Essere Erasmo Genzini. Attore a teatro con Ferzan Özpetek e sul piccolo schermo tra i protagonisti di Mina Settembre (ma anche nel cast L’isola di Pietro, Sotto copertura), il trentaquattrenne si è fatto vedere, conoscere e amare da un pubblico che lo segue (tanto) anche sui social. E gli dimostra affetto. Questo un metro di valutazione, dice Erasmo, per capire se si sta facendo bene il proprio lavoro. Ma Erasmo Genzini non è soltanto 'il bravo ragazzo', piuttosto un interprete che ha voglia di sperimentare anche i ruoli più diversi e remoti, lontani da se stesso. Del resto, si sa, la recitazione è questo. È tante vite assieme ed Erasmo ha voglia di viversele tutte.
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Erasmo Genzini. Se non avessi fatto l’attore, cosa avresti fatto?
Recitare è sempre stata la mia passione e il mio sogno. Per questo non ho mai pensato a un piano b. Non so cosa avrei fatto, ma sono certo che la sensibilità che possiedo mi avrebbe portato a esprimermi su altri campi, con altre circostanze e altre modalità.
Com’è stato vedersi sullo schermo per la prima volta ?
Ho iniziato a studiare recitazione quando avevo otto anni e il mio primo ruolo importante è arrivato quando ne avevo ventiquattro. Non mi è mai mancata la determinazione e ho sempre cercato di avere bene a mente i miei obbiettivi. Quando è arrivato questo primo ruolo mi sono sentito soddisfatto e orgoglioso. Per questo motivo, per la prima volta, mi sono reso conto di aver messo piede sul primo gradino di una lunga salita e che quello era il momento in cui dovevo giocare tutte le mie carte.
Sei Diego in L’isola di Pietro. Cosa ti ha lasciato questa avventura nella tua carriera d’attore?
La serie era ambientata in un posto bellissimo che porto tutt’ora nel cuore insieme ai vari affetti, ai colleghi che da quell’esperienza sono diventati come “amici di una vita” e gente del posto che ancora oggi sento spesso. Persone con cui, durante tutti quei mesi, ho condiviso gioie ma anche momenti di sconforto. Sono diventate per me una vera e propria famiglia .
Se potessi scegliere uno spettacolo teatrale in cui recitare, anche come protagonista, quale sarebbe?
Il teatro è una palestra che ti forma tantissimo e qualsiasi ruolo e spettacolo arricchisce sempre il percorso di un attore. La mia prima esperienza a teatro è stata Mine Vaganti con la regia di Ferzan Özpetek. È stato incredibile, mi ha lasciato tantissimo. Vestivo i panni di Tommaso, interpretato da Riccardo Scamarcio nell’omonimo film, ed ero il protagonista di una bellissima storia che ha raccolto il successo che meritava. Il secondo anno di tournée è nato mio figlio e non ho preso parte allo spettacolo perché ho deciso di non perdermi neanche un minuto dei suoi primi mesi, visto che quelli non tornano più di sicuro, viceversa invece spero che Ferzan possa ritornare a chiamarmi per vestire i panni di uno dei suoi incredibili personaggi.
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Sei Jonathan in Mina Settembre, una serie che affronta temi sociali importanti, come il supporto psicologico. Quanto è significativo per te sapere che un prodotto come questo, che tratta tematiche così delicate, raggiunge e coinvolge un pubblico così ampio in Italia?
Senza dubbio la forte risposta del pubblico ci fa capire quanto sia fondamentale parlare di argomenti così importanti e soprattutto quanto la gente da casa abbia bisogno che certe tematiche vengano affrontate. Mina è una donna risolutrice, dal grande coraggio ed empatizza molto con il pubblico entrando nelle case e nel cuore degli italiani. La serie lascia messaggi importantissimi che sono stati ben accolti dalla gente e di questo sono molto felice.
L’attore, secondo te, deve avere un ruolo, una responsabilità nei confronti della società e della cultura che rappresenta, specialmente quando si interpreta ruoli che toccano temi delicati o controversi?
Io credo che il ruolo dell’attore sia quello di raccontare storie, suscitare emozioni, sorrisi, riflessioni. È una forma d’arte grandiosa che ti permette di avere il privilegio di trasformarti ogni volta in un personaggio diverso esplorando nuove vite.
Molti giovani attori raccontano di sentirsi intrappolati in ruoli stereotipati. Hai mai avuto paura di essere 'incasellato' in un tipo di personaggio che non ti rappresenta completamente?
Sì, spesso. Così come spesso sento dire da colleghi che fanno spesso le stesse cose. Purtroppo questo non dipende sempre da noi ma da chi sceglie gli attori. Sarebbe bello ogni tanto uscire dai canoni sempre più noiosi e comuni che vediamo tutti i giorni. Ecco a me piacerebbe tanto partecipare ad un progetto che non mi veda come il solito bel ragazzo dal cuore buono per esempio.
Sei molto seguito sui social. Cosa rappresentano per te?
Sicuramente appartengo alla categoria dei boomer pur essendo molto giovane, ma sto cercando di allargare gli orizzonti anche a quello. È giusto dedicare del tempo a chi sceglie di dedicartene seguendoti o mandandoti un messaggio sui social. Mi piace confrontarmi con il pubblico e la loro vicinanza mi aiuta anche a capire che sto facendo bene il mio lavoro.
Hai mai visto Boris? Se sì, quanto delle dinamiche di quella fortunata serie tv rivivono davvero sul set delle fiction italiane?
Sì certo. Boris è un vero cult. Per le dinamiche non saprei, forse ho un po’ la sensazione che alcune volte ci sia la tendenza a tornare agli “Occhi del cuore”. Questo perché si ha un po’ paura di osare e molto spesso vediamo storie che si somigliano sempre di più.
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