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Inchieste in movimento, di Federico Rampini, è un vero approfondimento su La7? Troppo snob, con interviste d'élite (vade retro, poveri!) e servizi in superficie. Cosa scopre a New York? Che il Parmesan è il simbolo della contraffazione…

  • di Irene Natali Irene Natali

  • Foto: Ansa

18 giugno 2025

Inchieste in movimento, di Federico Rampini, è un vero approfondimento su La7? Troppo snob, con interviste d'élite (vade retro, poveri!) e servizi in superficie. Cosa scopre a New York? Che il Parmesan è il simbolo della contraffazione…
Federico Rampini su La7 con Inchieste in movimento promette un’immersione nell’America di Trump ma consegnando un tour turistico di New York, tra taxi, interviste piatte e luoghi comuni. Nonostante gli spunti, dalla crisi del Fentanyl alla paura degli immigrati, manca un reale approfondimento…

Foto: Ansa

di Irene Natali Irene Natali

Inchieste in movimento: si intitola così il nuovo appuntamento di La7 in cui Federico Rampini, pregiatissima bretella del giornalismo nostrano, promette di portarci alla scoperta dell' America di Trump. E in effetti, in questa prima puntata, Rampini s'è mosso parecchio: in taxi, tra un quartiere e l'altro di New York, lui che a New York addirittura ci vive. Da Manhattan a Little Italy, dalla redazione del Wall Street Journal fino al Bronx, dalla Trump Tower al Roosevelt Hotel fino a China Town, Rampini sfrutta il suo occhio privilegiato di chi New York la vive e, da vero insider, ci rivela qualcosa che non ci saremmo mai aspettati: il Parmesan è uno dei prodotti simbolo della contraffazione del cibo italiano. Ma non è il caso di essere ingiusti: in questa prima puntata di Inchieste in movimento c'era molto di più. Le interviste, tanto per iniziare.

Federico Rampini
Federico Rampini Ansa

La scrittrice newyorkese Fran Lobowitz, l'editorialista del Wall Street Journalism Gerald Baker, l'avvocatessa specializzata in immigrazione Maria Costanza Barducci, il padre di un ragazzo morto per overdose di Fentanyl, il rappresentante conservatore Gustavo Duran nel Bronx: Federico Rampini li ha intervistati tutti, non è riuscito a renderne interessante nemmeno uno. Persino padre Enzo Del Brocco, che ha studiato insieme a Papa Prevost e assiste gli immigrati: a domanda secca, il sacerdote risponde che sì, gli immigrati ora hanno più paura. Un qualsiasi giornalista a quel punto, avrebbe avanzato un banale “perché?”, pronto ad ascoltare esperienze e testimonianze. Però appunto, un qualsiasi giornalista; invece qua c'era Rampini, perciò bene, stop, passiamo al prossimo. Anche perché Rampini, lui che dice “noi newyorkesi”, dà l'impressione di essere piuttosto affaccendato nel fugare ogni dubbio sulla figura di Trump: le “fake news” dei turisti bloccati all'aeroporto, la situazione è drammatica ma non inusuale, il dollaro ha avuto crisi ben peggiori da cui si è ripreso, il modello di Trump è Nixon, non è mica la prima volta che c'è un Presidente così. Allorché, quando sovviene di cotanta speme, all'ingenuo spettatore una domanda gli preme: ma se tutta questa differenza rispetto a prima non c'è, ma allora a che serve 'sta puntata? A poco, in realtà: le dichiarazioni degli intervistati rimangono in superficie, non trovano forza in nessun approfondimento o testimonianza che le validi. Prendiamo ad esempio Kamal Bherwani, un papà che ha perso il figlio a causa del Fentanyl: l'uomo racconta che Trump aveva promesso di occuparsi del problema, motivo che ha spinto tante famiglie disperate a votarlo. Terminata la dichiarazione, a parte qualche freddo numero, niente che aiuti lo spettatore a empatizzare o capire la reale portata del fenomeno Fentanyl. Secondo Rampini le persone avrebbero votato Trump perché si sono identificate con la sua rabbia; lui di non essere accettato dalle élite, gli elettori perché da quelle stesse élite si sentono traditi. Ecco, magari sarebbe stato un gesto carino farci sentire che dice, qualcuno di quegli elettori; chiedergli se con Trump è cambiato qualcosa. Che roba, contessa: c'era il rischio di dover intervistare qualche povero.

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Dalla sua finestra con affaccio su Central Park invece, Rampini ci porta in quello che è il simbolo della decadenza newyorkese: la metropolitana. Ebbene si, la metro: la telecamera mostra un paio di murales sullo sfondo e tornelli vuoti pressoché intonsi, ma c'è la ruggine, signora mia, la ruggine. Probabilmente il Rampini sdegnoso nel frattempo s'è scordato che le sue “inchieste in movimento” sta cercando di rifilarle a un pubblico che vive in Italia: a gente cioè che, quando passa, prende la metro a Termini; a gente che su due murales ci metterebbe la firma. Se proprio questa metro newyorkese dev'essere il peggio della città, per convincerci deve come minimo cadere a pezzi. Si conclude così la prima puntata di Inchieste in movimento: un giro turistico dei punti principali di New York, le dichiarazioni degli intervistati rimaste senza eco, Trump che tutto sommato non è terribile lo dipingono. Martedì prossimo Federico Rampini volerà a San Francisco, nella Silicon Valley: almeno per arrivare in California, dovrà muoversi davvero.

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