Il nuovo libro di Beppe Severgnini, Socrate, Agata e il futuro. L'arte di invecchiare con filosofia (Rizzoli, 2025), si presenta come il solito saggio sull'età che avanza e finisce per essere un esercizio di autoinganno, una magra consolazione travestita da saggezza che non può che diventare bestseller. Siamo quasi tutte le settimane nella Top ten amazon di filosofia, il che ci dice moltissime cose. Ma andiamo con ordine. Tutti invecchiamo e vogliamo qualcuno che ci dica “dai, non è poi così male”. Ovviamente, e per definizione dato che è una cosa che facciamo tutti a prescindere, almeno che non crepiamo da giovani, non c'è alcuna “arte” nell’invecchiare: c'è solo l'inesorabile progressione verso un declino che è tutt'altro che filosofico. La filosofia, purtroppo, come tutte le cose belle è nella gioventù. (Lo avrà mai letto, mi chiedo mentre scrivo queste poche righe, Severgnini cosa scriveva Manlio Sgalambro nel suo stupendo Trattato dell’età. Una lezione di metafisica pubblicato da Adelphi nel 1993?) Il problema di fondo di questo volume è l'assenza di cinismo, di coraggio, e di quella necessaria brutalità che sola può penetrare il velo di ipocrisia che circonda la vecchiaia. Rimossa, vituperata, chirurgizzata. Si evita la realtà per un'affabile narrazione di adattamento e accettazione, come se la saggezza consistesse nell'annuire mentre si perde un pezzo alla volta. Ma l'invecchiamento non è un processo di crescita spirituale per tutti, anzi è spesso un lento, umiliante abbandono di capacità, desideri e autonomia. Come scriveva Patrizia Cavalli, la disperazione in vecchiaia è così ovvia che “si corre il rischio del naturalismo”. Severgnini, che, come molti pensatori da prima serata tv, rappresenta la filosofia dell’uomo medio in loden, manca di quel realismo crudo che ci ricorda che "le leggi della vecchiaia sono le leggi della morte", come amaramente constatava Ungaretti nei "Comizi d'amore" di Pasolini. Non c'è nulla di edificante in un corpo che tradisce, in una mente che si appanna, o in un mondo che sembra progredire senza di te. La filosofia, quella vera, non offre scorciatoie o facili ottimismi di fronte a questa ineluttabilità. Al contrario, proprio il confronto radicale con la fine ha spinto pensatori come Gilles Deleuze a decisioni estreme, quando l'esistenza fisica non era più compatibile con la dignità del pensiero (lui si è proprio gettato da una finestra).

Questo libro di Severgnini, al contrario, offre un bignami rassicurante di gestione della vecchiaia che però puoi leggere a settant’anni quando ancora va tutto bene, perché secondo me a novanta è un po’ complesso… una serie di consigli su come "restare giovani" o "accettare i cambiamenti" che suonano vuoti di fronte al baratro. C’è un po’ di tutto, come in un cocktail delle ovvietà: le età della vita dell’induismo, uno che è quasi vecchio e fa un sacco di cose che ci dice da vecchi bisogna smettere di fare cose e giocare a palla coi nipotini, e che nella vita non contano i successi o il lavoro ma l’amore che hai saputo dare. Fantastico! Un biscotto della fortuna, praticamente. Non c'è spazio, in questo libro invece, per la disperazione, per la rabbia, per la perdita irrecuperabile. L'assenza di questo spietato cinismo rende il libro una pillola zuccherata, innocua e sostanzialmente inutile per chiunque voglia davvero confrontarsi con la crudezza dell'invecchiamento, piuttosto che con la sua versione edulcorata e inoffensiva. E questo mi porta a un più generale su come la filosofia mainstream sia diventata tutta un vendere facili soluzioni, semplificate per social e via dicendo, a domande complesse ma che vogliamo tradurre in pensierini da bacio al cioccolato: chi era Nietzsche? Un baby pensionato (questa cosa è stata veramente detta da poco). Cosa chiediamo stasera di risolvere a Massimo Cacciari? La guerra in Ucraina, il senso delle cose ultime, leggiamo un suo libro Adelphi al contrario e invochiamo il demonio? Ci facciamo dare i numeri del lotto? Più che altro qui siamo davanti a L’arte di intrattenere i vecchi con altri vecchi attraverso la filosofia. La vecchiaia, come la filosofia, è una cosa difficile: e dalle cose difficili, rifuggiamo. Esse ci portano alla contraddizione, al fatto che non esistono soluzioni per tutte le cose: che la vecchia è terribile, morire peggio, e che non esistono i banchi e i neri. E che a Nietzsche, oggi come ieri, non facevano fare neanche lezione ma oggi lo glorifichiamo sui video. C’è un generale senso di stanchezza intorno a noi, incrementato dal fatto che invece che avere i Foucault o i Derrida che ci parlano dei problemi dei corpi intermedi, delle carceri e della magistratura, delle guerre imminenti o del problema dell’uso dei corpi, oggi abbiamo i Severgnini che ci insegnano che invecchiare - se sei ricco sfondato - non è poi così male. Arrivederci filosofia.
