A soli 33 anni, Salvatore Frega è già un affermatissimo compositore italiano di musica classica contemporanea. Diplomato in pianoforte al Conservatorio S. Giacomantonio di Cosenza, in Composizione alla Scuola di Musica di Fiesole, ha conseguito un Master di Alto Perfezionamento in Composizione all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Docente al Conservatorio S. Giacomantonio di Cosenza, è presidente e direttore Artistico dell'Accademia Musicale della Versilia, e nella sua carriera ha ricevuto vari dei riconoscimenti nazionali e internazionali (Vincitore dell'Akademia Music Awards 2019 e Medaglia d'Argento ai Global Music Awards 2018, sempre a Los Angeles). A differenza di molti altri suoi colleghi, bada molto alla comunicazione ed è il compositore italiano di musica classica contemporanea più seguito sui social con 53,8 mila follower su Instagram. Lo abbiamo raggiunto per parlare del Festival di Sanremo appena terminato e della musica classica contemporanea in Italia.
Salvatore, hai visto Sanremo?
Sì. Ho seguito Sanremo tutte le sere, fino a notte fonda, ero molto curioso, soprattutto in merito allo sviluppo di certe tematiche. Il lato positivo che secondo me ha Sanremo è quello di attirare tanta musica non solo all’interno dell’Ariston, perno centrale della kermesse, ma anche rispetto a quello che succede intorno. Una manifestazione così, incentrata sul mondo della musica classica, ce la possiamo dimenticare. Purtroppo.
Però non credi che la musica a Sanremo sia in realtà più un contorno?
Sì, questo è il lato negativo, quello di uscire un po’ dal seminato e andare troppo oltre. È un peccato che la musica diventi un contorno e passi in secondo piano benché quest’anno secondo me il livello fosse piuttosto alto, e parlo sia di musica che di testi. Questo dover dare continuamente un messaggio sociale porta ad allontanare le persone dalla musica.
Artisti promossi e bocciati? Qual è la tua classifica?
Non avrei fatto vincere Mengoni. Anche se il brano, armonicamente, è scritto da un bravo musicista, è un po’ un Mengoni che copia sé stesso, non era tra i miei preferiti. Il mio preferito è Mister Rain: l’elemento dei bambini un colpo importante, il testo è molto profondo, è un po’ che a che a Sanremo non si sentiva una cosa del genere. Musica veramente molto bella, non banale e per nulla semplice. Un altro che mi è piaciuto molto è Lazza, grande produzione.
È diplomato al conservatorio anche lui, vero?
Sì, tant’è che nella serata cover ha cantato con Emma e Laura Marzadori, primo violino della Scala. Si nota che è legato a quell’ambiente e conosce la qualità, è un artista molto preparato. Un’altra produzione musicale molto importante è quella di Rosa Chemical, con quei suoi un po’ anni’70 ma allo stesso molto contemporanei. Un’altra che meritava il podio, a mio avviso, era Anna Oxa, dispiace vederla nelle ultime posizioni. L’arrangiamento è del maestro Fio Zanotti, che ha scritto musiche per tutti i più grandi della musica italiana: ha cucito un pezzo perfetto per Anna Oxa, senza snaturarne la voce. Anche la sua performance mi è piaciuta.
Chi ti ha deluso, invece?
Mi aspettavo molto di più da Giorgia. Il brano non valorizzava una delle più grandi voci italiane. Tanto’è che l’ultima serata l’arrangiamento della canzone è stato in parte modificato, così come qualche piccola modulazione vocale, proprio perché secondo me non era proprio per lei quella canzone. Bella la performance con Elisa, che è una fuoriclasse.
Ma è vero che ci sono state tante stonature?
Ci sono state alcune sbavature, soprattutto da parte dei giovanissimi ma non è sempre colpa del cantante. In quasi tutte le serate ci sono stati problemi con il fonico da palco. Pensiamo a Grignani che si è preso la colpa. In alcune occasioni, quindi, magari non sentivano nemmeno la propria voce, è un live in televisione e non si può essere sempre perfetti. Anna Oxa ha cantato senza sbavature, e anche Mengoni è stato quasi perfetto.
Non possiamo non parlare dei Maneskin, super ospiti di questa edizione. Che ne pensi di loro? All’estero sono arrivate brutte stroncature dell’ultimo disco RUSH! (il “2” di Pitchfork).
Il loro primo successo, “Zitti e Buoni”, senza la geniale orchestrazione di Enrico Melozzi, sarebbe stata molto meno interessante. Di per sé il brano ha un arrangiamento armonico molto elementare. Per quanto riguarda il nuovo album bé, se quello è il rock…mi fa paura nominare e scomodare i più grandi gruppi rock della storia. Semmai è pop-rock. La sensazione che ho dei Maneskin è che siano un po’ una copia di loro stessi. Il frontman Damiano, però, è quello che rende i Maneskin quello che sono, è lui la forza del gruppo, sulla quale si regge tutto.
Ti sono piaciuti a Sanremo?
La loro performance non è stata il massimo, Damiano era stanco e si notava, ma è normale quando si ha tutto sulle proprie spalle.
Racconti spesso che la musica classica contemporanea è in crisi ed è seguita solo da un pubblico con un’età media avanzata. Qual è il problema e come se ne può uscire?
La crisi è dovuta al fatto che è diventata un po’ autoreferenziale e in questo mondo si pensa la musica classica sia solo per puristi e intellettuali. Questa proiezione ci porta a rimanere soli e, nel tempo, a farla morire. Bisogna fare un passo indietro. La musica classica non deve essere eseguita solo in Teatro ma anche in luoghi non convenzionali, dalle spiagge alle piazze, deve tornare ad essere il vero collante del popolo come era nel 1700 e 1800, quando la gente andava a teatro anche semplicemente per fare del gossip. Su Mozart, ad esempio, si diceva di tutto, che fosse un donnaiolo ecc… Una volta la musica classica era “pop”, per tutti, e dovrebbe tornare ad essere questo. La crisi è solo colpa nostra, il pubblico di colpe non ne ha.