Felicia Kingsley è stata definita da Nadia Fusini una “mediocre scrittrice di romanzi rosa”, e, avendo letto i libri di Nadia Fusini, sembra in effetti quasi un complimento. Ci perdonerà la traduttrice di Virginia Woolf (che non è Virginia Woolf) se crediamo che il successo di Felicia Kingsley sia meritato. E che il romance, cioè i romanzi rosa, siano un genere altissimo. E che nel mondo della letteratura ci sia spazio per tutti. E che a qualcosa valga pure l’empirismo. Perché Kingsley, cioè Serena Artioli, racconta a Repubblica: “Il mio Non è un paese per single, per dire, è un retelling di Orgoglio e pregiudizio e moltissime ragazze lo hanno riscoperto dopo aver letto la mia storia. II romance è un alleato, non un nemico”. Non possiamo che confermare, perché chi scrive ha avuto modo di lavorare in libreria, dove consigliava alle giovani ragazze e a ragazzi imbarazzati (questo è mediocre, il tabù che fa arrossire un ragazzino innamorato delle storie d’amore) che avevano letto Ti aspetto a Central Park, Flaubert. E loro lo compravano, tornavano e ne volevano ancora. E non credo che Felicia Kingsley si offenderà se diciamo che dai suoi libri qualcuno passa ai classici, fa l’upgrade. E non si offenderà se diciamo che Flaubert è di più; anche rispetto a Proust, Flaubert è di più. Senza considerare che spesso gli stessi intellettuali di ferro preferiscono elogiare libri disturbanti o apertamente eretici, per il solo gusto di apparire un po’ più punk. Fa figo, ma spesso proprio quei romanzi sono la causa dietro ai tanti novelli scrittori che a domanda sui propri riferimenti letterari rispondono: non ne ho, non volevo essere condizionato da nessuno. Bene, questo in che modo sarebbe più fruttuoso agli occhi del critico?
Che poi la colpa è semmai del sistema editoriale, che appiattisce il romance. Romance è anche Giorgio Scerbanenco, il Truman Capote di Colazione da Tiffany. Non è solo un passaggio tra i tanti per arrivare ad altre letture, è una buona lettura in sé. Giustamente, Kingsley dice che il romance ha aiutato molto il mercato dei libri soprattutto negli ultimi cinque anni, ed è un genere in qualche modo scelto dal booktoker, dai giovani, da chi popola i social. Chi critica tendenzialmente è vittima di un pregiudizio fatidico, quello contro le nuove generazioni. Non è un caso che si esaltino, pure giustamente, gli Edoardo Prati che citano Sciascia e Catullo. Vogliamo dei giovani che, in fondo, somiglino un po’ ai vecchi. Se esiste qualcosa di lontanamente simile a una società letteraria - ed esiste, è totalitaria, bigotta, piena di invidia - è morente, sopravvive nei reparti di lunga degenza o nei villi fuori porta degli amici (pardon! Amichetti). Sono persino più vecchi, i letterati, di quel che vorrebbero contrapporre a Felicia Kingsley. Per esempio il postmodernismo, David Foster Wallace, Pynchon, Barth. Ma hanno così poca cura di sfruttare l’unico verso pro del postmodernismo, ovvero la capacità di tenere insieme alto e basso. Mi è venuto in mente guardando L’amore non va in vacanza, con le musica di Hans Zimmer, il compositore prediletto di Christopher Nolan. Opere sfumate, che tengono insieme arte e buoni sentimenti. Nessuno dei due dovrebbe essere, di per sé, bandito per via di un pregiudizio. Felicia Kinglsey a volte ci mette dell’arte (intesa come la intendeva Renoir, che ha dipinto alcuni dei migliori quadri romance di sempre, La pergola, Ballo a Bougival; e cioè arte come artigianato), quasi sempre i buoni sentimenti.