A Complete Unknown di James Mangold sulla storia di Bob Dylan è finalmente uscito nelle sale italiane. Il film candidato a una marea di Premi Oscar ripercorre una parte della storia del cantautore americano, la vita dei suoi inizi, i primi passi che presto avrebbero cambiato tutto quanto: la musica, la vita delle persone, per sempre. Eppure, il critico musicale Marco Molendini, che ha visto e recensito il biopic, non ne è rimasto colpito, anzi. Su Dagospia leggiamo: “Sono rimasto deluso da A complete unknown, il film su Bob Dylan. Considerando la forza del personaggio, la sua personalità enigmatica, il periodo in cui si è affacciato nella scena musicale newyorkese, la ricchezza di fermenti del mondo che si muoveva nelle strade e nei locali del Village, speravo in qualcosa di più”, scrive. Il giornalista e conduttore radiofonico italiano parla chiaro. Troppa ricerca della verosomiglianza (effetto copia e incolla?): “Il film punta sul fascino della riproduzione, così Timothée Chalamet viene calato nelle copertine e nelle foto di Bob Dylan, ritagliate e ricucite”. Marco Molendini racconta di una storia che “si riduce a una sequenza di scatti fotografici”, sottolineando come il film sembri quasi una galleria di pose più che un racconto vivo. Dylan-Chalamet? Occhiali da sole perennemente indosso, la parrucca coi ricci, la giacca di pelle sulla sua Triumph. Lo vediamo mentre accende sigarette in serie, lancia occhiate misteriose dal basso, si siede sul letto con la chitarra, duetta con Joan Baez o passeggia accanto alla sua ragazza. E poi c'è il “balletto” delle due fidanzate. Una matassa che, a detta del critico, tiene insieme il film senza grande slancio. “La prima è Suze Rotolo (che viene ribattezzata Sylvie Russo), la ragazza per la quale Bob a un certo punto venne in Italia inseguendola e capitò una sera al Folkstudio di Roma”. Un dettaglio che potrebbe essere il cuore di una storia potente, ma che sembra perdersi in una narrazione che non decolla. Ancora: “Poi Joan Baez, partner musicale e amante sexy (Monica Barbaro, l'attrice è molto più bella dell'originale): banalissima la scena in cui Sylvie, dipinta come una martire d'amore piuttosto che un personaggio complesso”.
Insomma, A Complete Unknown per i veri esperti del settore, come Marco Molendini, non deve essere questo gran spettacolo. Alla fine, ciò che davvero resta nella mente dello spettatore in sala, sia che conosca la storia sia che non la conosca, sembra essere solo il ritratto di un uomo che non riesce a emergere davvero. Dov'è il suo mistero, i suoi vizi in una New York ammalata dalle droghe, tormentata dalle voglie e dalle paure? Si fa più o meno le stesse domande anche il critico nella sua recensione, che conclude così il suo commento riguardo al film: “La delusione sta nel salto fra l'aspettativa e il risultato: una biografia incompiuta che si accontenta di far muovere in scena l'avatar di Dylan che resta, come canta in Like a Rolling stone, a complete unknown. Forse non poteva essere altrimenti, ma perché allora fare il film?”.