Gentile Pontefice, voglia perdonare il mio ardire: lei sta facendo più danni della bomba atomica su Hiroshima. È riuscito a svilire il mistero della fede a marketing da televendita televisiva anni Ottanta. Sta polverizzando millenni di visioni nel degradare la teologia, la filosofia e l'arte cristiana a senso comune, forte di un dissociante immaginario globale. Lei è un comunicatore mediatico senza Dio, veicolo di semplicistica subcultura, approssimazione e morale rionale. Mi chiedo come sia possibile, nella sua posizione, prodursi in affermazioni retoriche, populiste, ammiccanti, prive di alcuna solidità e profondità filosofica come: “Si può ridere anche di Dio? Certo, come si gioca e si scherza con le persone che amiamo. Si può fare ma senza offendere i sentimenti religiosi dei credenti, soprattutto dei poveri”. Piuttosto che: “In mezzo a tante notizie cupe, immersi come siamo in tante emergenze sociali eanche personali, voi avete il potere di diffondere la serenità e il sorriso”. Possibile che tutto debba essere ricondotto necessariamente al quotidiano, alle strutture consolatorie del linguaggio borghese, alla asfissia delle quattro mura familiari domestiche? E che il fenomeno chimico della vita e dell'arte debba essere puntualmente risolto in una approssimata, dissociante normalizzazione? L'arte e la religione sarebbero il luogo dell'altrove. Del suo essere, inconsapevole capitalista, totalmente alla mercé dello spirito del tempo - e non come pretenderebbe al servizio di Dio (lei, probabilmente, non crede) - la sintesi più avvilente è stata la mondana udienza coi ‘comici’. Il comico, eccesso di tragico, non consola nessuno. Può solo sfociare in una catarsi liberatoria.
La comicità non è un riflesso del sociale, è manifestazione indicibile, dionisiaca e amorale che sconquassa l'ordine proiettato dall'uomo sulle cose. Chi parla di giustizia, chi s'aggrappa a un'etica comunitaria, chi 'denuncia’ - cosí come lei comanderebbe - non è un comico, ma assai meno di un intrattenitore elemosinante il posto fisso nel catasto dell'esistenza. Quanto più distante dalla dichiarazione di una poetica e di un mondo, ma soprattutto da un necessario sentire religioso, così come da qualsivoglia ipotesi artistica e visionaria. Il comico è la cosa più lontana dalla logica, dal buonsenso, dall'immaginario comune e dal valore dei numeri. È un evento puramente demoniaco - non mi stancherò mai di dirlo - assimilabile a un cortocircuito irrisolvibile tra quel caos che è la natura e il senso teoretico che la razza umana gli ha arbitrariamente proiettato. Un autentico, ilare, innocente, triviale dispetto. Un corpo che si rema contro, che si autodeturpa, che ride della propria fine liberandosi catarticamente da sè stesso (vedi Paolo Villaggio). Dissoluzione di ogni narrazione, personale e comunitaria, dell'Io, della stessa Storia. Voglia ricordare uno dei più grandi giullari della storia, Jacopone da Todi, flagellante, scandaloso, che ha fatto di ogni sua musicale, triviale, indecente autocrocifissione un atto poetico. Voglia tenere a mente, la natura - mi ripeto - demoniaca delle maschere della Commedia dell'Arte. Pulcinella, evento iper tragico, non ha mai consolato nessuno: da una parte contiene la fissità dello sguardo di una gallina, nel cuore il regno dei morti. Il suo Roberto Benigni, quando negli anni Settanta, interpretando Cioni Mario, si toccava il "pesce", non fu figlio di Dio ma di Pan, figura che avrebbe influenzato in seguito tutta l'iconografia pittorica cristiana, onnipotente, caprino, indecente.
Ma con quale consolazione lei vorrebbe mascherare l'impeto amorale, onnipotente e bambino alla base di quel fenomeno chimico che è l'arte? È stato per me avvilente vedere un virtuoso giocoliere della parola come Alessandro Bergonzoni in seconda fila, imbarazzante l'adesione di cosiddette nuove leve - in odore di santità mediatica - senza un minimo di ribellione verso potere del linguaggio, inchinarsi alla narrazione, all'istituzione, bramosi d'esser nella Storia. Quali comici? Men che meno intrattenitori, il cui unico sfondo è il quotidiano. Mi piace, a tal proposito, puntualizzare, che il mio amico Cochi Ponzoni, nonostante l'agenzia stampa del Vaticano abbia pubblicamente comunicato la sua presenza, non ha mai messo piede in loco, declinando, nei fatti, nobilmente l'invito. Da segnalare anche che Antonio Rezza e Flavia Mastrella non sono stati neppure invitati, come mai? Di me non parlo neppure, è sacrosanto mi si ignori. Invoco quindi una nuova Woodstock! Puntualizzazione (per i non udenti): da parte mia nessun rancore animale verso di lei, ma solo una non condivisione della sua linea politica. Luchino Visconti e Thomas Mann le suggerirebbero quanto in fondo alla strada maestra ci sia solo la mediocrità. Questa vuole essere una disperata analisi, che mi strugge, perché il deserto non smette di crescere, ed è dietro l'angolo, a ogni passo.