Il CPM Music Institute di Milano, la scuola di musica fondata e presieduta da Franco Mussida (chitarrista, cantautore, compositore, nonché fra i fondatori storici della P.F.M., lo specifichiamo per la Gen Z) sabato 28 giugno compie 40 anni e festeggia, ovviamente in musica, al Castello Sforzesco di Milano. Una serata piena di suoni, ospiti, premi. E saranno consegnati anche alcuni riconoscimenti ai “pionieri della musica”, “musicisti e operatori che hanno portato innovazione nel contesto musicale nazionale e internazionale”. È arrivato il momento di fare il punto con Mussida medesimo.
La sua storia parla di musica, visioni, intuizioni. Le concediamo tutto, Mussida, ma non possiamo credere che 40 anni fa lei avesse già tutto in testa, pensando al CPM. Sono cambiate troppe cose in quattro decadi…
Abbiamo avuto la fortuna e anche l’intelligenza, mi permetta, di precorrere i tempi. Abbiamo creato la domanda. Abbiamo immaginato che prima o poi ci sarebbe stata un’esigenza formativa importante. Negli anni ’80 abbiamo strutturato i corsi, negli anni ’90 siamo diventati una realtà nazionale e non solo milanese; con i duemila, forti di un nome riconoscibile, siamo partiti con i corsi full-time facendo un ulteriore passo avanti verso una totale multidisciplinarietà. Attorno a noi, intanto, la musica cambiava, di continuo. E così l’industria di riferimento. Noi i corsi di “writing & production”, per esempio, li abbiamo proposti a partire dal 2008/2009 circa. È stato un tentativo, riuscito, di ragionare prima sul futuro che sul presente. Oggi tutti si buttano sulla tecnologia, e va benissimo, ma il musicista non può essere un tecnico informatico, è un’altra cosa. La sfida consiste nel permettere ai musicisti di guidare la tecnologia, e non viceversa”.
In quale modo il futuro va anticipato ora? Adesso?
Beh, il musicista deve capire che la musica non la trova fuori, deve sentirla dentro. Deve preoccuparsi non tanto del giusto timbro, del giusto ritmo, ma di educare meglio la propria creatività. Immaginare prima quelle cose che sceglie in seguito. Ma creatività e immaginazione, ripeto, vanno educate affinché possano emergere.
Alcune di queste considerazioni evocano i concetti che Corrado Rustici espresse su Rolling Stone in occasione dell’uscita del suo libro, “Breviario del produttore artistico”.
Corrado (Rustici peraltro sarà premiato nella categoria “composizione e arrangiamento”, nda) è un amico che stimo molto. L’ho invitato allo Sforzesco perché siamo perfettamente allineati. La musica è un’esperienza intellettuale, emotiva, spirituale. Racconta la complessità della persona. Vogliamo ottenere il minimo, da lei, o qualcosa di più? Ci bastano un sorriso e un po’ di energia?
Passiamo agli studenti. Tra coloro che sono passati al CPM ci sono anche Mahmood e Tananai. Aveva intravisto le loro potenzialità commerciali?
Mahmood da noi ha trascorso due anni e ha fatto un lavoro, parole sue, “fondamentale” per la sua carriera, prima di vincere Sanremo con “Soldi”. Prima del CPM non aveva mai scritto una canzone, ha iniziato qui. Francesco Fugazza e Marcello Grilli, due nostri studenti che sabato saranno premiati, e ci manderanno un video da New York, fanno parte del suo team di produzione. Tananai da noi ha frequentato un corso di “writing & production”: un’esperienza più breve, rispetto a quella di Mahmood, ma credo comunque significativa. Entrambi avevano la giusta ossessione. Hanno accettato le sfide e le porte in faccia. E hanno colto le opportunità.
Chi si iscrive al CPM, sa cosa attendersi?
Da noi funziona il passaparola. Ma poi quando lo studente arriva qui capisce tutto al volo. I ragazzi si incontrano. Si suona ovunque, persino nei bagni. C’è un microclima, qui. Fatto di passione, scambio, visioni, sogni. Quello che forse non si aspettano è il rigore e il numero di ore di studio. L’impegno è forte.
Duemila e cinquecento metri quadrati di CPM, oggi, a Milano. Ma siete stati sempre così grandi?
No, siamo nati in una piccola sede, almeno rispetto ad oggi, di 700 metri quadrati in un seminterrato di Precotto. C’era tutto da fare. Nel 1991 ci siamo trasferiti, siamo entrati in città, in uno stabile di circa 3.000 metri quadrati dislocati non benissimo, a dire il vero. Nel 2000 ci trasferiamo qui, nell’attuale sede – zona Ca’ Granda, ai piedi del nuovo polo universitario del Politecnico. Una sede leggermente più piccola ma molto più funzionale. Trenta aule, un teatro, due aule di registrazione, una piscina, vari laboratori.
Che rapporto c’è fra il CPM e l’industria musicale?
Collaboriamo con Sony e Warner attraverso persone che seguono il nostro lavoro con grande attenzione. C’è uno scambio costante. Lavoriamo nel sociale (San Patrignano, San Vittore), proviamo strade sempre nuove (stiamo collaborando con il Premio Campiello). Facciamo casting interni. Chi li supera raggiunge l’industria, che chiede sempre musicisti, talenti. Qui c’è un costante collegamento con il fare, le esperienze e gli esperimenti sono tantissimi.
Il CPM e la pop music. La vostra scuola spesso non si preoccupa solo di una musica che funzioni. Che rapporto hanno i vostri studenti con i grandi palcoscenici? Le grandi ribalte pop?
Da un lato c’è una grande voglia di connettersi alla musica come a un veicolo assolutamente personale, fine. E questo non ha una forma. È una necessità che ciascuno sente dentro di sé, ognuno a proprio modo. Dall’altra c’è il contesto, l’ambiente, l’oggi, un sentire comune. La musica pop fa sempre luce sul presente, rimarca la cronaca. Eppure c’è anche un intorno, rispetto a tutto questo. Noi dobbiamo formare gente che possa imparare a guidare i propri sogni, quindi più competenze assimilano, più capiscono quale musica possono fare. Vengono valutati, ma a loro chiediamo anche di autovalutarsi. Affinché si comprendano e si misurino meglio, ma senza che questo ci appiattisca sul presente. Il CPM non può essere schiavo del presente. Allo Storzesco faremo “L’avvelenata” di Francesco Guccini, che suona ancora come un trionfo di libertà. Però a modo nostro. Due ragazzi rapperanno e trasformeranno il pezzo in un dialogo arrangiato come se fosse un quartetto da camera (due chitarre acustiche). Nulla a che vedere con l’impianto folk originale. Ecco, una cosa simile può essere il futuro. Siamo troppo piccoli per orientare o ri-orientare il pensiero unico del mercato che incombe sempre su di noi, però ai ragazzi diamo il massimo degli strumenti affinché scelgano la strada giusta. Così, quando escono da qui, sono più forti e consapevoli.
Il CPM e la tecnologia. La musica si deve difendere o deve attaccare?
La musica non si difende da niente, perché è. Possono esserci musiche più o meno astratte, più o meno elaborate. Però la musica appaga l’immaginazione e continuerà a farlo. La tecnologia può aiutare la musica ad essere ancora stupefacente.