, nove anni, correva fuori da un tempio colpito dal bombardamento, il suo vestito e lei che c’era dentro bruciato dal Napalm, il fotografo Nick Ut a immortalare la scena, pronto per entrare nella storia del giornalismo, un Pulizter sarebbe arrivato proprio per quello scatto, e forse anche nella Storia, perché se già la guerra in Vietnam era molto osteggiata in patria come nel resto del mondo occidentale, quello scatto contribuirà non poco a mettere tutti di fronte all’orrore, sempre per citare Apocalypse Now e il memorabile Colonnello Kurtz interpretato da Marlon Brando.
Veniamo a oggi. Le cronache non parlano d’altro, a ragione, che del ventenne Thomas Matthew Crooks che a Butler, in Pennsylvania, spara a Trump durante un suo comizio, appostato con il suo fucile AR15, diffusissimo negli Usa e per altro emblema di una voglia di autodifesa estrema proprio dei seguaci di Trump, e lo colpisce a un orecchio, uccidendo un vigile del fuoco di origini italo-americane, Corey Comperatore, che ha fatto scudo col suo corpo per proteggere la sua famiglia, presente lì con lui. Subito la security, sulla quale si sono aperti dubbi enormi per la scarsa gestione della situazione, ha circondato l’ex presidente, al momento dato per vincente alle prossime elezioni, facendo un capannello. Capannello dal quale Trump, il viso sanguinante, è emerso, facendosi largo, il pugno alzato verso un cielo terso, la bandiera americana che sventola alle sue spalle. La foto che cristallizza questo preciso momento, che ha ovviamente fatto velocissimamente il giro del mondo, su tutti i siti e i giornali, ma anche sui social, spesso accostata a immagini di Joe Biden, competitor di Trump alle prossime elezioni, che cade dalle scale, o se ne sta immobile in qualche occasione pubblica, sorta di salma o mummia, come a sottolineare l’eroicità del tycoon contrapposta al rincoglionimento dell’attuale presidente Usa, la foto, dicevo, è di Evan Vucci, già premiato con un Pulitzer, capace oggi di fermare letteralmente lo zeitgeist, con uno scatto già di fatto entrato nella storia degli Usa e forse del mondo intero. Perché questa immagine, così epica, un uomo insanguinato che si fa orgogliosamente largo tra chi prova a proteggerlo dal fuoco nemico, Trump al momento non poteva sapere che il giovanissimo assassino era stato nel mentre giustiziato, come un Lee Oswald cui ha detto subito male, il sangue a segnargli il viso, seppur colpito di striscio a un orecchio, anche questo nella foto non è scritto, la bandiera a svettare alle spalle, su un cielo limpido come non mai, è qualcosa che segna indelebilmente la campagna elettorale, sancendo senza ombra di dubbio la prossima vittoria di Trump, che con quel suo sangue unirà ancora di più intorno a sé il suo elettorato, già piuttosto compatto, ricordiamo tutti Capitol Hill, andando a cambiare, di conseguenza le dinamiche di almeno due conflitti che a loro volta tengono in scacco le dinamiche internazionali, la guerra in Ucraina e lo scontro tra Israele e Hamas a Gaza, il genocidio che metodicamente sta andando avanti ormai da un numero incredibile di mesi nel silenzio generale. Se le foto hanno segnato la storia prima dell’avvento di Instagram, figuriamoci ora che sembra che le immagini abbiano definitivamente mandato in pensione le parole, scritte o dette.
A vederla, così, seppur con colori molto vividi, chiama alla mente la celebre The Raising of Iwo Jima, l’alzabandiera di Iwo Jima, fatta nel 1945 dal fotografo Joe Rosenthal, che, sorpresa, per quello scatto vincerà il Pulizter. L’immagine ritrae un manipolo di soldati americani nell’atto di issare la bandiera a stelle e strisce sulla cima della montagnola di Suribachi, nell’isola gaipponese di Iwo Jima. Sei soldati che issano una bandiera sventolante su una marea di macerie, segno di una vittoria e una conquista che servirà da sprone per dare gli ultimi mortali colpi all’impero nipponico nel secondo conflitto mondiale, ultimi colpi che poi saranno quelli devastanti delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, qualche mese dopo, la foto è stata scattata il 23 febbraio del 1945, la prima bomba sarà del 6 agosto. Una immagine tanto iconica da essere entrata nell’immaginario collettivo, al punto che parecchi anni dopo, nel 2001, il Wu Tang Clan, capeggiato come sempre da RZA, pubblicherà il proprio quarto album di studio intitolato Iron Flag che mostrerà in copertina i membri della crew newyorkese alle prese con una riproposizone di quella foto, una bandiera col logo del Clan a sventolare sopra le loro teste, coperte da elmetti militari, loro in tute mimetiche, esattamente come i sei di Iwo Jima. Mi chiedo, perché sono certo che accadrà, chi riproporrà di qui a breve lo scatto di Evan Vucci, e chi, di conseguenza, interpreterà il Donald Trump sanguinante e eroico che alza il pugno al cielo, senza esitazioni e senza paure. La risposta più banale potrebbe essere un Kid Rock qualsiasi, ma sarebbe un vincere troppo facile, mentre assai più interessante sarebbe vedere un doppio salto mortale, quindi il far proprio questo scatto da chi, e sono tanti, tantissimi, non ha mai nascosto la propria disistima per il miliardario dal capello fulvo. Emine, ahinoi, ha da poco tirato fuori il suo lavoro, ve ne parlerò a breve, altrimenti avrei molto sperato in lui, e Chidilsh Gambino ha annunciato la fine della sua carriera, almeno sotto quel nome, ma prima o poi, statene certi, arriverà quella immagine, e non necessariamente come parodia. Nel mentre, temo, Trump diventerà nuovamente il presidente degli Stati Uniti d’America, il quarantasettesimo per la precisione, Evan Vucci sicuramente si beccherà un altro Pulitzer e ancora una volta ci sarà una foto a raccontarci meglio di tante parole la storia, solo che saremo più dalle parti di Kim Phùc che da quelle di Greta Zimmer Friedman, una foto che racconta una tragedia, più che un incredibile squarcio di sole.